PSICOLOGIA DEL COLLETTIVISMO

La tendenza ad affidare allo Stato la massima quantità di compiti e a chiedergli la massima quantità di provvidenze – che si può chiamare collettivismo o statalismo – ha un fascino irresistibile. Lo Stato combina una serie infinita di guai ma rimane lo stesso amato e desiderato, come certe donne che rovinano la vita di qualunque partner ma hanno sempre un uomo accanto.
Per vedere lo Stato come lo vedono le folle che lo amano, bisogna spogliarsi di ogni cultura storica, economica e politologica e accostarsi alla sensibilità corrente. Quella di chi pensa, se pensa, soltanto la domenica. E sempre a base di slogan e semplificazioni.
Per secoli, lo Stato è stato visto come la proprietà del sovrano, più pronto a chiedere denaro e corvée ai sudditi che a dare qualcosa. E ciò – fra l’altro – nelle regioni più povere, è all’origine della criminalità organizzata. Poi, con l’avvento della democrazia, si è a lungo ripetuto ai cittadini che i sovrani sono loro e lo Stato è al loro servizio. La cosa è bella e positiva ma ogni esagerazione produce guasti.
Oggi, per la gente, lo Stato è una cosa indistinta, enorme ed economicamente onnipotente. Non come Dio (se così fosse non chiederebbe denaro con le tasse) ma onnipotente nel caso concreto. Molti si pongono infatti i problemi in questi termini: “Dal momento che lo Stato amministra fantastiliardi, perché non rifà il nostro stadio, che sta cadendo a pezzi? Perché non dà la pensione alle casalinghe, che lavorano tanto? E soprattutto perché non assume mio cognato? La sua famiglia ha veramente bisogno di uno stipendio. E che cos’è, per lo Stato, uno stipendio in più?”
In questo ragionamento c’è del vero. Se si preleva un litro d’acqua da un laghetto, che differenza può fare? Il problema nasce se la stessa domanda se la pongono in milioni e tutti prelevano un litro d’acqua. A quel punto il laghetto rischia di prosciugarsi.
Questo apologo è talmente ovvio che nessuno lo contesterebbe. Ma nel caso singolo le cose vanno diversamente. Quando qualcuno desidera qualcosa, non pensa affatto all’importo totale dell’operazione, pensa soltanto alla propria personale utilità. E così (sempre che non sia una “leggenda metropolitana”) la Calabria ha più guardie forestali dell’intera Francia.
Per l’uomo comune lo Stato è “infinitamente grande” e per ciò stesso diviene infondata ogni preoccupazione riguardo alla sua capacità di resistenza. Se la soluzione di un problema è troppo costosa, la risposta è sempre la stessa: se ne occupi lo Stato. Dia uno stipendio ai disoccupati, mantenga l’Alitalia, paghi vuoto per pieno i dipendenti dell’Ilva di Taranto, nazionalizzi le autostrade e faccia crescere le banconote sugli alberi. I sindacati in particolare sono stati i campioni di questo atteggiamento. Per decenni hanno seguito esattamente questi dogmi: i padroni si ingrassano sfruttando i lavoratori, e dunque c’è parecchio di più che possono concedere; se ci stessimo sbagliando e li facessimo fallire, nessuna paura: lo Stato acquisirebbe l’impresa e accoglierebbe le nostre richieste.
Un’altra potentissima molla a favore dello Stato è l’invidia sociale. Si pensa che lo Stato non può togliere nulla a chi non ha nulla e dunque il suo intervento colpirà sempre “i ricchi”, ovviamente immorali, lo dice anche il Vangelo. L’intervento dello Stato segna la fine dei loro profitti e la Pubblica Amministrazione è una garanzia di moralità. Certo, la gente non ignora che con lo Stato aumenta la corruzione. Ma per quello ci sono i magistrati, no? Magari inaspriamo le sanzioni.
Se vuole mangiare un cono gelato, il singolo sa che deve comprarlo. Con lo Stato, invece, ha la sensazione di avere le cose gratis. Per questo chiede sempre il suo intervento. E non mette mai in relazione quella dichiarazione dei redditi che lo fa imprecare e l’eccesso di intervento pubblico.
Sottoposto ad un continuo “attacco alla diligenza”, lo Stato ovviamente si degrada. E tuttavia, essendo una macchina molto grande, lo fa a poco a poco. Ciò gli conferisce, agli occhi degli incompetenti, l’aura dell’infrangibilità e risulta difficile collegare il disastro dei conti dello Stato con l’aumento dei compiti affidatigli.
Il quadro si completa con la difficoltà della marcia indietro. La pensione alle casalinghe (che Berlusconi prometteva in un giorno di scirocco) non sarebbe un provvedimento assurdo ma, dato il numero delle beneficiarie, sarebbe anche una botta tremenda per lo Stato. E una cosa è sicura: se si concedesse quella pensione, non si potrebbe mai più fare marcia indietro. Ogni vantaggio statale è per sempre.
In queste condizioni, non si vede in che modo possa risollevarsi l’Italia.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com

26 agosto 2018
Invito gli amici ad usare come indirizzo giannipardo1@gmail.com. Grazie.

