GianniP

S’I FOSSE DI MAIO

Il Movimento 5 Stelle è in gravi difficoltà, basti dire che ad ogni elezione i suoi voti calano. Luigi Di Maio, fino a nuovo ordine, ne è il capo politico, e ci si può chiedere: sta agendo bene? Fa bene gli interessi suoi e del Movimento? A queste domande sembra non esserci risposta, se non quella che darà il tempo. Lo stesso Di Maio rimane ambiguo e non ci aiuta a capire: provoca tanto il Pd quanto Giuseppe Conte ma ciò non significa che voglia far cadere il governo, perché per lui sarebbe un disastro. E allora perché lo fa? Forse per predisporsi una base di consenso, all’interno del Movimento, quando tutto salterà in aria? Chissà.
Altra perplessità. Le elezioni regionali in Umbria sono state una tragedia, ma non è una buona ragione per favorire la Lega, in Emilia, presentandosi da soli e spezzando l’argine anti-Salvini. Magari bissando il 7% ottenuto in Umbria. Neanche questo si capisce.
A volte per comprendere il prossimo può essere utile mettersi nei suoi panni, ma in questo caso, se io fossi Di Maio, non saprei che fare. Mettiamola così: per vincere un Gran Premio si deve essere grandi campioni. Ma bisogna anche avere un’eccellente auto di Formula 1. Se al miglior campione del mondo si dà un’auto lenta e instabile, neanche lui può fare miracoli. Così, per quanto riguarda il partito creato da Beppe Grillo, ecco la domanda onesta: è mal guidato o è in una crisi irreversibile? Di Maio non nuota nella stima universale ma è colpa sua se il Movimento 5 Stelle si va liquefacendo? Probabilmente no.
Nel tempo della Prima Repubblica, la democrazia era bloccata, e la Dc è potuta rimanere al governo per un’eternità. Ma in una democrazia normale la prova del governo è esiziale quasi per ogni partito. Perché – soprattutto dalle nuove formazioni – gli elettori si aspettano la Luna e nessun partito può consegnarla. Così, dopo il momento della protesta e della speranza, gli elettori tornano ad uno dei vecchi partiti, e non perché lo stimino, non perché si aspettino chissà che da esso (ché anzi ne sono largamente delusi) ma perché lo giudicano “il meno peggio”. Il partito del “meno peggio” è il più grande, e soltanto quello dell’astensione può fargli concorrenza.
Il Movimento per anni ha parlato di un rinnovamento etico (Onestà! Onestà!), economico, sociale, industriale e forse etologico. Il massimo delle speranze riassunte nella parola cambiamento. Qualcosa che i pentastellati non avrebbero promesso se avessero letto “L’Ancien Régime et la Révolution”, di Alexis de Tocqueville. Infatti con la rivoluzione del 1789, la Francia è cambiata molto meno di ciò che si potrebbe pensare. Per giunta quel Paese sembra affezionato alle rivoluzioni, tanto che nel 1968 ne fece una inconcludente solo per tenersi in esercizio. Mentre l’Italia alle rivoluzioni è allergica. Come diceva Leo Longanesi, noi italiani vorremmo fare la rivoluzione col permesso dei carabinieri. Figurarsi dunque quanto era probabile che qualcuno riuscisse a realizzare il programma del Movimento. E infatti i vecchi e i saggi ne risero. Ma i giovani, gli ingenui, i meno colti lo presero sul serio. E dunque oggi sono delusi.
Come se non bastasse, il comprensibile egoismo dei suoi stessi parlamentari gli ha dato il colpo di grazia. Quando Salvini ha fatto cadere il governo, si sarebbe dovuti tornare alle urne. O – almeno – è quello che avrebbe dovuto desiderare il Movimento, almeno per dire: “Non abbiamo fatto i miracoli promessi perché quel fetente di Salvini ha fatto cadere il governo”. Purtroppo, questa ragionevole soluzione entrava in conflitto con gli interessi degli eletti in Parlamento. Costoro erano tutt’altro che sicuri di ripetere l’exploit del marzo 2018. E allora il Movimento, divorziando dai suoi elettori, si è alleato col Pd. Così, dopo tanto gridare “Onestà, onestà!”, dopo aver proclamato per anni ed anni che non si sarebbero alleati con nessuno, perché nessuno era abbastanza puro, i parlamentari si dimostravano disposti ad allearsi con chiunque, anche col Diavolo, pur di non giocarsi la poltrona. La poltrona, fino ad ora, l’hanno salvata, ma non il Movimento. Ecco perché Di Maio ha tutte le ragioni per essere di pessimo umore. Ormai, qualunque cosa faccia, sbaglia. Almeno, questo è ciò che pensano gli altri. Mentre la realtà è che probabilmente quella macchina è un catorcio. L’esperienza di governo, insieme col cambio di casacca, ha piantato fra le scapole del Movimento un coltellaccio da salumiere, senza lasciargli scampo.
E così, posso finalmente rispondere al dubbio iniziale. S’i fosse Di Maio, mi terrei stretta la (immeritata) carica di Ministro degli Esteri e poi, considerando che con questo esercito non posso vincere la guerra, lascerei la carica di capo politico, per non intestarmi la titolarità della sconfitta.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com

3 novembre 2019

S’I FOSSE DI MAIOultima modifica: 2019-11-04T10:19:22+01:00da
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