GianniP

L’ILVA VISTA DA BERTOLDO

Ovviamente, per parlare di un problema complesso come quello dell’acciaieria Ilva di Taranto, bisognerebbe avere studiato a fondo il problema. Così come per curare gli animali, bisogna aver conseguito una laurea in veterinaria, che dicono più ardua di quella in medicina. Ma se si ha un asino e non gli si dà da mangiare, è necessario un veterinario per capire di che soffre, e di che cosa morirà?
La notizia di oggi è che il ministro Di Maio trova insufficienti le controfferte della Arcelor Mittal, l’acquirente indiano dell’Ilva, e dunque – dopo aver richiesto il parere dell’Avvocatura di Stato – cercherà di annullare la gara. Ovviamente ciò significa che l’acciaieria continuerà a perdere un milione di euro al giorno (denaro che il governo dovrà trovare, perché i fondi disponibili arrivano fino a settembre), poi indire una nuova gara, trovare un altro compratore, e procedere alla vendita. Tutte cose che qualche difficoltà presentano.
Veniamo al malessere dell’asino. Di Maio e i sindacati vorrebbero che la Arcelor non licenziasse nessuno, mentre quell’impresa deve obbligatoriamente sfoltire il personale, se non desidera rimetterci. Ora qui le cose sono chiarissime.
1 Se è vero che, con quell’eccesso di personale, l’impresa indiana andrebbe in deficit la sua posizione è giustificatissima, e contestarla sarebbe stupido come contestare la Tavola Pitagorica.
2 Se la posizione dell’Arcelor è giustificata, altrettanto lo sarà quella del prossimo acquirente. Dunque l’annullamento attuale della gara non servirebbe a niente.
3 Se invece l’atteggiamento dell’Arcelor è ingiustificato, se cioè nelle condizioni che l’Arcelor rifiuta è possibile far funzionare l’Ilva e realizzare profitti, perché non lo fa lo Stato italiano, nella persona di Luigi Di Maio? E come mai non è stato fatto fino ad ora, se è vero che attualmente l’impresa perde un milione al giorno?
Queste alternative sono ineludibili. E proprio non si capisce che cosa crede di ottenere Di Maio. Forse reputa che esistano grandi gruppi industriali disposti ad acquistare l’Ilva di Taranto per poi perdere un milione di euro al giorno. Chissà.
I sindacati, in questa vicenda, si confermano quelli di sempre. Come si diceva dei nobili francesi dopo la Restaurazione, “non hanno niente appreso e niente dimenticato”. Conservano inalterata la mentalità di almeno un quarto di secolo fa e reputano che domani lo Stato potrebbe nazionalizzare l’impresa e perdere quel milione al giorno. Senza rendersi conto che questo Stato, oggi, queste spese non se le può permettere.
Ma nella loro irragionevolezza hanno un alibi: infatti passano la palla al governo, per tappare i buchi. Viceversa gli scervellati senza giustificazione sono i dirigenti del M5S. Di Maio è colui che, nel caso, i soldi dovrebbe metterceli. E non li ha. Per questa parte, veramente, molta gente ha molto da imparare.
La vicenda dell’Ilva costituisce il primo momento in cui il nuovo governo, e l’attuale maggioranza, si trovano ad affrontare veri problemi economici. Un conto è non far sbarcare i migranti, basta un atto di coraggio. Un conto è rendere più difficile l’assunzione dei precari, tanto pagano loro e i loro datori di lavoro. Un conto ancora è tentare di depredare i pensionati, ché tanto poi ci penserà la Corte Costituzionale ad annullare il provvedimento. Quando si arriva all’Ilva, si tocca un problema che non si risolve con le parole o con le leggi. Le leggi dell’economia, direbbe un giurista, appartengono al Sein (all’essere, come la legge di gravità), non al Sollen (al dover essere, come le regole morali). E non c’è modo di aggirarle. Chi lancia in aria una pietra, sopra la propria testa, per contestare la legge di gravità, rischia una brutta sorpresa.
Le velleità gladiatorie di Di Maio finiranno per costar care. Purtroppo non a lui: a noi.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
6 agosto 2018

L’ILVA VISTA DA BERTOLDOultima modifica: 2018-08-06T18:48:06+02:00da
Reposta per primo quest’articolo