GianniP

FINI, VICOLO CIECO

Quando la crisi è cominciata, si è detto che la domanda giusta non era “Che cosa vuole fare Gianfranco Fini?”, ma “Che cosa può fare Gianfranco Fini?” E la risposta potevano darla solo i fatti: cioè il numero di deputati e senatori disposti a seguire il Presidente della Camera nella formazione di nuovi gruppi parlamentari. Ora sappiamo che: “Gianfranco Fini non può far nulla”. “I suoi”, o almeno quelli che credeva “i suoi”, sono disposti a manifestazioni di stima e solidarietà, ma a non molto di più. Prima ancora di avere ben guardato le sue carte, Fini ha invitato Berlusconi ad una partita di poker ed ha rilanciato più volte: alla fine il Cavaliere ha visto e lo sfidante ha mostrato scartine.
Sul suo spazio di manovra non avevamo le idee chiare, ma speravamo che almeno lui le avesse. Oggi lo abbiamo ascoltato con attenzione, ma ha dato l’impressione di inanellare critiche fumose, non del tutto aliene dalla retorica più stupida di sinistra, come quando se l’è presa con Feltri, e non ha chiesto niente di concreto. Non ha parlato né di scissione né di gruppi parlamentari. Insomma, non le aveva, le idee chiare. Diversamente non si sarebbe infilato in questo vicolo cieco da cui esce a marcia indietro, molto meno forte di quanto fosse quando vi è entrato. Non gliene è andata bene una. Ha reclamato il diritto al dissenso e molti altri oratori gli hanno ricordato che essi non solo il loro dissenso lo hanno manifestato, ma che Berlusconi si è anche occasionalmente piegato alle decisioni altrui, come nel caso della candidatura per i governatori di Puglia e Lazio. In conclusione, chi è in grado di riassumere in una sola frase la tesi di Fini? Vuole essere libero di dire la sua. E sia. Ma questo comprende i diritto di andare pubblicamente contro il partito che lo ha eletto e gli ha dato la carica di Presidente della Camera? Una domanda cui dovrebbe rispondere la sua coscienza, nel caso ne avesse una.
La spiegazione che si può dare, di tutto questo, è che anche ai più alti livelli si è soggetti all’emotività. Fini per una vita è stato il numero uno superiorem non recognoscens, ha governato il suo partito con pugno di ferro, anche quando l’opposizione interna osava interloquire, e da tutto questo ha tratto l’idea che il suo posto fosse naturalmente il primo. Che potesse vincere contro chiunque: e si è lanciato in questa infelice sortita senza avere prima fatto seriamente i suoi calcoli, convinto che il suo carisma avrebbe fatto miracoli. Narrano gli storici che nell’88 a.C. fu inviato uno schiavo per uccidere Mario, prigioniero, ma questi lo fece fuggire guardandolo negli occhi e chiedendogli: “E tu oserai uccidere Gaio Mario?” Bell’esempio di grande personalità. Ma quale uomo di buon senso si metterebbe volontariamente nella situazione in cui si trovò quell’antico romano? Come essere sicuri che lo schiavo sarà intimidito?
Fini ha dimenticato che Berlusconi non è quel pagliaccio che ama rappresentare la sinistra: è un uomo dalle mille risorse, dalle mille conquiste, dalle mille vittorie. E poco importa quanto meriti quelle mille conquiste e quelle mille vittorie: Napoleone diceva che non voleva solo generali bravi, li voleva “fortunati”: non gli importava come avessero vinto, purché avessero vinto. Berlusconi in questo senso si è sempre dimostrato “fortunato”. Oggi, in più, ha dimostrato di avere unghie molto affilate, come quando ha ricordato a muso duro all’ex amico che martedì non aveva chiesto miglioramenti e dibattiti, ma la costituzione di un autonomo gruppo parlamentare.
La disfatta di Gianfranco è stata totale: non ha ottenuto né la costituzione di gruppi parlamentari autonomi, né il riconoscimento dell’esistenza di una corrente e neppure un buon consenso in seno alla Direzione: undici voti su centosettanta non sono certo un trionfo.
Quello di Fini sembra un caso di titanismo. L’immensa presunzione che spinge all’attacco di chi è più forte, quasi accettando la prospettiva della sconfitta. Cosa molto nobile ed anzi romantica. E infatti, come amava ripetere Montanelli, “la derrota es el blasón del alma bien nacida”, la sconfitta è il blasone dell’anima ben nata: ma è assurda come programma politico. Parlare per un’ora per non dire nulla e per non ottenere nulla, non è il massimo.
È proprio vero che non ci sono qualità e neppure fortuna che bastino a salvare chi è meno forte del proprio temperamento. Questa vicenda ha mostrato a tutti i limiti dell’uomo Fini: ambizioso fino alla paranoia, arrogante, prepotente. Uno che ha scavato un’immensa trappola per farci cadere il Cavaliere e poi ci è caduto lui stesso.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
22 aprile 2010

FINI, VICOLO CIECOultima modifica: 2010-04-22T19:48:34+02:00da
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