GianniP

IL RITIRO DALL’AFGHANISTAN

La guerra è stata definita come il modo violento usato da un Paese per costringere un altro Paese a dare, fare o tollerare qualcosa. Dal momento che si tratta comunque di qualcosa di costoso, si tenta prima di ottenere lo stesso risultato con la diplomazia, le minacce, le ritorsioni commerciali. Se infine non rimane altra opzione, si passa alla guerra, ed è questa la ragione per la quale Clausewitz ha definita: “la prosecuzione della politica con altri mezzi”.
Tutti sanno che le guerre si possono vincere e si possono perdere, ma non tutti tengono conto di una distinzione importantissima che sta a monte: ci sono guerre che si possono vincere e guerre che non si possono vincere. E un governo avveduto deve essere in grado di riconoscere queste ultime, in modo da evitarle. Qualcuno potrebbe pensare che capire questa cosa in anticipo sia impossibile, ma così non è. Al riguardo è indimenticabile il caso della guerra nel Vietnam, quando il Generale McArthur, cheavrà avuto un caratteraccio ma certo era competente, raccomandò caldamente di non impegnarsi in quel conflitto. Non fu ascoltato e sappiamo com’è finita. Quel grande comandante aveva visto nella natura del terreno un nemico invincibile. Ovviamente in uno scontro campale non ci sarebbe stata partita. Ma – appunto – si trattava di scontri campali, in quello scacchiere?
E soprattutto: ammesso che gli Stati Uniti avessero invaso l’intero Vietnam, del Nord e del Sud, si sarebbe per questo spenta la guerriglia? E quando si fossero stancati di quell’occupazione e fossero andati via, quanto tempo sarebbe durato in carica il governo a loro gradito? Più o meno quanto poi durò quello del Vietnam del Sud, dopo la loro partenza.
Quella del Vietnam non fu una sconfitta, per gli Stati Uniti, come si dice sempre: fu piuttosto uno sforzo costoso e inutile, che alla lunga non poteva finire che com’è finito. Non è strano che quella guerra l’abbia molto ampliata un Presidente idealista come Kennedy, e l’abbia conclusa un Presidente pragmatico come Nixon.
Tutto ciò può essere applicato pressoché pari pari al caso dell’Afghanistan. Qui il problema non è la natura del terreno ma la natura della gente. Si può obbligare un intero popolo a divenire moderno o retrogrado? Tollerante o intollerante? Colto o incolto? Ovviamente no. È come se si chiedesse: si può obbligare un intero popolo ad essere stupido o intelligente?
In Afghanistan la maggior parte dei cittadini preferisce la teocrazia alla democrazia, la religione alla scienza, la shariah allo Stato di diritto. Alla scuola obbligatoria preferisce l’analfabetismo delle donne e l’ignoranza di tutti. E ogni tanto ama lo spettacolo dell’adultera, vera o presunta, lapidata in pubblico. Non sto dicendo, come dicono alcuni coraggiosi “progressisti”, che ogni popolo ha la sua cultura. Per la nostra sensibilità occidentale, quella nazione ha tendenza a usi ed istituzioni intollerabili, dal nostro punto di vista. Ma una cosa è certa: potremmo occupare quel Paese per anni, come hanno fatto gli inglesi, i russi, e più recentemente gli americani, e poi, non appena l’occupante se ne va, gli afghani tornano ai loro costumi. E dal momento che nessuno – che abbia la testa che funziona – pensa di impegnarsi in una costosa ed eterna occupazione, è chiaro che la soluzione finale sarà sempre la stessa. Se un giorno le cose cambieranno, sarà per evoluzione endogena. Come il Vietnam che da comunista è divenuto un affezionato cliente degli Stati Uniti. Ma per l’Afghanistan le speranze sono più tenui, forse anche per l’avara natura del loro territorio.
Quella dell’Afghanistan era una guerra che non si poteva vincere. Dunque da non cominciare. Se si voleva punire Kabul per aver rifiutato di consegnare un terrorista corresponsabile dell’attentato alle Torri Gemelle, bastava qualche bombardamento all’americana, e si può star certi che gli afghani avrebbero pagato caro il loro rifiuto. Per informazioni, rivolgersi a Dresda.
In materia di libertà repubblicane, gli americani hanno avuto successo con Paesi come la Germania, l’Italia, ed altri Paesi in cui c’erano state dittature, perché nello spirito dell’Occidente c’è la lezione mai dimenticata dell’Illuminismo, della Rivoluzione Francese e della democrazia. Infatti sono subito ridivenuti democrazie persino Paesi – come la Polonia, la Repubblica Ceca e gli Stati Baltici – che ne erano stati privati per mezzo secolo. Mentre non ne sono capaci i Paesi mediorientali, con l’unica eccezione di Israele.
Ovviamente, inutile farsi illusioni: anche in questa occasione si parlerà di sconfitta americana in Afghanistan. E ciò soprattutto, come è fatale, non appena i Talebani, contravvenendo agli accordi, riprenderanno l’intero potere e tiranneggeranno tutta la popolazione. Gli americani certo non avranno vinto questa guerra, perché per loro era impossibile sia vincerla sia perderla. Ma la sconfitta maggiore l’avrà comunque subita la loro intelligenza.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com
30 gennaio 2019

IL RITIRO DALL’AFGHANISTANultima modifica: 2019-01-30T10:10:55+01:00da
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