PERCHÉ (A MIO PARERE) HA VINTO TRUMP

Una persona che cerca di essere equilibrata deve diffidare dei propri sentimenti. Se vede il figlio giocare al calcio, non deve essere sicuro del proprio parere, in particolare se in contrasto con quello dell’arbitro. Vedere è un conto, stravedere un altro. E se questo articolo sarà scritto in prima persona, è proprio perché non ha la pretesa di parlare di “fatti”, desidero confessare continuamente di star esprimendo “impressioni personali sui fatti”.
Durante tutta la campagna elettorale americana non ho mai formulato previsioni sull’esito. Elementare prudenza, si dirà. Ma nel mio caso la prudenza è stata accentuata dalla precisa sensazione di non essere imparziale e di avere impressioni talmente forti, da essere pericolose. “Non è che per caso mi stia innamorando delle mie idee?” Del resto, molti di quelli che alle loro impressioni non soltanto davano fiato, ma addirittura le gridavano, mi lasciavano perplesso.
Innanzi tutto, in occasione delle elezioni, checché dicano i commentatori e i vari guru, ciò che conta non sono le loro tesi, ma il tipo di scheda che gli elettori mettono nell’urna. Tipo che molto spesso non è quello previsto dai competenti. In secondo luogo, molti politologi importanti, nel momento in cui “stramaledicono” un candidato, come è avvenuto con Donald J.Trump, credono di determinarne la sconfitta, e si sbagliano. La stragrande maggioranza degli elettori non legge i giornali, e ancor meno gli editoriali. In questo campo quelli che si rendono più ridicoli sono i commentatori stranieri. Gli americani già non si informano seriamente con i loro media, figurarsi con quelli scritti in lingua per loro straniera.
Ma ciò che mi ha soprattutto sbalordito, sin dall’inizio di questa vicenda, è stato la sensazione che mi hanno dato, Hillary Clinton e tutti quelli che l’hanno sostenuta, di non aver capito il senso della campagna elettorale. Stavano a contestare lo stile di .Trump, la validità delle sue affermazioni, il suo passato di uomo normale (e dunque reprensibile, sia nel linguaggio che nei comportamenti sessuali), le sue gaffe, e non badavano affatto alla materia del contendere. Per una volta, non si discuteva della politica interna od estera degli Stati Uniti e neppure – seriamente, quanto meno – di politica economica: si discuteva del giudizio da dare dello statu quo e della politica “alla Obama”. I democratici credevano che presentandosi come “affidabili”, “garanti della continuità e della competenza”, insomma come “rappresentanti dell’establishment”, non avrebbero potuto che vincere, contro il pagliaccio con i capelli gialli. Mentre il suddetto, avendo capito (o “sentito”, ma poco cambia) che la gente era stanchissima dell’establishment, non ha fatto nulla per integrarsi ad essa. Anzi, le si è opposto in tutti i modi – con le parole, con gli eccessi, con le gaffe, con gli insulti, perfino – perché questo era il suo unico messaggio. Non il cambiamento di Obama, vago e buonista, e dunque sostanzialmente nessun cambiamento, ma una rabbia rivoluzionaria contro l’esistente. Cioè un vero cambiamento. Che magari non si avrà, ma è ciò che lui ha promesso.
Ecco perché non ho scritto prima tutto quanto precede. Perché vedendo comparire sul palco, a fianco di Hillary Clinton, il Presidente Obama e sua moglie, Madonna e Bill Clinton, e tutte le grandi star di Hollywood, mentre nel frattempo tutti i benpensanti indignati del mondo, al seguito del New York Times, sputavano veleno su “The Donald”, mi chiedevo se fossi cieco io o fossero ciechi loro. Come non capivano che più accumulavano ricchi e celebrità a favore della Clinton, e più l’affossavano, perché Trump si presentava come rappresentante di quelli che non avevano voce in capitolo? I votanti cui si rivolgeva erano quelli che non erano inclusi nell’establishment vincente, coloro che erano certamente più numerosi dei rappresentanti della upper class ricca, buonista e politically correct. Quelli che magari avevano votato un giovane senatore di colore per rompere il tradizionale dominio dei White Anglo-Saxons Protestants e se ne erano pentiti. Quelli che ora erano ancor meno disposti ad una nuova avventura, anzi rottura, votando una donna.
È vero, gli americani hanno votato per cambiare rotta. Se sarà la rotta giusta, e se il nuovo presidente – sostenuto da un partito che non l’ha sostenuto – riuscirà ad imboccarla, sarà tanto meglio. Se non ci riuscirà, o sarà business as usual (e sarà stato “Tanto rumore per nulla”) oppure addirittura tutto volgerà per il peggio. Ma non è detto che, nel lungo termine, sia un male. Da decenni – lo vediamo in Europa – siamo sulla strada sbagliata ed è tempo che si comprenda che c’è molto, molto da cambiare, nel mondo sviluppato.
Che è poi la ragione per la quale, stramaledetto anch’io, avrei votato per Trump, che mi era meno antipatico della saputella e sotterraneamente arrogante signora Clinton.
Gianni Pardo, pardonuovo@myblog.it
novembre 2016

PERCHÉ (A MIO PARERE) HA VINTO TRUMPultima modifica: 2016-11-09T10:47:57+01:00da gianni.pardo
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