MEFISTOFELE E IL PM

Uno scherzo

Letti gli atti, il giudice decise che la questione era talmente nuova, che non sapeva esattamente come comportarsi. Questo Mefistofele era un tipo strano, ma scriveva in buona lingua, con molta logica, e sembrava avesse qualche buona ragione dalla sua. Ma denunziare per truffa il dottor Faust, non solo incensurato, come era naturale che fosse, ma universalmente stimato, in città, sembrava proprio troppo.. Decise così di sentire il denunziante.
Mefistofele fu puntuale. L’usciere venne ad annunciarlo, e disse come al solito:
“Signor giudice, c’è il signor Mefistofele, convocato per le undici”. Ma si vide che gli scappava da ridere. La cosa rese curioso il magistrato:
-E perché ti scappa da ridere?
-Dovrebbe vedere com’è vestito. E che barba. E che cappello…, e cominciò a non potere andare avanti per le risate.
-È venuto a fare lo spiritoso? Gliela faccio passare io, la voglia. Lo faccia entrare.

L’essere umano che varcò la soglia era effettivamente impressionante. Mefistofele era alto poco meno di due metri, e doveva pensare sui centocinquanta chili. I capelli bianchi e lunghi gli cadevano sulle spalle. Portava occhiali perfettamente tondi, di cui non si sapeva nemmeno se fossero graduati, tanto erano perfettamente trasparenti, e non rischiavano certo di scivolare sul naso, tanto questo era imponente. Il viso si concludeva in basso con una barba nerissima, senza neanche un solo pelo bianco. “E questa se la tinge”, pensò il magistrato, realista. Era vestito come un personaggio del “Rigoletto” e completava l’abbigliamento con un largo mantello che, scendendo fin quasi a terra, e si apriva non appena faceva un passo in avanti. Il cappello – un cappello da strega, con una piuma in cima – gli pendeva da una mano, Per rispetto se l’era tolto prima di entrare. Il giudice decise di non perdere il suo aplomb e, come non notasse niente di speciale, gli disse con l’aria più neutra e professionale che riuscì a darsi:
-Si accomodi.
Poi procedette all’identificazione e arrivato all’età ebbe una sorpresa.
-Duecentoottantacinque, disse Mefistofele.
-285 che cosa?
-Anni.
-Non dica sciocchezze. Se lo scrivo poi sono costretto ad accusarla di false dichiarazioni sulla sua identità personale. Anni?
-Ma poi si verrà a sapere?
-Anni? E poi che le importa se si verrà a sapere?
Mefistofere rispose ad ambedue le domande.
-Settantuno. Per la mia professione dico in giro che ho 285 anni.
-Ah già. Appunto: professione?
-Mago e alchimista.
-Sul serio? Scappò detto all’interrogante. Poi si ricompose: Scrivo chimico?
-Va bene chimico ma ci metta anche: “esperto di scienze occulte”. Sa, per i clienti.
Il giudice l’accontentò. E quando infine furono completate le formalità, si mise comodo e intrecciò le dita:
-Lei denuncia il dottor Faust per truffa. Mi racconti tutta la storia.
-È nella denuncia.
-Lo so, ma è inverosimile e vorrei sentirla da lei.
-Come vuole.
Mefistofele gli parlò della sua giovinezza, dei suoi studi, della sua laurea in chimica, e di come fosse stato licenziato dall’impresa in cui lavorava perché ne aveva denunciato le irregolarità. Sul momento non aveva trovato un altro lavoro e così si era riciclato come astrologo, chiromante, alchimista, e, in una parola, mago. I suoi clienti gli confermavano che indovinava il passato, azzeccava il futuro, dava consigli preziosi e in totali tutti erano contenti dei suoi servizi. Aveva trovato la professione della sua vita e guadagnava per tre o quattro volte il suo precedente stipendio di chimico.
-Sono il migliore, nel mio campo, concluse con semplicità.
-Ma questo non c’entra con la denuncia, obiettò il Pm..
