GianniP

LETTA L’ÉMIGRÉ

A partire dalla metà del XIX Secolo una buona parte dell’umanità si è cullata nell’idea che il capitalismo fosse destinato alla “crisi finale”, all’inevitabile implosione causata dalle sue contraddizioni. A questo sistema sarebbe seguita la rivoluzione dell’ultima “classe” esclusa dal potere, il proletariato. E la “fine della storia”: nel senso che non ci sarebbe stata più nessuna vetta da conquistare e avremmo avuto la società perfetta.
La storia ha fatto a pezzi tutto questo ed oggi probabilmente neppure Marx, se fosse vivo, sarebbe marxista. Ma si illuderebbe chi pensasse che sia morta la mentalità collettivista e “rivendicazionista” che sottostava al comunismo.
Tutto questo mi ricorda l’indimenticabile tesi di un libro di linguistica, secondo cui le intonazioni resistono ai secoli meglio delle parole. I napoletani del tempo di Plinio, per dire “mia madre”, dicevano “mater mea”; oggi dicono “matrema”, ma c’è da credere che allora come oggi lo dicessero con la stessa inconfondibile cantilena. Ed è stato proprio un napoletano, Benedetto Croce, a dire che anche noi miscredenti “non possiamo non dirci cristiani”. Possiamo non credere all’immensa impalcatura della Chiesa, ma non possiamo liberarci dal suo imprinting. Ché anzi quasi nessuno – prima di Friedrich Nietzsche – ha percepito quanto siamo “cristiani” e quanto sia difficile liberarci dai pregiudizi di quella religione. Per capire a che punto ciò sia vero, si misuri la distanza fra Voltaire, che odiava il Cristianesimo, e Nietzsche. È più facile odiare la religione che spogliarsene.
Tutto questo vale anche nella politica. Può darsi che il comunismo dichiarato sia morto, ma il suo cadavere non ha ancora smesso di puzzare. Dunque chi è anticomunista deve stare all’erta e difendersi dal becero collettivismo moralistico e utopico della sinistra di base (penso al M5S). Ed anche chi non è comunista ma soltanto “di sinistra”, come il Pd, deve capire da che parte tira il vento. Come un tempo si credeva nell’inevitabilità dell’avvento del comunismo (e si sbagliava) oggi forse si dovrebbe credere nella teoria opposta: all’inevitabile insuccesso, alla marginalizzazione, alla fine di quella “sinistra di base”. Naturalmente anche questa seconda profezia potrebbe essere sbagliata, ma concedetemi di svilupparne i corollari.
Vedo il modo come si muove Enrico Letta e ogni giorno scuoto mestamente la testa. Considerata la sua mentalità, l’Italia ha bisogno di una sinistra. E allora è meglio che questa sinistra sia rappresentata dal Pd piuttosto che da Leu o dal Movimento dei “grillini”. Purtroppo, il partito è lacerato dalla lotta fra le ambizioni delle correnti; è tormentato dalla mancanza di idee-forza; è terrorizzato da una deriva inarrestabile verso l’irrilevanza. Per questo sente tanto forte l’esigenza di un rinnovamento. E per questo ha chiamato da Avignone, pardon, da Parigi, un “Papa straniero”. Qualcuno che è estraneo alle nostre beghe, che ha dimostrato di essere disinteressato lasciando Roma, e sperabilmente capace di un rinnovamento luterano della nostra Chiesa corrotta e disorientata.
E tuttavia, le prime mosse del nuovo leader ci dicono che forse il Pd non ha fatto un affare. I sette anni che Letta ha passato in Francia, e forse il mondo universitario ed esclusivamente teorico di “Sciences Po[litiques]” che ha frequentato, lo hanno indotto a tornare alla purezza originaria della sinistra. Cioè ai suoi errori di partenza e di arrivo. Con le sue teorie politiche, col suo femminismo arcaico, col suo unanimismo di sinistra, e la voglia di riabbracciare Giueppe Conte, Letta dimostra che dell’Italia attuale, e del percorso che la sinistra ha fatto dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, non ha capito niente. Ci manca poco che creda che la salvezza del Pd consista nel ritorno al Pci di Togliatti. Per lui non c’è ancora stata la Marcia dei Quarantamila, e forse Berlinguer non sarebbe abbastanza di sinistra.
La mia impressione è che quest’uomo, in perfetta buona fede, sia la vittima di un’assenza dall’Italia che gli ha fatto perdere il contatto con la nostra realtà. Ripetendo un fenomeno caratteristico dell’inizio dell’Ottocento.
Con la Rivoluzione Francese, molti nobili si sentirono in pericolo ed emigrarono. Dunque non vissero la Rivoluzione Francese e continuarono a pensare che il “mondo giusto” fosse quello che avevano abbandonato nei primi Anni Novanta. Così, quando Napoleone fu sconfitto, e con lui – pensavano – fu sconfitta la Rivoluzione Francese, cercarono di tornare al passato che avevano lasciato emigrando. Ma presto si accorsero che sbattevano contro un muro. Infatti di loro il tagliente, cinico Talleyrand disse sarcastico. “Ils n’ont rien appris et rien oublié”, non hanno imparato niente e non hanno dimenticato niente. Sono fermi al passato, e vorrebbero rimettere l’orologio – o il calendario, se vogliamo – al 1788. Il mondo che il Congresso di Versailles voleva ricreare durò, zoppicando, soltanto quindici anni.
Forse anche Letta n’a rien appris et rien oublié. Mena botte da orbi contro quella che lui crede il nemico (la destra di Salvini), propone lo ius soli, il voto ai sedicenni, vuole buttare fuori Delrio e Marcucci da presidenti dei gruppi parlamentari piddini per dare il posto a due donne, e insomma – in nome dell’ideale – sembra impegnato a farsi nemici dentro e fuori del partito. Speriamo che gli tengano caldo il posto a Parigi. A volte anche aprile è un mese molto fresco.
Gianni Pardo giannipardo1@gmail.com
22 marzo 2021

LETTA L’ÉMIGRÉultima modifica: 2021-03-22T12:03:11+01:00da
Reposta per primo quest’articolo