GianniP

PSICOLOGIA DEL COLLETTIVISMO

La tendenza ad affidare allo Stato la massima quantità di compiti e a chiedergli la massima quantità di provvidenze – che si può chiamare collettivismo o statalismo – ha un fascino irresistibile. Lo Stato combina una serie infinita di guai ma rimane lo stesso amato e desiderato, come certe donne che rovinano la vita di qualunque partner ma hanno sempre un uomo accanto.
Per vedere lo Stato come lo vedono le folle che lo amano, bisogna spogliarsi di ogni cultura storica, economica e politologica e accostarsi alla sensibilità corrente. Quella di chi pensa, se pensa, soltanto la domenica. E sempre a base di slogan e semplificazioni.
Per secoli, lo Stato è stato visto come la proprietà del sovrano, più pronto a chiedere denaro e corvée ai sudditi che a dare qualcosa. E ciò – fra l’altro – nelle regioni più povere, è all’origine della criminalità organizzata. Poi, con l’avvento della democrazia, si è a lungo ripetuto ai cittadini che i sovrani sono loro e lo Stato è al loro servizio. La cosa è bella e positiva ma ogni esagerazione produce guasti.
Oggi, per la gente, lo Stato è una cosa indistinta, enorme ed economicamente onnipotente. Non come Dio (se così fosse non chiederebbe denaro con le tasse) ma onnipotente nel caso concreto. Molti si pongono infatti i problemi in questi termini: “Dal momento che lo Stato amministra fantastiliardi, perché non rifà il nostro stadio, che sta cadendo a pezzi? Perché non dà la pensione alle casalinghe, che lavorano tanto? E soprattutto perché non assume mio cognato? La sua famiglia ha veramente bisogno di uno stipendio. E che cos’è, per lo Stato, uno stipendio in più?”
In questo ragionamento c’è del vero. Se si preleva un litro d’acqua da un laghetto, che differenza può fare? Il problema nasce se la stessa domanda se la pongono in milioni e tutti prelevano un litro d’acqua. A quel punto il laghetto rischia di prosciugarsi.
Questo apologo è talmente ovvio che nessuno lo contesterebbe. Ma nel caso singolo le cose vanno diversamente. Quando qualcuno desidera qualcosa, non pensa affatto all’importo totale dell’operazione, pensa soltanto alla propria personale utilità. E così (sempre che non sia una “leggenda metropolitana”) la Calabria ha più guardie forestali dell’intera Francia.
Per l’uomo comune lo Stato è “infinitamente grande” e per ciò stesso diviene infondata ogni preoccupazione riguardo alla sua capacità di resistenza. Se la soluzione di un problema è troppo costosa, la risposta è sempre la stessa: se ne occupi lo Stato. Dia uno stipendio ai disoccupati, mantenga l’Alitalia, paghi vuoto per pieno i dipendenti dell’Ilva di Taranto, nazionalizzi le autostrade e faccia crescere le banconote sugli alberi. I sindacati in particolare sono stati i campioni di questo atteggiamento. Per decenni hanno seguito esattamente questi dogmi: i padroni si ingrassano sfruttando i lavoratori, e dunque c’è parecchio di più che possono concedere; se ci stessimo sbagliando e li facessimo fallire, nessuna paura: lo Stato acquisirebbe l’impresa e accoglierebbe le nostre richieste.
Un’altra potentissima molla a favore dello Stato è l’invidia sociale. Si pensa che lo Stato non può togliere nulla a chi non ha nulla e dunque il suo intervento colpirà sempre “i ricchi”, ovviamente immorali, lo dice anche il Vangelo. L’intervento dello Stato segna la fine dei loro profitti e la Pubblica Amministrazione è una garanzia di moralità. Certo, la gente non ignora che con lo Stato aumenta la corruzione. Ma per quello ci sono i magistrati, no? Magari inaspriamo le sanzioni.
Se vuole mangiare un cono gelato, il singolo sa che deve comprarlo. Con lo Stato, invece, ha la sensazione di avere le cose gratis. Per questo chiede sempre il suo intervento. E non mette mai in relazione quella dichiarazione dei redditi che lo fa imprecare e l’eccesso di intervento pubblico.
Sottoposto ad un continuo “attacco alla diligenza”, lo Stato ovviamente si degrada. E tuttavia, essendo una macchina molto grande, lo fa a poco a poco. Ciò gli conferisce, agli occhi degli incompetenti, l’aura dell’infrangibilità e risulta difficile collegare il disastro dei conti dello Stato con l’aumento dei compiti affidatigli.
Il quadro si completa con la difficoltà della marcia indietro. La pensione alle casalinghe (che Berlusconi prometteva in un giorno di scirocco) non sarebbe un provvedimento assurdo ma, dato il numero delle beneficiarie, sarebbe anche una botta tremenda per lo Stato. E una cosa è sicura: se si concedesse quella pensione, non si potrebbe mai più fare marcia indietro. Ogni vantaggio statale è per sempre.
In queste condizioni, non si vede in che modo possa risollevarsi l’Italia.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com

26 agosto 2018
Invito gli amici ad usare come indirizzo giannipardo1@gmail.com. Grazie.

PSICOLOGIA DEL COLLETTIVISMOultima modifica: 2018-08-27T09:26:52+02:00da
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