GianniP

MIOPIA DEL GOVERNO

Ho una causetta in corso. Penso di avere incontestabilmente ragione e tuttavia trepido: come finirà? Una cosa è aver ragione, un’altra vedersela dare. Fra l’altro (come sostenevo in un vecchio articolo, “Stultitiae Cupiditas”) la tesi balzana e imprevista, per dar torto a chi ha ragione, ha un suo fascino per i cretini. E chi dice che il mio giudice non sia un cretino?
Ma racconto questo per dire che, comunque finisca la mia causa, quand’anche in modo scandaloso, la cosa non avrà nessuna importanza per l’Italia. Già ne avrà poca per me, infatti la causa non l’ho cominciata io. Ma non è sempre così. Il fatto che la giustizia sia estremamente lenta, in Italia, pesa su tutti, e soprattutto sull’economia italiana. Se un’impresa straniera pensa di investire da noi, deve anche fare il calcolo se potrà eventualmente permettersi di aspettare anni che i giudici decidano. Si pensi alla vicenda dell’ex Ilva. E infatti nel dubbio si astiene.
Se un singolo è vittima di un’ingiustizia, sono affari suoi. Se il caso ha invece un rilievo internazionale, le cose cambiano. C’è un caso sul quale non ho i dati necessari (forse nessuno li ha) ma che rimane paradigmatico: il caso Autostrade. Non m’interessano i Benetton. Non m’interessa quella società. Non m’interessa neppure sapere chi nel (presunto) accordo ci guadagna e chi ci perde. M’interessa però che, a detta di tutti, la penale prevista per l’Italia, in caso di revoca della concessione, a termini di contratto, ammonta a ventitré miliardi. Ora leggo che il Governo, nel “Decreto Milleproroghe” dello scorso anno (imposto con la “fiducia”) ha ridotto d’autorità quella somma da ventitré a sette miliardi. Che cosa penseranno gli investitori e gli imprenditori internazionali della validità delle clausole dei nostri contratti?
Poi leggo che, anche se i giudici ancora non hanno deciso niente, il governo ha deciso, esso sì, che il crollo del ponte Morandi è avvenuto per colpa della famiglia Benetton e che ne conseguono x, y e z. Intendiamoci, potrebbe anche essere vero: ma sta ad un giudice stabilirlo. E invece il governo ha stabilito che, in deroga al contratto, il ponte non sarebbe stato ricostruito dalla società. Anzi, essa sarebbe stata esclusa dall’eventuale gara, mentre i costi della ricostruzione, anche moltiplicati per due (come pare siano stati) sarebbero stati girati ad essa. Tutte cose da lasciare tramortito qualunque giurista, ma, a quanto pare, sono io che son facile da tramortire. Perché al contrario la Corte Costituzionale ha stabilito che tutto quello che si è detto andava e va benissimo, non è anticostituzionale. Alleluia.
Ora ammettiamo che io compri un biglietto della compagnia FlyingWings per andare a Londra e che una volta a bordo la hostess mi dica che viaggerò in piedi. Tornato a casa cito in giudizio la FlyingWings e un giudice mi dà torto. Infatti nel biglietto non c’era scritto “posto a sedere”. Lasciamo perdere il diritto e chiediamoci: chi mi impedirà ora di raccontare la storia a tutti quelli che conosco, a non prenotare mai più un volo con quella compagnia, e a contribuire a farle perdere tutti i clienti che hanno, come me, la stupida ambizione di viaggiare seduti? Un conto è il diritto, un altro la vita economica.
Tornando al problema della società Autostrade, non interessa molto sapere se questa società abbia ragione o torto, e neanche quanto perderanno o addirittura guadagneranno i Benetton. Ciò che importa è che l’impresa è talmente grossa, che gli eventuali danni che subirà da questo uso disinvolto del potere li pagheranno folle di azionisti ed anche parecchi grandi investitori, nel nostro caso tedeschi e cinesi. E che cosa penseranno, tutte le imprese del mondo, che c’è un giudice a Roma come, ai tempi di Guglielmo, c’era un giudice a Berlino?
Qui il rischio è di contribuire alla mala fama del nostro Paese, fino a scoraggiare anche un venditore cinese d’ombrelli di carta. Tutti sapranno che da noi è inutile firmare dei contratti, perché poi prevale la legge del più forte. Ed eventualmente il più forte è un governo che non ha rispetto della cultura liberale.
Stavolta, come altre volte, il problema dell’immagine prevale sul punto di vista giuridico. Anni fa, il giudice Corrado Carnevale aveva ragione al cento per cento e tuttavia fu creata contro di lui un’immagine negativa (bollandolo come l’“ammazzasentenze”) e passò i suoi guai. Per anni. Soltanto la sua costanza e il fatto che avesse ragione tanto incontestabilmente che nemmeno chi era prevenuto contro di lui poteva negargliela, fece sì che fosse risarcito, reintegrato e gli fosse perfino permesso di ricuperare gli anni persi. Ma qui un risarcimento era possibile. E invece chi può ridare a Berlusconi – ammesso che sia stato condannato ingiustamente – gli anni di politica che gli sono stati negati, e chi riparerà i danni inflitti al suo partito e a coloro che lo votavano?
Se l’impressione internazionale sarà che in Italia non ci si può fidare né del diritto, né dei contratti, né del governo e forse – Dio non voglia – della Corte Costituzionale, chi ci salverà dall’essere considerati economicamente dei paria? A duecentotrent’anni di distanza, il mondo non ha ancora dimenticato, l’imbroglio degli “Assignats” francesi, l’insolvenza della Russia degli zar e successori, e a Firenze, risalendo addirittura al Rinascimento, nessuno ha dimenticato l’insolvenza dei re di Francia. Venendo a tempi più recenti, l’Argentina per decenni ancora sarà antonomasticamente il Paese fallito. Vogliamo fare la stessa fine? Vogliamo proprio aiutare chi ci vuol dipingere come sessanta milioni di magliari?
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com
15 luglio 2020

MIOPIA DEL GOVERNOultima modifica: 2020-07-16T10:25:07+02:00da
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