GianniP

MARX SI È SBAGLIATO SULL’UTILITA’ DELLO SCAMBIO

La lettura di una monografia su Karl Marx(1) si è rivelata talmente sorprendente, su un punto della sua teoria, che ho letto alcune pagine almeno tre volte, per essere sicuro di avere capito bene.
Marx nega l’utilità dello scambio. Un principio che per me è sempre stato un’innegabile evidenza economica(2). In sintesi: ammesso che un oggetto costi dieci euro, chi lo compra preferisce l’oggetto a dieci euro, chi lo vende preferisce dieci euro all’oggetto. E dopo la compravendita ambedue sono contenti dell’affare fatto. Si chiama utilità dello scambio. In altri termini, benché abbiano scambiato x contro y, e pur essendo certo che, in termini monetari, x=y, dopo lo scambio è come se il primo avesse x+v, e il secondo y+v, dove “v” è il valore in più attribuito a ciò che si ottiene (diversamente non si avrebbe lo scambio). Dunque è vero che nello scambio di merci di pari valore (anche il denaro è una “merce”) si ha un pareggio, ma Marx non considera che da sola la parità di valore commerciale non determina lo scambio. Se ho in tasca dieci euro, e un libro costa dieci euro, ma io non ho voglia di leggerlo, non lo comprerò. Se lo compro, è segno che il piacere di leggerlo vale più di dieci euro, e quel “di più” si chiama utilità dello scambio. Sorprendentemente, Marx non sembra d’accordo. Provo a dimostrarlo con una citazione.
Secondo il saggio citato (Pag.110), “Ogni produttore-possessore di merci le scambia con altre (con la mediazione del denaro) che hanno lo stesso tempo di lavoro incorporato. Di conseguenza, nel mercato, nella circolazione delle merci, ogni produttore esce con lo stesso valore con cui è entrato, avendo solo cambiato tipologia della merce trasportata; portava grano, che aveva in eccesso, ed ora ha lo zucchero, di cui aveva bisogno. Potremmo dire che torna a casa col suo, non porta via niente di niente”. Tutto ciò è completamente falso. Se, scambiando le merci, non ne ritraesse nulla, non scambierebbe le merci. E se le scambia, è segno che ne ritrae un vantaggio. Un surplus di ricchezza.
Quando ho letto questa teoria di Marx, mi sono chiesto se non avessi le traveggole, ma lui prosegue il suo ragionamento applicandolo per giunta in modo asimmetrico al rapporto di lavoro.
Prima ha parlato di colui che ha delle merci (o denaro) da scambiare al mercato. Poi parla del lavoratore, che ha soltanto la sua prestazione da offrire. E qui si ha lo scambio lavoro-salario, che, secondo Marx, è simile e conforme agli altri scambi. Dunque avviene (o dovrebbe avvenire) sulla base che x è uguale a y, in termini di valore (o di denaro). Il capitalista, per produrre, ha bisogno di macchine e di operai. Egli (Pag.111) “Realizza uno scambio mercantile conforme alla legge del valore. In questa operazione non si appropria di valori altrui, esce con lo stesso valore con cui è entrato, sebbene sotto forma di macchine e di forza lavoro”. Descrive questa (irrealistica) ipotesi per dimostrare che, se il capitalista fosse onesto, non dovrebbe guadagnare nulla. E già questo è sbagliato. Chi compra o vende, non esce dal mercato con lo stesso valore, diversamente nemmeno ci sarebbe andato. Ma andiamo avanti.
Il capitalista acquista macchine, lavoro e produce beni che poi vende. Marx vede dunque tre fasi: il capitalista prima è acquirente di mezzi di produzione (con uno scambio che secondo lui, essendo sempre alla pari, non gli procura nessun vantaggio), poi è venditore (con uno scambio che secondo lui, essendo sempre alla pari, non gli procura nessun vantaggio), e dunque quand’è che guadagna? Guadagna, secondo Marx, quando paga l’operaio meno della ricchezza che quello produce col suo lavoro (lucrando il plusvalore). Da qui lo sfruttamento del lavoratore, il suo risentimento, la lotta di classe e in prospettiva la rivoluzione mondiale. Mai tanta intelligenza fu usata per dire sciocchezze.
Il capitalista diviene più ricco quando compra i macchinari, diversamente non li comprerebbe, quando paga gli operai, diversamente non li pagherebbe, e quando vende la merce prodotta, diversamente non la venderebbe. Ognuno di quegli scambi, liberamente operati e desiderati, ha aumentato la ricchezza complessiva. Sono più ricchi coloro che gli hanno venduto i macchinari, gli operai che hanno ricevuto il salario liberamente pattuito e coloro che hanno comprato le merci prodotte.
Del resto, come mai Marx non si accorge di essere entrato in contraddizione con sé stesso? Se ogni scambio è a somma zero, come mai soltanto lo scambio lavoro-salario non sarebbe a somma zero? Forse, direbbe Marx, perché bisogna pure spiegare la ricchezza finale del capitalista. Ma le risposte sono due: in primo luogo, non c’è nessun mistero, tutti si arricchiscono; in secondo luogo, se il capitalista si arricchisce di più, è perché la sua personale “produzione” (quella derivante dallo “spirito imprenditoriale”) sul mercato vale di più della capacità di lavorare con le proprie braccia. Infatti guadagna molto di più, per un’ora, il ginecologo o il dentista, del semplice operaio. Perché la sua prestazione è più richiesta. Senza dire che il dentista non corre il rischio di fallire, mentre il capitalista/imprenditore rischia il suo denaro, se sbaglia il modo di condurre la sua azienda.
Così risulta peregrina ed infondata la perorazione finale che il saggista riferisce, attribuendola a Marx (Pag.113): “Precisamente così si risolve il mistero di questa valorizzazione e della continua crescita del capitale: si fa a spese dello sfruttamento del lavoratore, pagandogli la forza lavoro al suo valore di merce, al suo valore di produzione, e non al valore che questa forza lavoro realmente aggiunge. La ricchezza del padrone, che genera la sua povertà, proviene dal suo lavoro. Lo scontro di classe si rivela inevitabile, dal momento che il capitalismo non può esistere senza valorizzare il capitale, e ciò implica inesorabilmente lo sfruttamento. Pertanto la tesi della lotta di classe e della necessità della rivoluzione resta così fondata oggettivamente nella logica del capitalismo”. Questo è un delirio derivante da una premessa erronea: l’idea che lo scambio sia a somma di ricchezza zero. E dimenticando che, agli occhi del lavoratore, il salario vale più della sua prestazione, diversamente si terrebbe la prestazione e rifiuterebbe il salario, esattamente come avviene per qualunque altro scambio.
Mai avrei creduto che un secolo di marxismo fosse fondato su un errore così banale. Ma la mia ignoranza potrebbe avermi indotto in errore e – appunto per questo – sono qui pronto ad ascoltare chi avrà la bontà di correggermi.
Gianni Pardo,
giannipardo1@gmail.com
14 marzo 2019
(1)Marx, dall’agorà al mercato, di José Manuel Bermudo, Editore Hachette Fascicoli s.r.l. Milano 2015.
(2) https://giannip.myblog.it/2019/03/12/massaie-e-coccodrilli-qualche-concetto-deconomia/

MARX SI È SBAGLIATO SULL’UTILITA’ DELLO SCAMBIOultima modifica: 2019-03-15T07:31:32+01:00da
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