BREXIT, AL VIA PER UN ALTRO GIRO

I fatti sono noti. David Cameron, come molti uomini politici avventati del passato e del presente, pensava di “vincere facile”. Dunque ha convocato un referendum per chiedere ai britannici se volessero permanere nell’Unione Europea o lasciarla. Si sa come sono andate le cose. L’imprevista vittoria della “Brexit” ha mostrato un Paese diviso e spaventato del suo stesso coraggio. Cameron si è dimesso e Theresa May, che lo ha sostituito, ha risposto ai tentativi di rimettere in discussione il risultato con britannica chiarezza: “Brexit means (significa) Brexit”. E si è apprestata ai negoziati con l’Unione per i particolari tecnici.
Ma ora la Corte Suprema inglese ha dichiarato che, essendo consultivo, e non vincolante, il referendum non è sufficiente per determinare la Brexit. La decisione deve prenderla il Parlamento. Se il governo intavolasse negoziati con Bruxelles per lasciare l’Unione lo farebbe su mandato del popolo, ma non del Parlamento: mentre la democrazia inglese è rappresentativa, non diretta. La volontà del popolo si deve esprimere per bocca dei parlamentari. Questi potranno benissimo confermare o no la “Brexit”, ma soltanto il loro voto legittimerà il governo al comportamento conseguente.
Noi italiani, abituati a discutibili intrusioni della politica nella giustizia, abbiamo subito letto questa decisione della Corte come l’avremmo letta in Italia: questi vecchioni sono contro l’uscita della Gran Bretagna dall’Europa e la bloccano col loro potere, violando i sacri principi consacrati da Montesquieu. Ma non è detto che questa interpretazione sia corretta: la magistratura britannica gode di un prestigio che quella italiana neppure sogna. Può dunque darsi che abbia soltanto applicato la legge.
La differenza fra un referendum vincolante e un referendum consultivo è che col primo i votanti decidono, col secondo esprimono un parere. Nel primo caso il voto è decisivo, nel secondo il Parlamento può tenerne il conto che vuole. Ma l’opinione dei cittadini ha un grande peso e in un caso come quello inglese, chi si sentirebbe di votare contro l’opinione del popolo? Certo è tuttavia che, se lo facesse, agirebbe ancora nell’ambito della legalità.
Il passaggio in Parlamento è necessario, quand’anche si risolvesse in una verifica della volontà popolare. Non diversamente da come, anche in Italia, l’iter di una nuova legge non è completo finché il provvedimento non è firmato dal Presidente della Repubblica.
In conclusione, l’affermazione che il referendum non ha la forza di determinare l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea non soltanto è valida, è assolutamente incontrovertibile. Rimane soltanto da vedere se essa sia il frutto di una sana e utile applicazione della legge, o di un escamotage per frustrare la volontà popolare, come è avvenuto tante volte con i nostri referendum.
La democrazia diretta è quella in cui i cittadini si riuniscono in piazza e tutti decidono. Oggi è un ideale assurdo. Il sistema poteva funzionare nella Grecia antica dove ogni città era uno stato, dove moltissimi cittadini non votavano (perché donne, perché non cittadini a pieno titolo, o semplicemente perché contadini lontani dalla città) e la piazza riusciva a contenere un accettabile numero di votanti. Ma è concepibile per l’immensa e popolatissima Cina? In uno stato moderno la democrazia non può che essere rappresentativa. I cittadini eleggono i loro delegati (è questo che significa la parola “deputati”) e costoro agiscono e votano in loro nome. E una volta che si è stabilito questo principio non si può più scegliere un’altra strada. Decide il Parlamento, a meno che, eccezionalmente, e per sua volontà, non deleghi la decisione allo stesso popolo, con un referendum vincolante. Se invece il referendum è consultivo, si rientra nella regola. Ed è il nostro caso. E fra l’altro, la cosa ha un senso.
Immaginiamo che il referendum consultivo – magari convocato per motivi demagogici, essendo stupidamente sicuri di un certo esito – abbia dato un risultato opposto, la cui applicazione sarebbe nociva per il Paese. In questo caso – in nome del bene della patria – i parlamentari possono benissimo non dare corso a quel parere. Del resto, la nostra stessa Costituzione non è sicura che l’obbedienza al volere dei mandanti – i cittadini – corrisponda sempre al bene della nazione. E infatti solleva i delegati dal dovere di obbedirgli costantemente. Ecco l’art.67: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”. Il vincolo di obbedire alla volontà del mandante. Ed è probabile che le cose stiano così anche nel Regno Unito.
Tutto ciò spiega perché, in termini di diritto, la Corte Suprema inglese ha deciso bene – per qualunque motivo sostanziale l’abbia fatto – e in termini politici il Parlamento è ancora libero di decidere a favore di “Brexit” o a favore di “B-remain”.
Gianni Pardo, pardonuovo.myblog.it
5 novembre 2016-1019

BREXIT, AL VIA PER UN ALTRO GIROultima modifica: 2016-11-05T08:08:42+01:00da gianni.pardo
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