LA BIENSÉANCE E I MIGRANTI

La decency è, per gli anglofoni, quell’atteggiamento mentale e comportamentale che vieta l’immoralità, la slealtà, ma anche l’empietà e il cattivo gusto. Non molto diverso è il concetto francese di “bienséance”, un imperativo ineludibile alla Corte del Re Sole. Secondo il Robert la bienséance era “una condotta sociale in accordo con gli usi, il rispetto di certe forme”. Era – prosegue –l’etichetta, il protocollo, e soprattutto il saper vivere. Contravvenendo a quella regola si sarebbero feriti i sentimenti o le idee di molti astanti e ciò era contrario ad una società beneducata e (almeno apparentemente) tollerante.
Nella nostra epoca sbracata e volgare – e a chi non è d’accordo su questa definizione diciamo “vaffanculo!” – potremmo certo augurarci un ritorno a quelle belle regole, ma la storia non ha la marcia indietro. E al contrario quella buona creanza, morendo, ha lasciato le caratteristiche più deleterie del suo Dna, che ritroviamo in certi comportamenti attuali. Il rispetto degli altri si è trasformato nella political correctness, vuota ed ipocrita formalità; la considerazione per i sentimenti e i bisogni altrui si manifesta come esteriore buonismo; il corpus di principi pressoché universalmente accettati è divenuto pensiero unico ed ovino conformismo.
Tutto ciò tuttavia non sarebbe grave se si limitasse al comportamento formale. Malauguratamente, come spesso avviene, l’interiorità è influenzata dall’esteriorità e finisce col corrisponderle. Il risultato è che la malintesa bienséance alla fine nasconde la realtà. Un esempio grandioso si trova nella storia della Francia.
Tutti abbiamo studiato la Révolution come tale, ma gli storici sanno benissimo che essa non cominciò affatto con l’intento d’essere una rivoluzione. Il Terzo Stato chiedeva soltanto qualche riforma, un maggiore rispetto, una monarchia che somigliasse un po’ più a quella inglese, e nel complesso rimaneva fedele alle istituzioni. Ma la controparte si riteneva onnipotente. Gli eccessi giacobini si spiegano con gli errori di una classe dirigente accecata dalle sue cattive abitudini. Per i nobili, per l’alto clero, e per lo stesso re, era inconcepibile che tanta gente potesse essere ben più esasperata di quegli stessi rappresentanti del Terzo Stato con cui avevano da fare negli Stati Generali. Per loro, nessuno di quei popolani avrebbe mai potuto mancare di rispetto a Monsieur le Marquis, a Madame l’Archiduchesse, e a fortiori a Sa Majesté le Roi.
Così dissero “no” ai compiti portavoce dei filosofi e si ritrovarono a fronteggiare gente capace non soltanto di dare del “cittadino” a Monsieur le Marquis ma anche di tagliare la sua testa e quella del re.
Purtroppo noi non abbiamo da sorridere, guardando al passato. Non siamo né migliori, né più intelligenti di quei signori. E certo non abbiamo la vista più acuta. Un esempio l’abbiamo col problema dell’immigrazione.
Qual è il pensiero unico dominante? Non si possono non salvare i migranti in mare. Anzi bisogna andare a ripescarli non appena lasciano le acque territoriali libiche, magari aspettandoli se ritardano. Parlare di respingerli, rimpatriarli, abbandonarli, limitarne in qualunque modo l’afflusso – anche per evitare che si imbarchino e poi anneghino nel Mediterraneo – è cosa imperdonabilmente immorale. Basti ascoltare che cosa dice il Papa ogni domenica. Riguardo a questo atteggiamento di indefinita apertura, di illimitato dovere morale di accoglienza, nella pubblicistica nazionale non ci sono eccezioni; ma è l’opinione del popolo italiano? O per caso è soltanto l’opinione della nostra Corte?
Allarghiamo lo sguardo al mondo. Da anni l’Australia limita drasticamente le immigrazioni, in particolare quelle di non bianchi. L’America applaude Trump quando parla di rimandare a casa milioni di immigrati illegali. Per non parlare dell’Europa, che all’atto pratico, dopo le belle dichiarazioni, si comporta come sappiamo. L’Ungheria crea barriere di filo spinato. L’Inghilterra a Calais sbarra le porte contro migliaia di possibili immigrati e per fare buon peso vota la Brexit. Nel momento in cui l’immigrazione diviene alluvionale, la Svezia chiude le frontiere, e poco dopo anche la Danimarca. Poi a seguire hanno fatto altrettanto l’Austria e la Francia, e si è arrivati alla sospensione di Schengen.
E l’Italia? Il Paese in cui si trovano intrappolati gli emigranti che giungono a migliaia e non possono proseguire per il centro e il nord Europa? Rimane ferma nella sua posizione di materna accoglienza nei confronti dell’Africa e dell’Asia. Questa è sicuramente l’Italia ufficiale. Ma è anche l’Italia sostanziale? Quella privata, quella popolare, quella senza voce?
Non vorremmo che la nostra Corte, giornalisti inclusi, dovesse scoprire in che modo si può passare dall’impensabile violazione della bienséance al regicidio.
L’episodio delle “barricate” di Gorino – per non far passare un pullman di migranti – non è orrendo, come dicono: è sintomatico. Ed è grave colpa non tenerne conto.
Gianni Pardo, pardonuovo.myblog.it
28 ottobre 2016

LA BIENSÉANCE E I MIGRANTIultima modifica: 2016-10-28T09:36:52+02:00da gianni.pardo
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