GianniP

UN FALSO AMICO, IL CEMENTO ARMATO PRECOMPRESSO

Gli amici – e soprattutto gli ingegneri – mi perdoneranno se invado un campo in cui ne sanno più di me. Lo faccio perché, rispetto almeno ad alcuni di loro, ho una maggiore pratica didattica.
Tutti abbiamo sentito parlare di cemento, cemento armato e cemento precompresso. Conoscere il significato di questi termini è essenziale per capire uno dei grandi problemi dell’edilizia contemporanea, inclusi i grandi monumenti, i ponti, gli stadi e via dicendo.
Mescolato con acqua, il cemento dà un materiale che funge da eccellente collante dei laterizi. Costruendo un muro e mettendo il cemento fra i vari mattoni (ma di solito si usa la malta), si ottiene un insieme solido e coerente. Il Ponte Milvio, a Roma, legato non da cemento, ma da eccellente malta romana, è lì da duemila e passa anni. Perché in esso le pietre (che in linea di principio sono eterne) disposte ad arco “lavorano” in compressione: per far crollare un simile ponte è necessario prenderlo a cannonate.
In seguito però si è constatato che un manufatto di calcestruzzo (cemento, sabbia e pietre mescolati) mentre resiste benissimo alla compressione, non resiste molto alla trazione e alla deformazione. Immaginate un pilastro di cemento di trenta centimetri di lato, alto quattro metri. Come è ovvio, resisterebbe bene ad una pressione di tonnellate. Ma immaginate di usarlo orizzontalmente, fra due sostegni e di caricarlo di un peso notevole al centro. Già stanco di sostenere il proprio peso, il pilastro comincerebbe a cedere, cominciando da una fessura, nella parte bassa, al centro, che si allargherebbe fino a spezzalo in due.
L’esperimento può anche essere fatto con una tavoletta di cioccolato. Posta verticalmente sopporterebbe un certo peso, anche un chilo, ma pensate di mettere la tavoletta orizzontalmente, fra due bicchieri, e provate a caricarla al centro. Non resisterà certo quanto ha resistito verticalmente. Il cioccolato ha una relativamente buona resistenza alla compressione, e una cattiva resistenza alla deformazione. Esattamente come il calcestruzzo.
I costruttori però si sono accorti che, se il calcestruzzo non resiste molto alle deformazioni (come nel caso del pilastro orizzontale, che si chiama “trave”), in compenso il ferro, e ancor meglio l’acciaio, resistono benissimo alle trazioni. E allora è nata l’idea di combinare le due qualità. Immaginiamo quella trave che ha tendenza a spaccarsi sotto al centro. Se noi, proprio lungo la faccia inferiore della trave mettiamo un grosso cavo d’acciaio, la trave, per incurvarsi verso il basso, dovrebbe allungare quel cavo (facendolo passare da dritto a curvo, e dunque più lungo). E poiché il cavo d’acciaio resiste egregiamente alla tensione, di fatto la trave non si rompe al centro e può sostenere un notevole peso. Poi, anche per proteggere l’acciaio dalla ruggine, oltre a coprirlo con un antiruggine, lo si inserisce all’interno del calcestruzzo, non lontano dalla faccia inferiore. Ciò che si è ottenuto è una trave in cemento armato. Il ferro inserito all’interno della trave si chiama armatura. Nella realtà non si tratta di un solo bastone di ferro, ma di un insieme di bastoni, detti “tondini”. Questi vengono inoltre resi ruvidi (zigrinati), in modo che non possano scorrere all’interno della trave, così resistendo in ogni punto alla trazione.
Il cemento armato precompresso è realizzato mettendo in tensione i tondini, in modo che sotto sforzo resistano meglio. Tralasciando la tecnica, la cui esposizione renderebbe troppo lungo l’articolo, va comunque segnalato che, mentre il cemento armato normale mostra dei segni visibili di degrado, permettendo di intervenire in tempo, il precompresso cede di colpo. Per questo, pur apprezzando la sua resistenza, gli ingegneri lo reputano meno “amico” del cemento armato normale.
Vediamo comunque vantaggi e svantaggi del calcestruzzo accoppiato con l’acciaio. Utilizzando le pietre in compressione, l’una sull’altra, si realizzano i muri, i templi greci e, con le invenzioni dei romani, l’arco e la cupola, ma nient’altro. Al contrario, col cemento armato, tecnica costruttiva semplice, non troppo costosa ed estremamente duttile, si può fare qualunque cosa. Grandi solai (pavimenti fra un piano e l’altro), balconi che sembrano non essere sostenuti da nulla, ponti arditissimi, strutture curve, edifici altissimi. Il limite è per così dire soltanto il prezzo e un calcolo esatto delle forze in campo. Ecco perché la stragrande maggioranza delle strutture edili di ogni genere (salvo i grattacieli) è in cemento armato.
Purtroppo questa tecnica ha degli svantaggi. Mentre la pietra è eterna, il ferro è soggetto alla corrosione. Anche se lo si è adeguatamente protetto ed annegato nel calcestruzzo, alla lunga vince la ruggine. Naturalmente, si può ovviare a questo inconveniente usando acciaio inossidabile. Ma, a parte il costo, che sale alle stelle, anche ad ammettere che con l’acciaio inossidabile si raddoppi il ciclo di vita dell’acciaio normale, non lo si rende per questo eterno. E insomma qui si sta dicendo che, se il Colosseo si avvia ai duemila anni di vita, non altrettanto si potrà mai dire di qualunque costruzione in cemento armato. Queste sono “a scadenza”. Fra l’altro l’armatura è annegata nel calcestruzzo, e potrebbe tradire le aspettative, soprattutto dove c’è parecchia umidità (per esempio nelle fondazioni, se c’è una corrente d’acqua sotterranea), se si è vicini al mare, dove la salsedine è particolarmente aggressiva, e via dicendo. Ecco perché non si capisce l’idea dell’ing. Morandi di annegare gli stralli (tiranti del piano di calpestio) del ponte di Genova nel cemento. Chi mai avrebbe potuto verificare il loro stato di salute? E poi, perché affidare al cemento, anche se precompresso, la resistenza alla trazione, che non è il suo mestiere, invece di contentarsi dei “trefoli” (trecce) di acciaio, come quelli che sostengono il vecchissimo ponte di Brooklyn, a New York, nati soltanto per resistere alla trazione?
Per le costruzioni in cemento armato, e soprattutto per i ponti, dove il momento flettente è particolarmente accentuato, si impongono ispezioni periodiche. E poi bisogna rassegnarsi all’idea che, dopo un certo numero di anni, è meglio buttar giù la struttura e rifarla. Non solo si eviterà qualche collasso, ma forse, tenendo conto del costo della manutenzione, si risparmierà qualcosa. Ciò purtroppo urta contro le disponibilità economiche, ed anche contro difficoltà tecniche. Per esempio, per rifare un ponte, bisognerà cominciare col farne a meno durante la costruzione del nuovo.
Insomma l’uomo ha inventato un’eccellente tecnica costruttiva che ha moltissimi vantaggi ma non ha la durata indefinita che hanno dimostrato di avere le Piramidi, il Teatro di Epidauro, il Ponte Milvio e il Pantheon. Non si può avere tutto.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com
19 agosto 2018

UN FALSO AMICO, IL CEMENTO ARMATO PRECOMPRESSOultima modifica: 2018-08-19T12:24:52+02:00da
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