PSICOLOGIA DEL COLLETTIVISMOultima modifica: 2018-08-27T09:26:52+02:00da gianni.pardo
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8 pensieri su “PSICOLOGIA DEL COLLETTIVISMO

  1. Secondo me è un po’ differente, perché è difficile capire quando la gente “ci è” e quando invece “ci fa”. Nella mia esperienza quasi sempre “ci fa”. Nella idea del “collettivo” la persona media ci vede la possibilità di applicare la famosa “arte di arrangiarsi”, cioè di agire “furbescamente” per acquisire il massimo dell’utile col minimo dello sforzo.

    Quindi è ovvio che alla gente va benissimo che il “collettivo” si traduca in “casino”. tanto più casino c’è, tante più opportunità di fare delle furbate e ricavare un utile senza sforzo.

    Certo, ognuno è convinto di essere più furbo degli altri e di metterlo nel didietro al prossimo evitando che gli altri facciano lo stesso con lui/lei. Quando capita, ecco che si alza la lamentazione sulla necessità delle “regole”. Le “regole” per l’Italiano medio non servono a fare funzionare l’aggeggio ma servono a riparare il suo sedere dalle botte che gli tirano gli altri, mentre lui si sente libero, in quanto Unto dal Signore, di fare come gli pare. Le regole valgono per gli altri.

    E’ veramente comico che questo giretto non vale solo per le piccole cose ma anche per le grandi dichiarazioni di ideali. Per esempio, lo dico sempre, gli “ecologisti” che profetizzano la Fine del Mondo non applicano a se stessi e ai propri congiunti le loro teorie, si limitano ad enunciarle e poi per tutto il resto fanno esattamente come gli altri o peggio, rimanendo in attesa che l’Apocalisse faccia piazza pulita di tutti gli altri e loro sull’Arca ad ereditare la Terra.

    I pensionati hanno sempre saputo che la loro pensione è di molto superiore a quanto versato e anche che il sistema pensionistico non si regge sui contributi dei lavoratori attivi ma sulla fiscalità generale. Lo sapevano ma non avevano motivo per fare saltare la baracca. Ognuno pensa al suo utile e gli altri si fottano. Stando ben al calduccio dentro il “collettivo”, magari facendo anche i “sindacalisti”.

  2. Concordiamo su questo, che gli statalisti furbi sono quelli che l’intendono come un marchingegno a loro vantaggio, e gli statalisti non furbi, gli idealisti, sono quelli che contribuiscono allo sfasci nazionale, per giunta senza neppure guadagnarci.

  3. No.
    Lo “Stato” si fonda sulla “Nazione” e la Nazione esiste quando delle persone si riconoscono come parte di una comunità e sulla base di questo sottoscrivono un “patto fondativo”.

    Il “patto fondativo” si basa su due “momenti”, il momento in cui ci si riunisce per decidere e il momento in cui si paga il prezzo delle decisioni o si incassa il dividendo.

    Quello che tu chiami “statalista” non ha niente a che fare con lo Stato/Nazione. Ha a che fare con l’idea di collettivizzazione, dove NON decidi e NON paghi e NON incassi, la collettivizzazione ha il solo scopo di rendere tutti UGUALI.

    Poi una volta che hai reso tutti uguali crei il massimo di casino possibile e dentro il casino la gente si colloca in tre stati, lo Idiota Assistito, il Mai Cresciuto e il Furbastro.

    L’Idiota Assistito dalla “equalizzazione nel casino” ricava la tutela. Si mette li al riparo da qualsiasi competizione e vegeta come un polipo del corallo, in mezzo a milioni come lui. Il Mai Cresciuto è interessato al casino, dove può mettersi in mostra. Il Furbastro è un parassita delle prime due categorie, le usa come carne trita per fare il polpettone.

