GianniP

UN PAESE SMART

Molti considerano alcune parole imparentate soltanto perché vivono nella stessa casa e si somigliano fisicamente ma “le apparenze ingannano”. Ecco un esempio di falsa coppia linguistiche: “carino” e “bello”, in inglese “nice” e “beautiful”. “Nice” può anche essere un nano di terracotta dipinta, in giardino, ma nessun esteta userebbe per esso l’aggettivo “beautiful”. Uno chalet di montagna può essere carino, ma per il “beautiful” bisogna rivedere il Tempio della Concordia. Carino è un romanzo alla moda, bello è “Delitto e Castigo”. Il carino ha un confine in comune col kitsch, il bello ce l’ha con l’estasi.
Ma m’interessa di più la differenza fra “intelligente” e “sveglio”, in inglese “intelligent” e “smart”, anche se “smart” ha un ambito semantico ben più vasto.
Lo smart se la cava bene nella vita, capisce al volo ciò che gli conviene e non raramente, per quanto riguarda le faccende concrete, è un passo o due avanti agli altri. Ma le sue possibilità si fermano lì. È più capace di scoprire scorciatoie che di aprire nuove strade; più capace di accettare compromessi che di combattere e, dopo tutto, più capace di vincere battaglie che guerre. Mentre il furbo cerca di risolvere la questione in quel singolo caso, a suo vantaggio, l’intelligente ha una visione approfondita del reale: non salta facilmente alle conclusioni e cerca di ravvisare la norma universale che regge quel genere di problemi. Per così dire, il furbo cerca un trucco, l’intelligente cerca una legge.
Spesso l’intelligenza perde contro la furbizia. Il suo approccio col prossimo, non essendo fondato né sulla retorica né sull’emotività, è più difficile e l’intelligente risulta spesso “irritante”. Se propone la soluzione giusta, la gente si chiede se ne esista una furba e meno cara. Di fronte a un deficit, l’intelligente si chiede come raddrizzare il bilancio, il furbo si chiede chi possa fargli credito e se possa far pagare qualcun altro.
L’Italia stima lo smart più dell’intelligente e può darsi che questa mentalità – si pensi a molti film di Alberto Sordi – sia derivata dalla nostra storia. L’hidalgo spagnolo, considerando España una nazione di guerrieri, crede d’avere obblighi nei confronti dell’onore proprio e del Paese. L’Italia è stata invece una nazione frammentata, invasa, tiranneggiata, asservita, e l’italiano sente un solo imperativo: quello di cavarsela senza danni. Non perché sia un vile ma perché la sua profonda convinzione è quella di non appartenere ad alcuna comunità. Nessuno si darebbe da fare per lui, e lui stesso, se è lì, è perché non è riuscito ad evitarlo.
Il passato non ci aiuta. Ogni volta che dei giovani italiani hanno sentito entusiasmo per la Patria, in guerra, malgrado il loro personale eroismo, si sono trovati mal comandati e perdenti. Pensiamo a tutte le guerre del Risorgimento. Pensiamo all’ “attacco frontale” della Prima Guerra Mondiale, con conseguente massacro dei fanti. È stato così in tutta l’Europa; ma gli italiani hanno sentito che l’Italia li mandava a morire per niente. E Cadorna è stato visto come un macellaio. Né le cose sono andate meglio nella Seconda Guerra Mondiale. I giovani sono andati alla guerra cantando, per scoprire che l’Italia era del tutto impreparata, al punto che essi erano irrimediabilmente in condizioni di inferiorità nei confronti del nemico e soprattutto degli alleati tedeschi. Dopo una serie di sconfitte e voltafaccia, non ci si può aspettare che gli italiani siano grandi guerrieri.
Se il loro comportamento medio è quello dei furbi, è perché non credono a niente. Non credono che il risultato si ottiene col merito, e provano ad averlo “con qualunque mezzo”, leale o sleale, morale o immorale, lecito o illecito. Per preparasi alla vita da adulti, cominciano copiando il compito in classe a scuola e sperando durante l’interrogazione che i compagni siano bravi a suggerire e il professore sia sordo. Sono anche disposti a comprare la laurea. Tanto, per l’assunzione richiedono il pezzo di carta, non la competenza.
Questa mentalità da magliari è la spina dorsale dell’Italia. I nostri governanti non risolvono i problemi: ne danno la colpa a qualcuno, li rinviano, e sperano di passarli al governo seguente. Fino a farli incancrenire, e farsi disprezzare dall’intero Paese. Ecco un esempio indimenticabile. Molti anni fa, un ministro delle Finanze, per fare contenti i politici del momento, ebbe l’idea smart di richiedere ai cittadini di pagare anche le tasse dell’anno seguente. Così, in quell’anno, raddoppiò il gettito. Ma da allora tutti i contribuenti sono tenuti ad infiniti calcoli di acconti e di saldi. Vantaggio per un anno, seccature per sempre. Una volta io, per recuperare un credito, ci ho messo una decina d’anni.
Molti criticano un “politico” come Giuseppe Conte che oggi dice una cosa e domani un’altra. Che annuncia mille meraviglie e non ne realizza nemmeno un decimo. Che, di fronte ad ogni ostacolo, se la cava con un rinvio. È proprio un italiano smart (smart significa anche elegante) perché ha scarsa personalità, scarsissime convinzioni, e per giunta gli italiani lo applaudono. Perché dovrebbe cambiare?
Da ragazzo, quando cominciavo ad interessarmi alla lingua francese, lessi una pièce di Sartre, “Les mains sales”, “Le mani sporche”. In una scena il protagonista Hugo esorta un sicario a non fare una certa cosa, “per rispetto di sé stesso”. Quello ride e chiede al compagno: “Dimmi, tu ti rispetti?” L’italiano medio non rispetta nemmeno sé stesso. E per questo siamo vicini al bellum omnium contra omnes di Hobbes. Amiamo soltanto i nostri figli, un po’ i nostri genitori, e ancora un po’ meno gli amici: più oltre, hic sunt leones.
Chi si sente un cittadino, chi vorrebbe che si tenesse conto dell’interesse nazionale, chi volesse una società intelligente e non furba, è considerato freak, una persona stravagante. O, più semplicemente, un fesso.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com
11 luglio 2020

UN PAESE SMARTultima modifica: 2020-07-17T13:44:14+02:00da
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