GianniP

L’ODIO VERSO GLI STATI UNITI

Angelo Panebianco ha scritto sul “Corriere”(1) un editoriale che andrebbe studiato nelle scuole superiori di ogni ordine e grado. In sintesi, egli sostiene che, a forza di dir male di tutte le cose positive di cui fruiamo da tanto tempo – democrazia, prosperità, protezione americana – corriamo seriamente il rischio di perderle.
Rinviando alla lettura di quel prezioso e tuttavia sintetico testo, mi permetto di riprendere un solo punto: secondo Panebianco, l’America nazionalista e isolazionista di Trump, rinunciando al proprio ruolo di leader del mondo libero, mette a rischio questo mondo libero e condanna sé stessa alla decadenza. Non so in che misura abbia ragione, riguardo a tutto ciò, ma credo di conoscere una delle molle sotterranee del fenomeno.
Pur essendo gli Stati Uniti entrati in ritardo e malvolentieri nella Seconda Guerra Mondiale, tanto da potersi chiedere se, senza Pearl Harbour, non avrebbe prevalso l’isolazionismo, il loro peso alla fine si rivelò talmente preponderante, che molti ancora oggi hanno dimenticato che la principale potenza vincitrice – come efficacia, riguardo alla vittoria – fu la Gran Bretagna. L’Inghilterra resistette da sola, e per oltre due anni, all’attacco di un Hitler trionfante dai Pirenei alla frontiera con la Russia. Ma la trasformazione degli Stati Uniti da Paese lontano, emergente e abbastanza “burino” in superpotenza mondiale, egemone anche in Europa, non poteva non suscitare reazioni e invidie. Da 1945 soltanto la maggior parte dei vecchi, quelli che quell’esperienza l’avevano vissuta, conservarono la loro gratitudine e la loro simpatia per gli yankees. Molti – per idealismo, per stupidità, e anche per non sentirsi sudditi degli americani, divennero comunisti, vagheggiando il paradiso del socialismo reale. Dove era reale il socialismo ma non il paradiso. Ma questa è una vecchia storia.
Le nuove generazioni divennero schizofreniche. Da un lato adottarono un americanismo di facciata, con la supina imitazione delle mode più stupide e superficiali, a cominciare da una lingua che non hanno mai imparato, dall’altro l’ingratitudine, nei confronti dell’America, divenne endemica. Costante la critica verso la sua politica internazionale. L’interpretazione più malevola possibile dei suoi comportamenti fu la regola. Da un lato si pretendeva che l’America proteggesse la libertà del mondo intero – a sue spese e col suo sangue – dall’altro le si rimproverava di farlo. E se non lo faceva le si rimproverava di non farlo. In questo senso è esemplare la guerra del Vietnam.
Da occidentale impenitente, ho sempre conservato la mia gratitudine e la mia simpatia per gli americani, fino a perdonare loro, dopo la guerra, l’infinita serie di film in cui si sono autocelebrati, all’occasione ridicolizzando e calunniando i loro avversari. Le ragioni di gratitudine sono state tali da coprire qualunque colpa: il loro ingenuo nazionalismo, il loro conformismo, il loro bigottismo, la loro ignoranza, e tanti altri lati negativi. Ma del resto, chi non ne ha?
E in tutti questi anni ho sentito che col mio atteggiamento urtavo la sensibilità comune. Gli altri sembravano dovermi perdonare una devozione ingenua e in fondo stupida. Per loro la regola, come comandava il main stream, era la critica sempre e comunque. Quando non potevano negare un’azione generosa, dicevano che gli americani la facevano per il petrolio. Se regalavano merci e alimenti, lo facevano per acquistare clienti paganti, in futuro. Insomma, se fossi stato un americano che viveva in Europa, avrei desiderato ardentemente che gli Stati Uniti pensassero soltanto a sé stessi. Che lasciassero andare al diavolo il resto del mondo. Che non intervenissero mai più, fuori dai confini degli States, per nessuna ragione . La Cina comunista, via Pyong Yang, rendeva la Corea del Sud un suo feudo? Affari dei coreani. La Russia Sovietica invadeva l’Europa Occidentale e la rendeva schiava? Gli europei se lo sarebbero meritato. Garanzia atomica al Giappone? Che si difendesse da sé, facendosi la bomba. E se poi l’avesse usata per primo, per aggredire qualcuno? Affari asiatici. Molto lontani da San Francisco.
Lo so, è un atteggiamento eccessivo. Ma io non sto cercando di dimostrare che sia giusto: faccio soltanto l’ipotesi che sotterraneamente questo sentimento sia andato aumentando negli Stati Uniti, e il risultato, pressoché virulento, è Donald Trump. America first. Se, almeno per l’America, questo nuovo atteggiamento – forse conseguenza di un’onda molto lunga – sarà positivo o negativo, lo dirà la storia.
Quanto a noi europei, per anni abbiamo morso la mano che ci aiutava, e ora è arrivato il momento in cui il proprietario di quella mano ha tendenza a ritirarla.
Panebianco ha ragione: quando dice che gli europei si sbagliano pesantemente, pensando che non potrebbe mai andar male. Potrebbe eccome: politicamente, economicamente e militarmente. La corsa a tagliare le spese militari esemplifica perfettamente la nostra follia e renderebbe meritata qualunque serie di guai un giorno potesse attirarci la nostra debolezza. E quel giorno saremo fortunati noi vecchi, perché non ci saremo.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com
29 dicembre 2018

(1)https://www.corriere.it/opinioni/18_dicembre_27/perche-l-occidente-ha-perso-bussola-97e85690-0a08-11e9-a49c-4bf0b44c41d0.shtml

L’ODIO VERSO GLI STATI UNITIultima modifica: 2018-12-29T14:40:42+01:00da
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