    La coincidenza tra Stato/Nazione e il “collettivo equalizzato-casinista” è una derivata di certe ideologie, costruite apposta per le Tre Categorie di cui sopra. In realtà queste ideologie puntano a SOSTITUIRE lo Stato/Nazione con un aggregato sovranazionale, o “universale”, il più ampio possibile, perché più è grande, più è “uguale” e più casino si fa e tutti godono in proporzione, non importa se è un concetto masochistico nella maggior parte dei casi.

    Ancora più sotto ci sono due pulsioni elementari, il timore degli altri o l’odio per gli altri. Il “collettivo ugualizzante-casinista” risponde a queste pulsioni dando l’idea di difendere gli uni dagli altri, di “neutralizzare” l’essere umano.

    Non a caso la summa filosofica di tutto questo è lo “anti-umanesimo” e lo so che è un paradosso visto che si proclamano tutti filantropi. In realtà è come ho detto, temono e/o odiano l’essere umano.

  4. ” Lo “Stato” si fonda sulla “Nazione” e la Nazione esiste quando delle persone si riconoscono come parte di una comunità e sulla base di questo sottoscrivono un “patto fondativo” “.

    Gia’, col piccolo contrattempo, furbescamente nascosto, che da quel momento in poi il “patto fondativo” lo subiscono anche quelli che non lo hanno mai sottoscritto.
    La “fondazione” puo’ succedere nei momenti in cui il fanatismo nazionalista (che e’ un innamoramento ideologico, funzionante solo finche’ vive di fantasia e/o riesce a dotarsi di un buon nemico – capro espiatorio) si diffonde e prende la mano nella collettivita’, ma non e’ mai un buon consigliere, perche’ confonde il contingente con l’eterno – perfino i fondatori di nazioni, muoiono, e con loro le loro creazioni.
    Altrimenti, quando mai si e’ visto un posto del genere se non nei luoghi dove impera il collettivismo, imposto, di destra? (ma oggi non si deve piu’ dire fascista bensi’ comunitarista, come non si deve piu’ dire nazionalista bensi’ sovranista – e’ il nuovo “buonismo” eufemistico dei “cattivisti” – almeno finche’ non si ancorano saldamente al potere, con la loro personale idea di nazione).

  5. Sai che non capisco cosa scrivi?
    Sembra che tu venga da Tau Ceti e non abbia nessuna nozione del fatto che fino a 150 anni fa l’Italia era divisa in staterelli e prima ancora in staterelli più piccoli. Milano era uno Stato, Venezia era uno Stato e cosi via.

    Non capisco il concetto di “loro idea personale di nazione”. La “nazione” la erediti dai genitori e su questo si basa il concetto dello Jus Sanguinis. Ateniese si nasceva, non si diventava. Infatti Aristotele, che non era nato ateniese, pur essendo una rockstar non poteva compravendere beni immobili in Atene, non godeva della piena cittadinanza.

    Dato che la “nazione” la erediti, non hai la facoltà di sceglierla. Gli anglofoni dicono “right or wrong, my country”. Esattamente come non ti puoi scegliere i parenti. Nota ancora che il concetto di “nazione” è affine al concetto di “famiglia”, cioè un legame di sangue.

    Allo stesso modo, nota che il lavaggio del cervello incessante promuove il concetto opposto, ovvero che le persone non abbiano legami di sangue, a partire dalla “famiglia” che non è biologica ma uno stato dello spirito, da cui bimbi con “n” mamme e/o babbi, per finire alla “nazione” dello Jus Soli, dove non esiste “identità” legata al sangue ma è questione di residenza, di numero civico.

    Italiani si DEVE diventare perché l’Italia è una “mera espressione geografica”, come sosteneva l’austriaco prima delle guerre di indipendenza che diedero la luce all’Italia Stato/Nazione.

  6. E insisto sul fatto che mentre lo Stato/Nazione si esprime tracciando il famoso solco con l’aratro e con la spada che lo difende, citando una delle massime del Ventennio che erano scritte sui muri dei casolari, il “collettivo ugualizzante-casinista” per sua natura è UNIVERSALE, aborrisce i confini, le barriere, i limiti, sia fisici che metafisici.

    Cosi come non c’è frontiera, non ci deve essere un motivo per cui due uomini o due donne non possano essere “genitori”. Non ci deve essere motivo per cui in un metro quadrato non possano entrare centomila persone. Non ci deve essere motivo per cui tu contribuisci 10 all’ente previdenziale e poi incassi 100 di vitalizio. E via via.

