Ciò che la Borsa pensa di Trump – dal Sole24Ore

Dal momento che i media italiani trattano continuamente Trump come un cretino, non è inutile dare un’occhiata a ciò che ne pensa la Borsa americana.
G.P.
Il Sole 24 Ore – Mario Platero – 03/12/2017 pg. 1
LA SVOLTA FISCALE/1
Interroghiamoci: è meglio credere alla forza del mercato o alle ragioni dello statalismo? Questa dicotomia, una costante di 40 anni di storia americana,è alla radice della riforma fiscale rivoluzionaria. Continua pagina 8 Maè anche l’oggetto centrale dell’aspro dibattito politico del giorno dopo. Meno statoe più mercato dunque? Austeritào spinta della domanda? La risposta l’avremo solo ex post. Ma questi interrogativi ci riguardano direttamente nel momento in cui l’Europa germanocentrica continuaa preferire misure economichee finanziarie con un taglio restrittivo proprio quando si dovrebbe premere sull’acceleratore della crescita. Un esempio recente riguarda le richieste in arrivo da Francoforte per ridurre crediti bancari non performanti, richieste inopportune sul piano dei tempi perché finiscono con l’avere un impatto negativo sull’economia. In America il dibattitoè diverso, perché si discutono misure aggressive per la crescita, non difensive. La sinistra chiede: perché rendere permanentii tagli fiscali alle aziende e limitarea otto anni quelli per il resto della popolazione? Perché discriminare contro la classe media? Perché ipotecare il futuro della Nazione creando enormi disavanzi pubblici? Perché sacrificare programmi sociali per arricchire chi non ha certo bisogno di aiuto?A questoi repubblicani rispondono: dobbiamo credere agli effetti moltiplicatori degli stimoli fiscali; fidatevi, che aiutando la crescita avremo aumenti degli introiti per lo stato, non si creeranno squilibri di bilancioe tutti staranno meglio. Su questo il Paeseè spaccato: 49 democratici compatti al Senato contro 51 repubblicani hanno perso la partita. Le motivazioni di fondo di ciascuna delle parti sono più politiche che economiche.È vero, il centro studi del Congresso (apolitico) anticipa forti rischi per l’economia in arrivo da questa riforma. In attesa delle conferme ex post tuttavia si impone l’unica verifica possibile ex ante: quella del mercatoe dei dati economici disponibili. I record di Borsa in questo 2017 hanno avuto portata storica: l’indice Dow Jones ha stabilito 74 nuovi recorda partire dalle elezioni presidenziali del 2016a oggie 61 nuovi record nel corso del 2017. La conferma di una svolta secolare l’abbiamo dall’aumento del 28,50% dell’indice Dow Jones all’anniversario dell’elezione di Trump alla Casa Bianca. Si tratta del secondo più importante nella storia. Il record spetta ancora all’aumento del 29,83% del 1945,a un anno dall’elezione di Franklin Delano Roosevelta un quarto mandato. Anche gli aumenti consecutivi hanno stabilito record che non si vedevano dagli anni Cinquanta. Per il Dow Jones il 28 di febbraio si è chiuso un periodo di 12 sedute record consecutive, in parità con il record precedente stabilito nel 1897!È raro che il mercato sbagli su questioni di questa importanza. Che le aspettative su una riforma fiscale abbiano avuto un impatto di Borsa senza precedenti in 120 anniè una garanzia ex ante non trascurabile. Altra verifica secolare ex ante? Alla fine di dicembre, con 102 mesi consecutivi di crescita, l’America si troverà nel bel mezzo di una delle più lunghe riprese della sua storia. Il secondo posto va al periodo tra il febbraio del 1961e il dicembre del 1969, con 106 mesi di ripresa consecutiva. Il record? Fra il marzo del 1991e il marzo del 2001 (Clinton), con 120 mesi di ripresa continua.E c’è da scommettere che entrambii record saranno battuti dalla ripresa in corso che negli ultimi due trimestri ha mostrato tassi medi di crescita del 3%. Ci sono altri costi impliciti?A giudicare dai dati­chiave assolutamente no: l’indice dei prezzi al consumo resta ostinatamente al di sotto della soglia del 2% perseguita dalla Fed; l’occupazione che ha ormai raggiunto uno dei livelli più elevati possibili senza minacciare la sostenibilità della crescita; si sono registrati aumenti dei redditi realie la riforma fiscale dovrebbe fare il resto sul piano dell’aumento del potere d’acquisto dei consumatori. L’unica spina nel fianco resta un debito da 20mila miliardi di dollari. Un debito su questi livelli con una popolazione che sta rapidamente invecchiando, con le spese per le pensioni per l’assistenza medica per gli anziani in crescitaa un tasso superiorea quello atteso per le entrate fiscali post­riforma preoccupa. Ma un rapporto debito Pil del 75% comeè quello attuale,è ancora accettabilee sostenibile. Di nuovo in questo caso la verifica sarà solo possibile ex post. Ma un fattoè certo, per la seconda volta in dieci anni l’America si porta in avanti, prende dei rischi ma nel frattempo crea ricchezzae sembra essere nel mezzo di un circolo virtuoso. Cose che all’Italia mancano. Che poi questo, oltre ai nostri limiti, sia anche colpa dell’ostinata austerità germanocentrica ce lo confermano giài dati ex post.

Ciò che la Borsa pensa di Trump – dal Sole24Oreultima modifica: 2017-12-03T16:20:26+01:00da gianni.pardo
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4 pensieri su “Ciò che la Borsa pensa di Trump – dal Sole24Ore

  1. La borsa americana e’ a livelli di bolla finanziaria stratosferici e mai visti prima.
    Poiche’ i disastri finanziari mondiali dell’ultimo secolo partono sempre da li’, piu’ che esultare saltellando, sarebbe meglio trovarsi una buca in cui nascondersi per quando esplodera’.

  2. Mi spiace per l’autore dell’articolo e per Il Sole24ore, ma il rapporto debito Pil degli Usa a fine 2016 era del 106,10 % non del 75% . https://tradingeconomics.com/
    Quanto alla relazione tra indici di borsa e salute dell’economia reale rimanderei l’autore all’ottobre del 1929.

  3. Probabilmente più che di una falsificazione o di un errore, si tratta di diversi metodi di valutazione. Una cosa è certa, in cifra assoluta il debito americano è colossale. Non mi stupirei che avesse più ragione la sua fonte.
    Tuttavia il debito americano non è comparabile – per fare un esempio – col nostro, perché l’America è padrona della sua valuta (come il Giappone, che ha un debito che supera il 200% del pil, è padrone della sua) e può dunque sempre cavarsela stampando dollari.
    Comunque da un lato è vero che non si è mai al riparo da una devastante crisi di Borsa, dall’altro l’articolo ha citato le borse come gli ambienti in cui meglio (di solito) si prevede il futuro e si giudica una manovra economica. Insomma magari Lei no, ma Wall Street applaude Trump.

  4. “Complice la crisi finanziaria (e il salvataggio delle principali banche Usa, fatta eccezione per Lehman Brothers), l’onda d’urto del piano Tarp da 700 miliardi di dollari e tre manovre di quantitative easing in tre anni, il debito statunitense è balzato oltre i 16mila miliardi di dollari, oltre il 140% del Pil. ”

    http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2012-11-07/debito-pubblico-superato-trilioni-220411.shtml?uuid=Abcb100G#navigation

    Altra perla de ilSole24ore . Nel 2012 il rapporto debito Pil degli Usa è oltre il 140%.

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