GianniP

PERCHÉ TAGLIEREI QUELLA TESTA

Sulla Terra, la massima parte degli esseri viventi ignora l’autocoscienza. Ne sono esenti tutti i vegetali, ne sono esenti anche i microbi, gli insetti e insomma pressoché tutti gli animali, con l’unica eccezione (forse) dei mammiferi superiori. Infine si può ragionevolmente affermare che, fra tutti gli esseri viventi, mammiferi superiori compresi, soltanto l’uomo sa di dover morire. Egli è sufficientemente intelligente da dedurre, dal fatto che tutti coloro che sono nati centocinquant’anni prima sono morti, che morirà anche lui.
Pessima notizia. Se si ha un grave incidente, se si verifica un forte terremoto, se il motore del nostro aeroplano ha un’avaria, non sappiamo se stiamo vivendo gli ultimi minuti della nostra vita o un episodio fra gli altri, che poi racconteremo agli amici. In qualunque momento di difficoltà conserviamo almeno una piccola speranza del “dopo”, ma quanto al fatto di evitare l’esito finale, non c’è speranza alcuna. Come dicevano i romani, certus an, incertus quando: è sicuro che il fatto si verificherà, soltanto non sappiamo il quando. Questa nozione, che non condividiamo con nessuno degli esseri viventi, è uno svantaggio non da poco. Gli scimpanzé sono più spensierati di noi. Ed ecco che a questo punto si può giocare con la fantasia. Ma comincerò con un ricordo di gioventù.
Quand’ero ragazzo ponevo delle domande tremende. Ai teologi amici chiedevo: “Se Dio è perfetto, e dunque non gli manca niente, che bisogno aveva di creare l’uomo?” E loro, invece di mandarmi ad una loro vecchia conoscenza, il Diavolo, mi spiegavano che Dio aveva creato l’universo come contorno della Terra, la Terra come dimora dell’uomo e l’uomo per il piacere di renderlo felice. “Per la verità, osservavo, non mi pare proprio, che l’uomo sia felice”. “Ma lo era Adamo, e se l’uomo non lo è ancora oggi è perché, avendolo creato Dio libero, è stato libero di peccare”. “Che brutto regalo, la libertà di peccare! È come la libertà di sbagliare le curve, guidando l’auto a velocità”, obiettavo. E proseguivo, sempre a proposito di automobili: “Ammettiamo che un’auto si schianti contro un muro perché si sono rotti i freni. È ovviamente un difetto di fabbrica, no? E allora perché non dovrebbe essere lo stesso per l’uomo? Se ha peccato, non potrebbe essere colpa di chi lo ha creato libero?” I teologi, all’ipotesi di una colpa di Dio, aggrottavano la fronte ed io sviavo il discorso, tornando all’inizio: “Perché Dio ha creato l’uomo?” “Dio è il Bene, scolpivano quelli, e bonum est diffusivum sui, il Bene ha tendenza ad espandersi, È lieto di donarsi”. Belle parole, che però non mi convincevano. “Se ho voglia di far felice un goloso – ipotizzavo – non gli regalo tre torte di cui una avvelenata, dicendogli di stare attento. È più semplice non regalargli una torta avvelenata”. Insomma, già dall’adolescenza, si vedeva che non ero nato per essere credente.
Così, continuando a giocare con la fantasia, invece di interessarmi dell’origine dell’uomo, provo ad immaginare che il Dio di cui parla la Bibbia sia morto, come sostenne oltre un secolo fa Nietzsche. Immagino pure che l’universo. a causa di una serie d’intricate vicende genealogiche, sia stato ereditato, senza beneficio d’inventario, da uno che era al trecentounesimo posto, in linea di successione. Un certo Gianni Pardo.
Il poveraccio, che fino al giorno prima era assolutamente un nessuno, fu tutt’altro che lieto della carica. Diversamente da certi politici attuali, non si reputava all’altezza del compito affidatogli, ma quando ti mettono in mano il timone, non è che si migliorino le cose, se si lascia che la nave vada alla deriva. Così G.P. cominciò a chiedersi come potesse mettere rimedio al disastro che aveva davanti.
Cominciò dalla savana. Essendo dotato di poteri straordinari, poteva eliminare l’angoscia delle vittime abolendo la predazione. Ma gli rimaneva il problema di come nutrire i predatori. Pensò di abolire la morte, e subito gli prospettarono il problema della sovrappopolazione di tutti gli esseri viventi. Ogni volta che ipotizzava un grande cambiamento, l’Arcangelo Ecologista gli faceva notare le conseguenze impreviste della decisione, tanto che alla fine, dopo un paio di mesi di studio, G.P. decise che il problema era insolubile. Non si trattava di un difetto di fabbrica: era sbagliata l’idea stessa di creare la Terra. E così gli venne in mente un episodio attribuito a Caligola. Una volta l’imperatore disse: “Vorrei che il popolo romano avesse una sola testa”. “E perché?” “Perché taglierei quella testa”. Che fosse questa la soluzione? In fondo, non soffre mai soltanto chi non la capacità di soffrire. Non soffre mai soltanto chi non esiste.
“Chiamatemi l’Arcangelo Ingegnere”, disse G.P. E, quando questi fu venuto, gli chiese se ci fosse modo di eliminare la Terra d’un sol colpo, senza far soffrire nessuno. L’Arcangelo scosse la testa: “Lei non ha letto il Manuale delle Istruzioni che Le ho fatto avere. Diversamente, non mi avrebbe fatto questa domanda”, disse l’Ingegnere. “Basta che Lei pigi il tredicesimo pulsante rosso, sulla destra, quello con una ‘X’ sopra”. G.P. non se lo fece ripetere. Un attimo dopo aveva risolto i problemi di tutti gli esseri viventi, che ne fossero più o meno coscienti.
Né Saturno, né Giove, né Marte sentirono la mancanza della Terra.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com
9 ottobre 2019

PERCHÉ TAGLIEREI QUELLA TESTAultima modifica: 2019-10-11T09:07:35+02:00da
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