-Già, la denuncia. Tutto dipende dal fatto che io sono nato in una famiglia cattolica praticante. Per me essere credente è stato naturale come essere di razza bianca. Ma la vita mi ha trattato veramente male e così a poco a poco sono passato da una fede ortodossa a una fede per così dire speculare. Se Dio era così poco provvidenziale da lasciare che il mondo andasse come andava, allora non poteva essere così buono come dicono. E neanche il suo antagonista, il Diavolo, poteva essere tanto cattivo così come dicono. E fu a questo punto che decisi di ingraziarmelo. E sapevo che per questo bastava che gli offrissi l’anima di qualcuno, sottraendola al suo destino di salvazione. In questo modo nella mia professione avrei acquistato un potere immenso e – chissà – avrei acquisito fama mondiale.
-Andiamo al dottor Faust.
-Sapevo che Faust era sì una persona perbene ma, come la maggior parte dei professori d’università, era avido di denaro. Le lettere classiche non offrono, come la medicina, redditi al di fuori dello stipendio. E così – gliela faccio breve – gli offrii una grande somma perché mi vendesse la sua anima. E alla fine stilammo il contratto. Lui bestemmiò solennemente in mia presenza, si dichiarò devoto del Diavolo, e accettò che, alla sua morte, la sua anima fosse preda di Satana. E me lo mise per iscritto. Così io gli firmai l’assegno.
-Un contratto regolare, concluse il magistrato.
-Non direi. Perché la mia evoluzione religiosa fece sì che a poco a poco perdessi completamente la fede. Non soltanto non credevo più nella Divina Provvidenza, ma non credevo neppure nel Diavolo. Non credevo in niente e in particolare non credevo nell’anima. E allora che cosa avevo comprato, da Faust?
Il magistrato alzò spalle. Poi spiegò:
-Non mi convince. È lei che è andato a cercare Faust, non è lui che è venuto a cercare lei. E poi chi le dice che non esiste l’anima immortale?
-Innanzi tutto, disse Mefistofele quasi con rabbia, non ho avuto alcun segnale dal Diavolo. Nessun segno di benevolenza, nessun aumento dei miei poteri, niente di niente. E comunque, il punto è un altro: io, nel momento dell’acquisto, ero in buona fede. Mentre Faust – l’ho scoperto dopo – è un miscredente. Sapeva benissimo di non vendermi il nulla: un paio di parole senza senso e quattro righe di scemenze. Mi ha truffato.
Il giudice sorrise paziente. Poi si sporse per prendere un codice penale che riposava su un angolo della scrivania, lo consultò con metodo, e alla fine lo girò di centottoanta gradi perché Mifestofele potesse leggerlo:
-Ecco qui, articolo 640: “Chiunque, con artifici e raggiri, inducendo altri in errore…” Faust non l’ha indotta in errore. Lei, se era in errore, era in errore per conto suo. Mi segue?
Mefistofele lo seguiva eccome. Era stato così convinto di avere subito una truffa che non aveva cercato un codice penale. Si mise così a mordicchiarsi il labbro inferiore, guardando con eccessiva attenzione il bordo della scrivania, finché, sconfitto, alzò gli occhi.
-Veramente è così?
-Non c’è dubbio. Le conviene ritirare la denuncia.
All’altro venne un’idea.
-Un momento: ma Faust non ha approfittato della mia convinzione, diciamo della mia ingenuità, per spillarmi del denaro?
-Questo potrebbe essere, e si mise di nuovo a sfogliare il codice. Ecco qua: Art. 643. “Chiunque…approfittando della deficienza psichica di una persona…” È questo, che vuole? Che ne penserebbero i suoi clienti?
-Eh già, disse mesto Mefistofele. Non se ne parla. Insomma, mi devo tenere la fregatura. Io che passo per un Mago e per un alleato del Diavolo, al massimo sono un incapace! Uno che soffre di deficienza psichica. Ma si può dire questo di me, soltanto perché ero un credente, a mio modo? È questo che bisogna pensare dei credenti?
-E lo chiede a me, sorrise il magistrato, alzandosi, per far capire al denunciante che il colloquio era finito. Scrivo qui sotto: ritiro la denuncia. E firmi.
Mefistofele, atterrato, eseguì, e poi chiese:
-Lei un uomo saggio e comprensivo. Mi può dare un consiglio?
-Vada da un civilista e gli parli di “azione di arricchimento”. Chissà che non possa aiutarla.
-Azione di arricchimento?
-Le spiegherà tutto lui. Arrivederla.
E gli diede la mano.
Gianni Pardo, pardonuovo.myblog.it
14 ottobre 2016

MEFISTOFELE E IL PMultima modifica: 2016-10-14T16:08:35+02:00da gianni.pardo
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