Di fronte all’incredibile, temeraria posizione dei due leader dell’attuale maggioranza, i giornalisti e i politologi si scervellano per trovarvi una logica. Secondo alcuni di loro tuttavia il progetto sarebbe chiaro. Si tratterebbe di cambiare il quadro socio-economico passando, dall’austerity e dal pareggio di bilancio imposti dall’Europa, ad una franca scelta di deficit spending keynesiano. Keynesiano, ovviamente, come l’intendono i molti che considerano Keynes il profeta della finanza allegra: grandi sussidi e grandi investimenti, senza curarsi del debito pubblico e della reazione dei mercati.
Diversamente da come un tempo qualcuno ipotizzava, secondo le intenzioni dei duumviri, questo risultato dovrebbe raggiungersi senza uscire dall’euro. Bisognerebbe semplicemente vincere le elezioni europee dell’anno prossimo – insieme con gli altri partiti populisti – per poi svuotare dall’interno i poteri dell’Unione Europea. Ottenuto questo risultato, i trionfatori potrebbero finalmente ridare ai singoli Stati completa libertà di azione. E se poi, nel compiere questa manovra, si provocassero gravi contraccolpi economici (più o meno fino al disastro) si potrebbero sempre indicare Bruxelles e i mercati come colpevoli di tutto. Si sa, il “nemico esterno” – soprattutto un nemico che diligentemente si indica come tale da anni – rappresenta il più sicuro alibi delle dittature. Non più tardi di ieri, quando lo spread ha ampiamento superato i trecento punti, Salvini ha detto che tutto ciò è “colpa degli speculatori”. Questi nuovi barbari immorali, infatti, invece di occuparsi soltanto di carità, come sempre hanno fatto tutti i loro predecessori, pensano a proteggere i loro capitali e a ricavarne qualcosa.
La teoria è suggestiva, cinica e, per dirla tutta, un po’ folle, ma proprio per questo merita di essere presa in considerazione. Un competente potrebbe esaminarne accuratamente gli sviluppi e i vantaggi (if any) ma il profano può facilmente consolarsi dei propri limiti osservando che forse essa urta, sin da principio, contro una facile obiezione.
Nella favola di “Pierina e la ricottina” (probabilmente “traduzione” della fable di Jean de la Fontaine, “Perrette et le pot au lait”) Pierina va al mercato fantasticando di vendere la sua ricotta e poi, di affare in affare, di arricchirsi. Purtroppo inciampa, la ricottina finisce per terra e tutti sogni vanno in fumo. Quando è aleatoria la base di partenza , figurarsi gli esiti finali.
Il piano attribuito a Matteo Salvini e Luigi Di Maio è in realtà meno plausibile di quello di Pierina. Nella favola la ragazza qualcosa da cui partire effettivamente ce l’ha: la ricotta. E, se non avesse inciampato, l’avrebbe effettivamente venduta. Nella realtà italiana, invece, manca proprio la ricotta. Ad ammettere che il piano dei famosi dioscuri fosse perfetto come un’automobile appena uscita dalla fabbrica, ci sarebbe ancora un problema: il serbatoio è vuoto. Un generoso deficit spending dipende infatti da una condizione essenziale: disporre del denaro da spendere. Ma – dirà qualcuno – se si parla di deficit spending è proprio perché non si ha il denaro da spendere. Ed è vero. Ma ciò significa anche che rimane il problema di come procurarselo. E per far questo ci sono soltanto due strade.
Un Paese che dispone della propria sovranità monetaria, può stampare moneta e provocare inflazione. Purtroppo le conseguenze di questa operazione sono tutt’altro che indolori, soprattutto per i più poveri, e comunque, poiché nel piano di Salvini e Di Maio è previsto che si rimanga nell’euro, per noi rimane soltanto la seconda strada: ottenere un prestito. Ma per fare debiti non basta la volontà di farli: bisogna trovare qualcuno che ci faccia credito. E non sempre lo si trova. Ne fa già l’esperienza qualunque disoccupato che si rechi in banca a chiedere un mutuo.
La realtà è diversa. Se l’attuale maggioranza continua così pervicacemente ad allarmare i mercati, arriverà fatalmente il momento in cui non soltanto nessuno ci concederà prestiti per nuove, grandiose spese, ma ci verrà negato persino il necessario per rimborsare i titoli in scadenza.
Se questo è il piano di Salvini e Di Maio, è veramente ingenuo. Loro pensano a spendere come ubriachi dopo le elezioni di maggio, io temo che le agenzie di rating declassino i nostri titoli a livello spazzatura (non nell’altra vita, alla fine di ottobre), e a quel punto la ricotta sarà sparsa per terra.
Questa politica, piuttosto che di deficit spending, mi sembra di deficit intellettivo.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com
9 ottobre 2018
LA RICOTTA DI SALVINI E DI MAIO
LA RICOTTA DI SALVINI E DI MAIOultima modifica: 2018-10-09T10:22:08+02:00da
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