LA DOMANDA AGGREGATA COME MITO DELL’ECONOMIA

Un parallelo fra l’incentivo keynesiano e il furto

Domanda aggregata. Ecco un’espressione che intimidisce. Ma piuttosto che arrendermi, a rischio di sbagliarmi, preferisco azzardare una definizione: la domanda aggregata è l’insieme della richiesta di beni e servizi da parte dei consumatori che dispongono del denaro per comprare quei beni e quei servizi.
Secondo la maggior parte degli economisti contemporanei la domanda aggregata è la molla della prosperità. Se la gente ha voglia di avere l’automobile, questo indurrà a produrre automobili. Per produrle (e guadagnarci) l’industria deve assumere personale e distribuire salari. Con questi salari i lavoratori compreranno a loro volta altri beni, e rilanceranno altre branche produttive. Insomma tutto ciò fa “girare” l’economia. Viceversa se la gente non ha denaro, o se non lo spende (rendendolo improduttivo, e per questo i governi contemporanei “puniscono” il risparmio), l’economia non “gira” e si arriva alla recessione. Per molti il rimedio è: “dare alla gente denaro da spendere”, a costo di far girare le rotative della Zecca. Secondo questi principi, infatti, la gente ha sempre voglia di beni e se non compra, è perché non ha denaro. Se lo Stato glielo dà, ed essi spendono, si rimette in moto la produzione, e l’economia riparte. Questo in teoria.
Nella realtà, la maggior parte delle volte – e in particolare in questi anni – l’applicazione dello schema conduce alla situazione attuale: un debito pubblico mostruoso (inflazione surgelata), una disoccupazione drammatica, una recessione inguaribile. La teoria della domanda aggregata come motore della prosperità, con buona pace di John M.Keynes, è semplicemente falsa. Perché concretamente non funziona.
Probabilmente la spiegazione del fenomeno è che il denaro regalato alla gente (l’incentivo keynesiano) contrariamente a ciò che si crede, non incrementa lo scambio. E per dimostrarlo bisogna ben comprendere che cosa sia lo scambio in realtà.
Il vero scambio non è il semplice passaggio di un bene da A a B: è anche il passaggio diretto o indiretto di un bene da B ad A. Il passaggio è diretto nel caso del baratto, indiretto se, per esempio, A compra frutta da B, B con quel denaro compra carne da C, e C a sua volta si fa curare dal medico A. Tutto questo scambio di beni e servizi è sostanzialmente un baratto indiretto che attiva la produzione, perché tutti hanno prodotto ricchezza e il denaro è stato un semplice facilitatore dei trasferimenti. Se invece un bene passa dal venditore all’acquirente senza che l’acquirente abbia prima prodotto una certa quantità di ricchezza, non si avrà nessuno scambio: si avrà un trasferimento e basta, non diversamente da come avviene col furto.
Questo deve essere molto chiaro. Se il cittadino ottiene dei beni non spendendo denaro che ha ottenuto offrendo egli stesso beni e servizi, ma soltanto spendendo i pezzi di carta stampati dalla Zecca, di fatto non offre nulla in cambio di ciò che ottiene. Ma dal momento che la gente è convinta che il denaro invece sia “qualcosa”, questo concetto va ulteriormente chiarito.
Immaginiamo una piccola società in cui ci siano cento unità di beni e cento sterline, con cui comprarle. A questo punto potremmo dire che “l’insieme delle merci oggetto di scambi vale cento sterline, e ad ogni bene corrisponde una sterlina”. Se poi lo Stato (per qualunque ragione) stampa altre dieci sterline, favorirà certo i cittadini cui darà quelle banconote, ma non aumenterà per questo la quantità di beni: farà soltanto aumentare del dieci per cento la quantità di denaro necessaria per acquistarli. E per conseguenza farà diminuire del 10% il valore del denaro che gli altri cittadini hanno in tasca.
Quando i cittadini spendono il denaro che lo Stato ha loro regalato, è come se essi prelevassero dalle tasche degli altri cittadini (quelli che non hanno ricevuto il regalo) una parte del loro denaro. Chi prima poteva comprare dieci, col denaro onestamente guadagnato, ora potrà comprare all’incirca nove. Qui non si è avuto nessuno scambio: si è soltanto spostata una certa quantità di beni da alcuni cittadini ad altri cittadini: ecco perché si è paragonato l’incentivo keynesiano al furto.
La ricchezza è quella cosa che si produce mettendola poi sul mercato e guadagnandoci, e l’economia si rilancia non con lo spostamento, ma con la produzione della ricchezza. Se invece si sovraccarica la produzione di tasse e imposte, e poi si punisce il successo economico di chi lo realizza, il risultato è negativo per tutti. Semplicemente perché si produce meno ricchezza.
La molla della prosperità economica non è la domanda aggregata, è il profitto che chi crea ricchezza ritrae dalla propria attività. Chi alleva galline e va offrire uova al mercato, ecco chi fa marciare l’economia. Non chi compra le uova con denaro falso.
Gianni Pardo, pardonuovo.myblog.it
19 ottobre 2016

 

LA DOMANDA AGGREGATA COME MITO DELL’ECONOMIAultima modifica: 2016-10-19T09:40:59+02:00da gianni.pardo
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