GianniP

MASSAIE E COCCODRILLI. QUALCHE CONCETTO D’ECONOMIA

Due articoli
I concetti fondamentali dell’economia divengono astrusi quando si nutrono di coordinate cartesiane, di formule matematiche, di termini tecnici e di teorie complesse. Ma di solito tutto ciò si ha quando si parla di macroeconomia. Quando invece si scende sul quotidiano, e si accenna a quella che, con disprezzo, si chiama “l’economia della massaia”, tutto diviene non soltanto chiaro, ma anche difficilmente contestabile. Se due negozi molto simili vendono la stessa merce a prezzi diversi, si può star sicuri che tutte le massaie del mondo, inclusi i professori universitari di economia, se devono comprare qualcosa, lo faranno nel negozio dove costa meno. Questo perché, al livello di base, l’economia è una legge universale. Chi, per spostarsi nello spazio cerca di seguire la linea retta, perché è la più breve, fa una scelta econimica. La stessa che fa il leone quando può rubare la preda alle iene, invece di cacciarla da sé. È proprio partendo da questa mentalità terra terra che si potrà capire qualcosa di più della ricchezza e del lavoro.
Per la ricchezza, molti sono convinti che, se qualcuno è molto ricco, e molti altri sono poveri, ciò può essere avvenuto per una sola ragione: perché il primo ha rubato qualcosa ai secondi. Ma è proprio così? Se un tizio sta morendo di fame ed ha soltanto un secchio d’acqua, e un altro tizio ha parecchio da mangiare, ma sta per morire di sete, è ovvio che, procedendo ad uno scambio, staranno meglio tutti e due. Se qualcuno compra un giornale è chiaro che per lui, in quel momento, il giornale vale più di due euro, mentre per l’edicolante il giornale vale meno di due euro, e cedendolo al cliente fa un affare. Quando lo scambio è volontario, dopo lo scambio ambedue i contraenti sono più contenti di prima, e ciò significa che ambedue sono “più ricchi” di prima, non uno più ricco di prima e uno più povero di prima. La ricchezza non è un dato costante, tale che ogni scambio deve essere a somma zero. Dopo lo scambio, tutti i soggetti saranno più ricchi, e questo in base al principio economico denominato, appunto, “utilità dello scambio”. Del resto ci sono “utilità” che si possono regalare senza che si diminuisca la quantità di ciò che si aveva: per esempio il sapere.
Il pregiudizio della ricchezza costantemente a somma zero è talmente stupido, che sarebbe capace di smentirlo un rinoceronte. Il bestione permette agli uccelli di stargli in groppa e nutrirsi dei suoi parassiti, esattamente come il coccodrillo tiene la bocca aperta perché un uccello vada, cibandosene, liberandogli i denti dai residui di cibo. Pachidermi, coccodrilli e pennuti sanno di avere interesse allo scambio e sanno anche che nessuno si “impoverisce”, con esso.
Le cose non vanno diversamente fra gli uomini. Quando Henry Ford ha l’idea di lanciare la Ford T per motorizzare l’intera America, non deruba nessuno. A conclusione dell’operazione lui si sarà arricchito, ma migliaia di operai avranno avuto un lavoro e migliaia di americani avranno avuto un’automobile, anche se piccola e spartana. Ford ha “creato”, non “spostato” ricchezza. E a lui deve andare la gratitudine della nazione, non l’invidia o la condanna. Chi non capisce l’utilità dello scambio (a dir poco, ma si potrebbe dire molto di peggio) non sa nulla di economia.
Purtroppo questo genere di errore si estende anche al mondo del lavoro. Salvo che nel caso della schiavitù e dei lavori forzati, anche quello tra prestazione d’opera e remunerazione è un libero scambio a conclusione del quale nessuno è sfruttato, ma ambedue i contraenti sono più ricchi. Può essere vero che ciascuno tiri la corda dalla sua parte, come in ogni negoziato, ma alla fine, se si accetta il patto, è segno che, anche se esso è un po’ sbilanciato, conviene ancora ai contraenti, diversamente non l’accetterebbero.
Su questo punto non si insisterebbe mai abbastanza. Immaginiamo un primitivo che sia il miglior cacciatore del suo villaggio. Quest’uomo un giorno fa ad un collega molto meno abile di lui questa proposta: “Tu vieni con me a caccia, mi porti le frecce, le lance, le corde, vai a prendere la preda quando la colpisco, mi aiuti a trasportarla a casa. E io in compenso ti darò un terzo della carne”. Se l’altro accetta abbiamo un contratto di lavoro. Prima domanda: costui è stato costretto ad accettarlo? Certamente no. E da che cosa è nato il contratto? Dal fatto che è utile a tutti e due. Infatti in conclusione saranno ambedue più ricchi di prima.
È questa convenienza che ha fatto nascere il lavoro dipendente. Sicché è assolutamente stupido parlare di “creazione di posti di lavoro”. Il lavoro non nasce da una sorta di volontà divina (“Fiat!”, cioè: “Sia fatto!”, come poteva esprimersi l’Onnipontente). Nasce da un accordo fra le parti, in cui ognuno persegue il proprio interesse. .
Ovviamente in una società sviluppata e complessa, come quella dei grandi Paesi industrializzati, ci sono molte altre componenti. Il fisco, in primo luogo. Le spese per previdenza e assistenza. L’avidità dei datori di lavoro, con i loro cartelli (vietati dalla legge) e l’avidità dei lavoratori, con i loro sindacati, ma alla fine della fiera se, malgrado tutti questi ostacoli, il lavoro conviene, si avrà l’occupazione. Se invece non conviene, si ha la disoccupazione. Si possono studiare le ragioni del fenomeno e giudicarlo comunque si voglia, ma una cosa è chiara: lo si potrà risolvere soltanto rendendo di nuovo conveniente il lavoro, sia per il datore di lavoro sia per il prestatore d’opera. Sarà un proverbio banale, ma è proprio vero che si possono portare i cavalli all’abbeveratoio ma non si può obbligarli a bere. Nel caso del lavoro, è ancora più semplice: i cavalli hanno sempre sete, e l’unico problema è quello di non annullare la convenienza del lavoro.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com
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MASSAIE E COCCODRILLI. QUALCHE CONCETTO D’ECONOMIAultima modifica: 2019-03-12T07:47:02+01:00da
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