GianniP

IL FASCISMO NON È MORTO

Immagino di essere fra i pochi ancora vivi che hanno avuto il tempo di essere fascisti. Di essere Figlio della Lupa non m’importava nulla, ma aspettavo di divenire Avanguardista. Infatti adoravo i pantaloni alla zuava. Invece Mussolini perse la guerra, arrivarono gli Alleati con le jeep, la gomma americana e interi capitali da spendere con le puttane, e di pantaloni alla zuava non si parlò più. Almeno così credevo io.
E non solo io. I “grandi” parlavano della guerra al passato e non capivano che diamine volesse fare Mussolini, con l’aiuto di quattro ragazzacci. Era evidente che non avrebbero cavato un ragno dal buco. Agli alleati i soldi e gli armamenti uscivano anche dagli occhi e il fascismo, che già era materia di barzellette mentre ancora il Federale poteva fare paura, dopo il 1943 passò dall’umoristico al patetico. Infine si asciugò come una macchia d’acqua al sole.
Almeno, così si visse la cosa da queste parti. L’intera Italia Meridionale, con una saggezza e un pragmatismo che risaliva ai greci e a quei magliari dei fenici, desiderava soltanto archiviare la guerra, riempirsi finalmente la pancia, ritrovare, se non i lussi, almeno le piccole soddisfazioni di un tempo: il caffè fatto col caffè, e non con l’orzo, il pane bianco, la cioccolata. Sperando sempre che la casa lasciata in città non fosse stata distrutta dai bombardamenti.
Errore. Non avevamo capito niente. Non era affatto vero che il fascismo aveva perso la guerra. Il fatto che gli alleati avessero risalito l’intera penisola, il fatto che De Gaulle e il Generale Leclerc avessero sfilato lungo gli Champs Elysées, il fatto che i russi fossero arrivati a Berlino, talmente distrutta che sembrava spianata col mattarello, erano tutte illusioni ottiche. Il fascismo aveva più teste dell’Idra, era più immortale degli dei dell’Olimpo, e se per caso qualcuno credeva di averlo ridotto in cenere, rinasceva dalle ceneri come la mitologica Fenice.
Prima avevamo vissuto sereni sotto il fascismo, dovendo pagare soltanto lo scotto di un regime parolaio e ridicolo, poi avevamo assistito impassibili a quello che credevamo il suo trapasso, e non sapevamo che soltanto dopo saremmo vissuti con l’angoscia di questo potere immortale e insidioso. I migliori di noi lottavano contro il fascismo, avvinghiati con esso in una lotta mortale, come Ercole e Caco. O era Anteo? Poco importa. La nostra fortuna era che decine e decine di milioni di partigiani, da tutte le montagne, sparavano a valle contro sparuti gruppi di nazisti terrorizzati. In una lotta senza tregua e senza fine.
Tutti siamo capaci di un singolo atto d’eroismo, ma oggi la nazione è chiamata all’eroismo della Resistenza, cioè l’eroismo ultradecennale, quasi secolare. Si deve continuare a lottare anche quando si è stanchi, anche quando è passata un’eternità dall’ultima volta che abbiamo avvistato il nemico, e soprattutto quando ci illudiamo di averlo vinto.
Ormai, da oltre settant’anni, abbiamo capito che questa guerra non potrà mai essere vinta. Possiamo sopravvivere soltanto se manteniamo integra la nostra vigilanza. Se ci dichiariamo antifascisti almeno un paio di volte al giorno prima dei pasti. Se proclamiamo di non voler condividere uno scompartimento di treno con uno il cui bisnonno una volta gridò: “Viva il Duce!” Soprattutto se accettiamo che l’Italia sotto il fascismo soffrì più degli ebrei ad Auschwitz. Infatti il fascismo, lo hanno stabilito legioni di studiosi (e guai ad ipotizzare il contrario) semplicemente non poté fare una singola cosa buona, nemmeno per sbaglio. Bisogna riconoscere che esso annullò la democrazia tanto completamente che, una volta abbattuto, l’Italia non sapeva più che cosa fosse. Non riusciva a ricordare che regime avesse, prima del 1922, e i partigiani sono stati costretti ad inventare un tipo di regime nuovo, fondato sui valori della Resistenza: cioè la democrazia. Un tipo di regime ignoto a tutti i governi contemporanei e del passato.
Che difficile impresa, questa lotta contro il fascismo. E che forza deve avere questa ideologia, se in un Paese di sessanta milioni di abitanti che pensano al lavoro, alle tasse e, se gli rimane tempo, al calcio, un gruppetto di scalmanati, dopo essersi riuniti in un ascensore, riesce a mettere la nazione in pericolo semplicemente con un saluto romano.
Per fortuna i valori della Resistenza, essendo resistenti, resistono. L’essenziale è essere antifascisti, poi è permesso tutto. I partigiani, per esempio, erano in larga parte sostenitori di Stalin, ma Stalin era antifascista e tanto bastava. Probabilmente, se il Diavolo si fosse proclamato antifascista, sarebbe stato preferito a quel manesco fascista dell’Arcangelo Gabriele.
Forse è meglio che mi fermi. Comincio a smarrirmi. Per questo cerco almeno di salvarmi l’anima con alcune professioni di fede: sono contro l’eresia monofisita e contro le streghe; riconosco che l’Italia ha sbaragliato il nazismo, ridando la libertà all’Europa; ammetto che il cambiamento climatico – che non ho nemmeno visto, ma se è per questo non vedo nemmeno i fascisti – è colpa di Mussolini; ammetto che i fascisti vanno condannati senza processo, perché i processi, nel loro caso, sarebbero una perdita di tempo. Come i libri di De Felice. Infine ammetto, perché l’ho visto con i miei occhi, che dal 1943 al 1944 si scoperse che prima, in Italia, non c’era stato nemmeno un fascista e la guerra l’ha perduta il solo Mussolini.
Ma ciò non impedisce ad uno sterminato esercito di ombre fasciste di minacciarci. Nessun dorma.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com
12 maggio 2019

IL FASCISMO NON È MORTOultima modifica: 2019-05-14T09:09:14+02:00da
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