GianniP

AMARE, O NO, LA SCUOLA

Montaigne è rimasto famoso per lo studio del suo io, ma non è mai stato “self centered”, incentrato su sé stesso. Se studiava il suo “moi” è perché, essendo anche egli un uomo, studiando sé stesso poteva studiare l’umanità. E dire cose che interessassero anche agli altri.
Pensando a lui mi è venuto in mente questo interrogativo: “Come mai ho una così acre antipatia per la scuola, soprattutto dal momento che in essa non ho seriamente sofferto né da alunno né da docente?”
La prima constatazione è che ci sono istituzioni che, per la loro stessa natura, non possono evitare di avere aspetti negativi. Un cimitero è un luogo in cui si incontrano persone che soffrono per la perdita di familiari e anici, e certo fra quei marmi e quei vialetti non ci si può aspettare molta allegria. Analogamente non è certo in ospedale che si troveranno persone in buona salute, che non soffrono di niente. Dunque avere antipatia per una certa organizzazione non corrisponde a giudicarla colpevole dei suoi lati negativi. L’ospedale è triste ma è una necessità, e se non ci fosse il mondo soffrirebbe anche di più.
Anche la scuola soffre di alcuni ineliminabili difetti. Il primo è che, mentre dovrebbe insegnare il senso critico, sostanzialmente vieta di mettere in discussione ciò che insegna. Già i ragazzi, essendo “tabula rasa”, non hanno tendenza a sollevare obiezioni, ma i docenti dovrebbero incoraggiarli a farlo, eventualmente spiegandogli perché le loro obiezioni sono infondate, ma senza irriderli. Invece la maggior parte di loro non vuole essere infastidita, mentre dispensa il verbo. Dunque la scuola insegna il conformismo.
Né si potrebbero facilmente prendere provvedimenti dall’alto. Se temiamo che un certo professore di storia, essendo tendenzialmente un rivoluzionario, nasconda agli alunni gli orrori giuridici e umani della Rivoluzione Francese, non è mettendo al suo posto un altro professore, che parlerà di quella Rivoluzione come del trionfo dell’empietà e della crudeltà, che avremo risolto il problema.
Inoltre c’è un altro dato che non si può trascurare. Dal momento che la scuola opera in perdita, ed è sovvenzionata dallo Stato, essa diviene un organo di diffusione dell’ideologia di chi la finanzia. Oggi l’Italia è arrabbiatamente democratica, perché tale si sente il Parlamento, ma è stata coralmente fascista, quando fascista era il governo. Né le cose cambiano se le scuole, invece di essere finanziate dallo Stato, sono finanziate da privati. Infatti le scuole cattoliche insegnano anche ad essere religiosi.
Ma il difetto che trovo più insopportabile è che il prodotto della scuola, la cultura, viene visto come un peso, una seccatura, qualcosa che bisogna imparare a memoria per andare a snocciolarlo al professore, se interrogati. In realtà la cultura è un priilegio, un piacere ed anzi una passione, ma non a dodici o sedici anni. A quell’età l’insieme dello scibile è visto come una seccatura, qualcosa da imparare in modo da essere promossi ed evitare problemi con papà e mamma.
Dunque il primo risultato che la scuola ottiene è quello di falsare l’oggetto del suo lavoro. Già non riesce a rendere chiaro che andare a scuola è una fortuna che miliardi di ragazzi non hanno avuto. Un tempo l’età lavorativa era quella dei sei anni. Inoltre che la vera persona informata la cultura l’acquisisce per il piacere di conoscere, di sapere, di rendersi conto delle leggi della realtà. Di sentirsi orientati nel tempo e nello spazio. Se i giovani non lo capiscono, peggio per loro. Al massimo li si può perdonare in nome dell’età. Ma rari sono i professori che riescono a far trasparire il loro amore per la cultura, in modo da mostrare almeno un esempio di quel mondo su cui i discenti si affacciano.
La scuola, come i cimiteri, gli ospedali, le carceri, è un’istituzione negativa che non può evitare di essere negativa. È inutile che l’ipocrisia collettiva voglia dipingerla con colori idilliaci. Certo, capita che ci siano professori eccezionali. Io ne ho avuti un paio che venero nel tabernacolo del mio cuore, e le cui spiegazioni erano seguite nel silenzio religioso dei concerti dei grandi artisti. Ma so di essere stato molto fortunato, in questo. Anche un solo professore carismatico, un vero maestro, è una fortuna che non tutti hanno avuto.
Considerata la media, bisogna onestamente manifestare ai ragazzi una fraterna comprensione, se sentono una grande antipatia per quel carcere con lavagna. Così come spero di essere capito se dico che, da pensionato, non c’è stato un giorno in cui abbia rimpianto l’insegnamento.
E dire che insegnare mi piace moltissimo. Ma è bello insegnare a chi vuole imparare, a chi chiede il privilegio di condividere con i più anziani il piacere delle conoscenze. Lo sforzo dell’apprendimento trova la sua mercede in ciò che si è appreso, e questo sforzo non ha ore e giorni comandati, perché dura per tutta la vita.
La scuola che insegna a leggere e scrivere, e fornisce i mezzi per imparare un mestiere, sta alla cultura come la prostituzione sta al vero amore.
Gianni Pardo giannipardo1@gmail.com

AMARE, O NO, LA SCUOLAultima modifica: 2021-01-12T19:36:16+01:00da
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