IL SI’ È UN’OCCASIONE PER LE RIFORME?

Michele Salvati, sul Corriere(1), sostiene una tesi che farà molto piacere a Renzi: la politica italiana è incapace di realizzare le riforme. Queste infatti sono dolorose, hanno bisogno i tempi lunghi per mostrare i loro effetti benefici, e invece la politica ha tempi brevi e soffre della resistenza dei cittadini. Fra l’altro perché sul loro scontento soffia sempre la demagogia delle opposizioni. A parere di Salvati, qualcosa hanno fatto, in momenti d’emergenza, prima Ciampi e poi Mario Monti. Ma non erano dei politici. Ora ci prova Matteo Renzi, e se il “no” prevarrà nel referendum del 4 dicembre, si perderà anche questa occasione. Raramente tesi sembrò meno fondata.
Lasciamo da parte Ciampi e Amato – quest’ultimo ancora oggi ricordato per un “furto” notturno nelle banche – perché quelle vicende sono ormai lontane, e occupiamoci di Mario Monti, la cui massima opera è stata un notevole aumento della pressione fiscale. Ciò lo ha reso tanto impopolare che – mentre lui credeva di avere acquisito i massimi titoli per la gratitudine nazionale – alle elezioni fu praticamente eliminato dalla vita pubblica. Rimase in Senato soltanto perché beneficiato di un laticlavio regalato dal Presidente Giorgio Napolitano. La stessa riforma Fornero – l’unica cosa utile che fece – sembrò preludere ad una stretta della spesa pubblica, e ad un nuovo modo di governare: ma quel preludio non fu seguito da nulla.
Qui non si getta la croce su Mario Monti, anche se il personaggio è antipatico. Nessuno avrebbe potuto fare meglio o più di lui perché la malattia dell’Italia è un sistema in cui le entrate (grandissime) non coprono le spese (ancora più grandi) e gli italiani non vogliono rinunciare a nessun vantaggio. Il collettivismo vagamente sovietico è stato digerito dall’intera nazione, e determina una pesante fiscalità che impedisce un’economia sana. Le mille esperienze del passato non riescono a dimostrare che non si tratta di maggiori o migliori interventi dello Stato (per esempio con i famosi “investimenti pubblici”) ma semplicemente di permettere alla gente, tagliando la pressione fiscale, di lavorare, guadagnare e poi spendere. Abbiamo sempre una politica egalitaria, pauperistica, statalista che nel complesso ci sta conducendo al disastro.
Neanche per la situazione attuale è colpevole il Primo Ministro. Le resistenze sono troppe per chiunque: figurarsi per un leader di quella sinistra che da sempre considera l’intervento dello Stato un dogma incontrovertibile.
La cosa più stupefacente dell’articolo di Salvati è tuttavia un’altra: egli sembra dire che se invece il referendum ottenesse il “sì”, si avrebbero finalmente le riforme necessarie. Salvati è persona intelligente e probabilmente voleva dire altro. Cioè che, se vince il “sì, Renzi e il governo che egli domina diverranno onnipotenti e potranno attuare tutte le necessarie riforme. Ma è sicuro che non incontrerebbero resistenze?
Il ragionamento starebbe in piedi se il potere avesse il coraggio e la forza di imporsi come una dittatura. Magari una dittatura temporanea e benefica, come quella del tempo della Roma repubblicana. Ma è possibile?
L’Italia non è soltanto una democrazia nelle istituzioni, lo è anche nella mentalità del popolo. Il governo deve tenere conto dell’opinione pubblica e non può fare tutto ciò che vuole, neanche quando ha il potere legale per farlo. Se un provvedimento solleva la protesta dell’intera nazione, deve rinunciarci. In democrazia – soprattutto nella nostra democrazia – è valido quel principio che Montanelli amava tanto ricordare: “Sono il loro capo e dunque li seguo”.
Perfino un Renzi capo unico del partito unico alla Camera unica si accorgerebbe di non essere onnipotente. Ci potrebbe provare ma – ammesso che evitasse la rivoluzione, e ammesso che riuscisse a completare la legislatura – poi sia lui, sia tutti quelli che gli hanno tenuto bordone, dovrebbero emigrare o darsi alla pastorizia in Sardegna. Tagliare le pensioni a tutti? Dimezzare l’assistenza sanitaria? Chiudere un ospedale su due? Abolire i sindacati? Raddoppiare il numero di alunni per classe e licenziare metà dei docenti? Basterebbe uno solo di questi provvedimenti per scatenare le piazze.
Se nessuno è riuscito a risollevare l’Italia, è segno che la cosa è impossibile. Non si tratta di cambiare le leggi, si tratta di cambiare gli italiani. E non è detto che ci si riesca. Forse, una possibilità potrebbe offrirla la prevalenza del “no”, se questo “no” veramente destabilizzasse l’Italia fino a farla fallire. Forse gli italiani sarebbero costretti dai fatti a cambiare mentalità e modello sociale.
Nella realtà attuale è invece probabile che neanche il “no” cambierebbe qualcosa. Tutti – inclusa l’Europa, inclusi i mercati, inclusi tutti gli establishment – hanno interesse a rinviare quanto più è possibile il redde rationem.
Gianni Pardo, pardonuovo@myblog.it
novembre 2016
http://www.corriere.it/cultura/16_novembre_08/malattia-profonda-4eee28be-a508-11e6-b713-5be9dedb2e34.shtml

IL SI’ È UN’OCCASIONE PER LE RIFORME?ultima modifica: 2016-11-10T11:34:43+01:00da gianni.pardo
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