  7. Bravo Diaz, il risorgente totem dello Stato nazionale “a sovranità assoluta” è un pericoloso retaggio ottocentesco di matrice idealistico-romantica (afferente al ben noto filone di pensiero che va da Hegel a Gentile e per certi versi anche a Gramsci) non solo del tutto inadeguato ad affrontare con qualche speranza di successo le complesse sfide economico-politico-sociali ed ecologico-energetiche degli Anni Duemila ma anche prima o poi destinato a (ri)produrre quello scenario “hobbesiano” che ha già condotto alle due Guerre mondiali novecentesche.

  8. Da anni, o forse da sempre, i mali dell’Italia sono imputati all'”assenza dello Stato”.
    Questo famigerato “Stato”, carente, assente, o ingiusto, che viene continuamente invocato, in un coro di piagnistei, dagli italiani che si comportano come bambini innocenti abbandonati da genitori snaturati, è invece raramente menzionato in Canada perché troppo astratto. L’attribuire infatti sempre le responsabilità a tutto lo Stato, senza invece parlare in concreto di ministeri, enti, organismi, uomini che sono venuti meno ai loro doveri, equivale a diluire e ad annullare le responsabilità concrete dei singoli settori e degli individui. Addetti allo sportello, dipendenti pubblici, burocrati hanno tutto un forte senso dello Stato, del conguaglio, del prepensionamento, degli arretrati, ma non hanno rispetto del pubblico, che anzi trattano, in genere, a pesci in faccia. Loro non si sentono “civil servants”.
    I “civil servants” di tradizione anglosassone sono al servizio del pubblico: sono appunto “servitori” del pubblico, mentre i nostri burocrati e addetti allo sportello, tutti con un forte senso dello Stato, anzi del Potere, sono al servizio della Burocrazia oltre che degli interessi di categoria.
    Qui in Nord America se si parla di “polizia” si specifica il corpo di polizia cui ci si riferisce. Quanto si denunciano le mancanze della burocrazia si identificano i “civil servants” che sono venuti meno ai loro doveri. Se si parla di amministrazioni municipali si fornisce il nome della municipalità e del sindaco. Se si imputano negligenze ai responsabili della rimozione della neve si precisa il governo municipale e la ditta appaltatrice, secondo i casi, responsabile. E via di seguito, sempre precisando, identificando, parlando chiaro… E si cerca poi di tirare le conclusioni, senza “portare avanti” all’infinito “il discorso”, ossia parlare per parlare, come fanno in Italia.
    In Canada, ci si puo’ anche riferire al “Governo”, ma mai in maniera astratta e impersonale come avviene nella penisola dove si invoca il famigerato “Stato”, sorta di ectoplasma da seduta spiritica. Qui in Canada si precisa di quale governo si tratti, col nome del primo ministro e del partito al potere in primo piano.
    Cio’ forse sarà considerato un po’ troppo terra terra dagli italiani, avidi di ideologie, e uomini di parte abituati a “portare avanti il discorso”, attività che tanto li appassiona. Un discorso che talvolta spazia nella stratosfera e che a causa di questo grottesco culto, puramente verbale, dello “Stato” è generico, fumoso, e anche tendenzioso. Il pragmatismo è fatto invece di cose concrete e di discorsi chiari.
    La causa di tanti mali italiani è, secondo me, proprio questo grottesco invocare, per ogni problema, l’intervento della mamma, “pardon” dello “Stato”. Doveri individuali, senso civico, responsabilità e impegno dei singoli nei confronti del bene comune: tutto è messo in ombra anzi sparisce di fronte a questa concezione mitica e abbagliante dello “Stato”, ereditata dal Fascismo.
    Durante il quale lo Stato – la Nazione – esistette e come, e per il quale molti furono anche pronti a morire.
    Perché questa mia forte critica a “senso dello Stato”? Perché, per l’abuso che se n’è fatto, l’espressione non ha alcun senso. Sembra evocare il “Sovrano” per diritto divino e il prostrarsi del suddito. Secondo me, invece di lamentare l’assenza del senso dello Stato – Stato ipertrofico, parolaio, burocrate – bisognerebbe lamentare la latitanza di un normale, sano amor patrio. In pratica, il senso dello Stato che hanno molti italiani è il senso degli arretrati, della pensione, della burocrazia, dello sportello, del pubblico impiego, e non il senso dell’Italia, della Patria, della continuità della nostra storia, dell’identità, della solidarietà e della dignità nazionale, della lealtà, dell’onestà, della responsabilità, del civismo… Un normale senso patriottico in Italia – paese di scaltri con tendenza all’anarchia, di esterofili sprovvisti di coscienza nazionale – è visto come un’involuzione di estrema destra, foriero di chissà quali avventure.

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