GianniP

L’IMMIGRAZIONE TRA BENE E MALE

A chi, navigando al largo del Marocco, chiedesse: “Per raggiungere l’Atlantide devo andare ad est o ad ovest?”, bisognerebbe per forza rispondere che la domanda è mal posta. Prima bisogna infatti sapere se quel continente esiste. Perché, se non esiste, non esiste neppure una direzione giusta per andarci. Tutto ciò sembra elementare, e tuttavia la maggior parte del tempo ci si appassiona talmente al problema finale da non porsi la domanda che dovrebbe stare “a monte”. E dire che rispondendo ad essa a volte si risolve anche il problema “a valle”. In particolare per ll’immigrazione, i cittadini si dividono in favorevoli e contrari, ma pochi sono quelli che si chiedono: “Quale immigrazione?”
Negli Stati Uniti del 1776 gli americani si sono accorti di essere pochi e in possesso di un territorio sconfinato. E in quel momento il numero di abitanti era importante, perché la massima attività del tempo, l’agricoltura, non richiedeva ardue conoscenze tecniche, ma soprattutto uomini disposti a faticare nei campi. Per questo l’America fu pronta ad accettare chiunque, perché chiunque, volontariamente o forzato – ecco l’origine della schiavitù – era in grado di concorrere alla prosperità nazionale. I giovani Stati Uniti furono molto generosi nel concedere la cittadinanza: bastava (e basta ancora oggi) essere nati nel nuovo Paese.
Ora prendiamo un caso opposto: la Svizzera. Questo Paese è talmente piccolo che negli Stati Uniti entrerebbe più di duecentotrentotto volte. Per giunta, una grande parte della Confederazione è costituita da montagne, inutilizzabil per l’agricoltura. E tuttavia – ecco il punto interessante – questo piccolo Paese, privo di risorse naturali, è molto ricco e i suoi abitanti hanno uno dei più alti livelli di vita del mondo. Ciò perché quasi tutti gli svizzeri, invece di operare nell’agricoltura, svolgono lavori legati alle attività industriali (che richiedono specializzazione e alta tecnologia); alle attività finanziarie (in generale precluse ai semi-analfabeti),, e al turismo. Per conseguenza, l’immigrato che non ha una specializzazione o anche – semplicemente – che non parla tedesco, francese o italiano, ha ben poche probabilità di integrarsi nella vita sociale. Accolti i pochi che servono per i lavori più umili e faticosi, gli svizzeri chiudono le porte a tutti gli altri. E, quanto alla cittadinanza, bisogna sudarsela fino all’inverosimile.
E qui si cominciano ad avere le idee più chiare sull’immigrazione. Non è che gli americani del ‘700 fossero accoglienti e gli svizzeri di oggi razzisti ed egoisti. È soltanto che gli americani avevano bisogno di contadini (anche neri, prelevati con la forza) mentre gli svizzeri non ne hanno nessun bisogno e per loro riceverli sarebbe un peso. Ecco dunque la prima domanda che ogni Paese deve porsi: quegli immigrati ci servono? Se sì, attiriamoli, se no, respingiamoli. La questione non è etica, è fattuale.
Immediatamente dopo la questione economica, si pone la questione nazionale, cioè quella della possibile integrazione “culturale”. Israele è nato come “home” ebraico, piccolissimo rifugio per gli ebrei perseguitati. E dunque, anche se fosse grande come la Grecia, non potrebbe aprire le porte a tutti indiscriminatamente. La sua tolleranza potrebbe arrivare ad accettare atei ed agnostici, ma non potrebbe mai arrivare ad accogliere i musulmani cui è stato insegnato (nei decenni recenti, prima non era così) ad odiare e perfino ad uccidere gli ebrei. Nello stesso modo, un Paese prevalentemente musulmano farebbe male a favorire un’immigrazione massiccia di cristiani. Basti osservare i problemi che l’Egitto ha di già con i copti (anche se non certo per colpa loro). Per non parlare delle lacrime che ha dovuto versare l’Europa a causa degli integralisti islamici. Se è possibile, bisogna impedire l’immigrazione di etnie che fatalmente finiranno col costituire gruppi allogeni, come per esempio dei neri in un Paese di bianchi o dei bianchi in un Paese di neri, perché il colore della pelle determinerà sempre una distinzione. I “razzisti” saranno pure degli stupidi, ma ce ne sono molti dovunque.
A questo punto si può esaminare la situazione. L’Italia ha un eccesso di offerta di lavoro? Non si direbbe. E allora non abbiamo bisogno di nuovi disoccupati. L’Italia è un Paese bianco? E allora evitiamo di importare dei neri: saranno persone degnissime (e infatti i francesi li preferiscono ai maghrebini) ma hanno una pelle di colore diverso. L’Italia è un Paese cristiano o irreligioso? E allora evitiamo di importare persone le cui convinzioni religiose sono programmaticamente poco rispettose dello Stato laico, come impone l’Islàm. Tutti questi sono dati di fatto.
Ovviamente, se si fa dell’immigrazione soltanto una questione morale, ciò che è stato appena detto è un insieme di eresie inumane, razziste e fasciste, come è sempre di moda dire. Come se non fossero passati tre quarti di secolo dalla morte di Mussolini.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com
5 gennaio 2019

L’IMMIGRAZIONE TRA BENE E MALEultima modifica: 2019-01-08T08:37:03+01:00da
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