LA P3 E IL PROBLEMA DI GIUFA’

C’è nelle tradizioni popolari siciliane un personaggio di cui si raccontano mille storie comiche, un ragazzino di nome Giufà. Giufà un giorno stava seduto su un muretto e non la smetteva di lamentarsi: “Ah, che male! Ah, come soffro! Ah, che dolore!” Un suo amichetto lo vide e gli chiese che cosa l’affliggesse tanto. Giufà, tra un lamento e l’altro, gli spiegò: “Sono seduto su un chiodo sporgente”. “E perché non ti alzi, allora?” “Troppa fatica”, fu la replica sconsolata.
Esagerazioni a parte, a volte siamo tutti un po’ Giufà. Per esempio, mentre muoio dalla voglia di sapere che cosa hanno combinato questi della famosa P3 e i magistrati di cui si chiacchiera, devo ammettere che la lettura degli articoli su questo argomento è per me così noiosa, che rimango seduto sul chiodo della mia curiosità.
I titoli dei giornali e ciò che dice la televisione, invece di incoraggiarmi, mi inducono a mantenere questo atteggiamento. Ed anzi ad inarcare le sopracciglia perché riferiscono continuamente della scoperta che Tizio ha parlato con Caio e Caio smentisce oppure che Caio gli avrebbe risposto, oppure Caio ha promesso che, anche se poi non ha mantenuto… Tutto qui? Si parla in concreto del reato di associazione segreta, vietata dall’art.18 della Costituzione e, immagino, anche dal codice penale (art.270? 304? 305?). Ma non ho mai sentito dire che questi indagati abbiano dato un nome all’associazione, abbiano redatto uno statuto e una lista degli aderenti, si siano proposti dei fini istituzionali o la commissione di gravi reati, ecc. E allora la domanda diviene: non è che per caso si tratta di un gruppo di amici? Perché, visto che ho anch’io degli amici, non si sa mai, litigherò con loro. Così sarò sicuro di sfuggire a qualche imputazione.
Poi, quando si passa all’attività di questi presunti furfanti, l’impressione è che si tratti di raccomandazioni. E uno fa un salto sulla sedia. Raccomandazioni? Perseguire qualcuno per raccomandazioni, in Italia, è come pensare di perseguire i “turchi musulmani”, dimenticando che lo sono al 98%. A questo punto, stante la percentuale di colpevoli e innocenti, converrebbe denominare carcere l’Italia e chiamare libero chi avesse il privilegio di essere chiuso in galera.
Mi precipito a dichiarare che non sono mai stato raccomandato – i miei genitori non erano abbastanza importanti, per farlo – e da parte mia non ho mai accettato raccomandazioni, fino a far nascere la leggenda che se ci avessero provato avrei bocciato i malcapitati. Un cugino arrivò a dirmi: “Non accetti raccomandazioni? Bello scemo. Così ti giochi gli amici”. Ma se sono stato e sono personalmente allergico alle raccomandazioni, non per questo non vedo il mondo intorno a me. E dunque non mi scandalizzo. E a chi si scandalizza chiedo anzi idealmente se è in grado di gettare la prima pietra.
Conosco un giovane magistrato che al primo esame fu escluso dagli scritti perché s’era portato degli appunti nascosti. Ha vinto il concorso alla tornata seguente e oggi sono sicuro che sarà spietato, con chi “ha appunti nascosti”. Ed io “spietato” lo capisco, è il suo mestiere: ma se fosse scandalizzato no, non lo capirei. E questo vale per tanti. Ma proprio tanti.
Dunque di che cosa sono accusati, sul serio, questi signori? Se si tratta di raccomandazioni, non vi date la pena di illuminarmi. Non m’interessa neppure se costituiscono reato: lo commettono in troppi. Se invece qualcuno è in grado di riferire gli estremi di una concreta fattispecie ad un Giufà troppo pigro per alzarsi e andare a vedere, gliene sarò molto grato.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
21 luglio 2010

LA P3 E IL PROBLEMA DI GIUFA’ultima modifica: 2010-07-21T14:15:00+02:00da gianni.pardo
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