LA CAPRA, I CAVOLI, L’ORSO. RENZI SI GIOCA L’ITALIA AI DADI

E soprattutto attenzione al P.S.

I “jingle” sono fra l’altro quelle musichette che, al telefono, hanno lo scopo di indicare alla gente che devono pazientare. Quelle che, appena terminate, ricominciano da capo, fino al tormento. E certi argomenti sono come quei jingle: non sono piacevoli, , ma se ne parla costantemente proprio perché, come un mal di denti, ci fanno male e non ci permettono di dimenticarli. Uno di questi è l’interminabile crisi economica dell’Europa.
Su un punto tutti sono d’accordo: bisognerebbe uscirne. Bisognerebbe trovare un rimedio. E i rimedi sembrano essere fondamentalmente due: l’austerità o l’allargamento dei cordoni della borsa. Per l’austerità, molti non sono d’accordo. Infatti l’applichiamo da anni, senza risultati. Perché non provare la ricetta opposta? Ma l’Unione dice di no, e non è che le manchi qualche buona ragione. Più investimenti pubblici, cioè spesa a ruota libera, potrebbero precipitare quella crisi finale che forse è malgrado tutto inevitabile, ma non c’è ragione di affrettarla. Con l’attuale contenimento della spesa va male, è vero, ma potrebbe andare ancora peggio. Molto peggio.
Chi ha ragione? Nel famoso quesito per bambini sul modo di traghettare due alla volta la capra, i cavoli e il lupo, la soluzione c’è. Se invece si tratta di traghettare la capra, i cavoli e un orso, la soluzione non c’è più: perché l’orso è onnivoro, e mangerebbe sia la capra sia i cavoli. Nel nostro caso, se si allentano i cordoni della borsa, si rischia l’inflazione, la crisi dei mercati, il crollo dell’euro e il fallimento di alcuni Stati. Se invece si insiste sull’austerity, continueremo a pagare interessi spropositati (per l’Italia all’incirca settanta miliardi di euro l’anno) e a mettere pezze con l’executive easing. Rinviamo il problema ma non lo si risolviamo. Il debito continua ad aumentare, e una volta o l’altra si arriverà all’iperinflazione, alla crisi delle Borse, al crollo dell’euro e al fallimento di alcuni Stati.
Dunque hanno torto sia quelli che – come il nostro governo – vorrebbero spendere di più, per rilanciare l’economia (come credono) sia quelli che, come la Germania, vorrebbero spendere di meno per non allarmare i mercati. L’unica soluzione è ammazzare l’orso. E invece ne sembriamo lontanissimi. L’Italia e la Commissione di Bruxelles litigano come cani e gatti perché, in via eccezionale, era stato permesso all’Italia di sforare il bilancio del 2,3%, mentre ora il nostro governo chiede di poterlo fare di un ulteriore 0,1%. Nientemeno. E per questo si è arrivati alle parole grosse, al rischio di fare saltare il banco. Per avere un’idea del vero problema, e delle proporzioni di quello attuale, basterà notare che lo zero uno per cento del nostro pil corrisponde, rapportato al nostro debito pubblico, ad una frazione che ha un uno al numeratore e 1330 al denominatore. Ci sarebbe da ridere, se non ci fosse da piangere. Però a Bruxelles e a Berlino non sono pazzi. Il fatto è che siamo in una situazione talmente pericolosa, che anche una sola goccia in più potrebbe far traboccare il vaso.
Il vaso che trabocca sono i mercati che potrebbero pubblicamente mettere in dubbio la solvibilità italiana. Diciamo “pubblicamente” perché, privatamente, sanno tutti che questa solvibilità è già oggi inesistente- Ma finché tutti fanno finta di non saperlo, i mercati continuano a comprare i nostri titoli pubblici. E se il problema riguardasse soltanto noi, si può star certi che tutti gli altri Paesi farebbero spallucce: ma oggi, se andiamo a fondo noi, andiamo a fondo tutti. Matteo Renzi crede che questo sia un nostro punto di forza, in Europa pensano che siamo deboli tutti. E in pericolo. Prima i malati di debito pubblico eravamo soprattutto noi, oggi – a parte la Grecia, già fallita – i malati gravi sono i principali Paesi europei, la Francia, la Spagna e perfino la Germania. Un aggravamento della crisi non risparmierebbe nessuno. L’Italia è troppo grande, per essere salvata come la Grecia, e figuriamoci se la crisi investisse, insieme con noi, gli altri due grandi Paesi latini, per non parlare di Portogallo, Irlanda e compagnia cantante.
Il lettore di buon senso a questo punto irriderà l’autore di queste righe dicendo in cuor suo: “Tutte le migliori teste d’Europa non trovano la soluzione, e ora costui ce la fornirà gratis, dal fondo del bancone del bar”.
No, non ho la pretesa di fornire la soluzione. Desidero soltanto che il quesito sia posto nei termini corretti. Se non risolviamo niente riprendendo a spendere come pazzi, e non risolviamo niente con un’indefinita austerity, la soluzione da trovare deve essere è qualcosa di diverso da queste due. Che dunque ci pensino i cervelloni comunitari, ricordando che, finché ci parleranno di investimenti e di austerity, non saranno credibili. E nel campo dell’austerity abbiamo già dato.
P.S., forse più importante dello stesso articolo.
Abbiamo anche una notizia, proprio di oggi pomeriggio, 15 novembre, che si inserisce perfettamente nelle considerazioni che precedono. A nome dell’Italia il sottosegretario agli Affari Europei, Sandro Gozi, ha sostanzialmente posto il veto al bilancio comunitario 2014-2020. E si è espresso con parole durissime, da padrone scontento dei suoi dipendenti. Noi italiani mettiamo il veto perché, secondo quanto riferisce l’Ansa(1): “dobbiamo avere ancora molte garanzie sul reale aumento a favore delle nostre priorità: immigrazione, sicurezza, risorse europee per i giovani”, “su cui non possiamo assolutamente accettare dei tagli”. È necessaria “la flessibilità del bilancio europeo per una maggiore capacità di reagire alle crisi”. E nel caso a qualcuno la parola “flessibilità” non fosse chiara, Gozi ha anche dichiarato, papale papale: “Siamo molto stanchi delle ambiguità e delle contraddizioni europee. Siamo molto stanchi di un’Europa che dice alcune cose e poi non le fa. Siamo molto stanchi di un’Europa che è piccola con le cose grandi e grande con le cose piccole. E noi siamo convinti che, se l’Europa non cambia, siamo di fronte all’inizio della disintegrazione europea”.
Ci siamo, ecco la spada di Brenno. Ma c’è una differenza, rispetto all’atteggiamento di quel Gallo. Lui aveva la spada, l’Italia non l’ha. Tutto ciò che può minacciare, è di mandare a fondo tutti insieme con la stessa Italia. Chi ha bisogno dei soldi altrui, o della garanzia altrui, non ha i mezzi per alzare la voce. Se Renzi crede di potere intimidire Berlino, o Bruxelles, si sbaglia di grosso. L’Europa non vuole andare a fondo, ma proprio per questo non può gran che cedere: perché la ragione per non cedere è proprio quella di non andare a fondo. Se dunque magari dovesse inchinarsi, stavolta, su quello 0,1% di cui si diceva, Renzi stia pur sicuro che non potrà giocare a lungo e seriamente questo gioco. L’Italia è forse con le spalle al muro, ma anche l’Europa lo è, e nel caso di un braccio di ferro, o si va tutti al diavolo, o vince il più forte.
Se le cose stanno come si dice qui, Renzi è un pericolo serio per l’Italia. Se non ci fossero altre ragioni per il “no”, al referendum, basterebbe questa mossa per convincere chiunque abbia a cuore il destino del nostro sfortunato Paese a togliere dal posto di comando un avventuriero politico di questo genere.
Gianni Pardo, pardonuovo.myblog.it
novembre 2016
(1)http://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2016/11/15/gozi-italia-blocca-revisione-bilancio-pluriennale-ue_9db86f3d-2d09-426c-9b17-26616b3c184a.html

LA CAPRA, I CAVOLI, L’ORSO. RENZI SI GIOCA L’ITALIA AI DADIultima modifica: 2016-11-15T17:41:05+01:00da gianni.pardo
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