QUALE LA SORTE DELL’EUROPA?

Un tempo gli esami di maturità del Liceo Classico (tutte le materie di tutti e tre gli anni, scritti e orali, inclusa l’educazione fisica) erano di una tale difficoltà, che chi sopravviveva li riviveva come incubi per anni. Un po’ come si è visto in quel bel film di Bergman, “Il posto delle fragole”. Personalmente, se dovessi immaginare una domanda di storia tremenda, penserei a queste due: “Spieghi le cause della Prima Guerra Mondiale”; oppure: “Quali furono le cause della decadenza dell’Impero Romano d’Occidente?” Se sapessi che gli esaminatori sono spiritosi, alla prima, risponderei: “Stupidità e imprudenza”. Ma per la seconda, come nei quiz, chiederei la “domanda di riserva”, se c’è. E lo stesso avverrebbe se mi si chiedesse qualcosa sull’attuale decadenza dell’Europa.
La decadenza di un grande organismo politico è caratterizzata dal fatto che le cose cominciano ad andare male in molti campi. Il sentimento generale del popolo è quello di essere l’oggetto di un accanimento della malasorte. Mentre prima si andava verso una sempre maggiore potenza e un sempre maggiore splendore, poi la debolezza, i difetti, le disgrazie della società si accumulano, senza che nessuno riesca ad invertire la rotta. Fino al crollo finale.
Non è detto che il processo sia irreversibile, e non c’è ragione perché, teoricamente, una civiltà non possa rifiorire. Ma la storia non ne presenta grandi esempi. Si possono magari avere più civiltà sullo stesso territorio – come è avvenuto in Italia, dove si è avuta la civiltà romana e il Rinascimento – ma è difficile che rinasca la stessa civiltà. Israele in fondo è soltanto riuscita a risuscitare la lingua ebraica.
La grande civiltà europea è nata dopo l’Anno Mille ed ha cominciato a fiorire in Italia, intorno al XIII Secolo. Ma l’esplosione si è avuta col Rinascimento. Questa nuova civiltà che come lingua di cultura aveva ancora il latino, vide sorgere le moderne nazioni, con le loro nuove lingue, e con una mentalità comune che, nel corso dei secoli, doveva condurre alle più grandi conquiste nell’economia, nella scienza, nell’industria, e nella politica, con la moderna democrazia. Fino al massimo splendore del XIX Secolo.
Fra l’Europa di oggi e quella dell’Ottocento, il contrasto non potrebbe essere più stridente. Siamo passati dall’essere l’unica superpotenza mondiale ad essere un’entità culturale ed artistica, gloriosa per il suo passato, che però si rispetta e si ammira come un grande nonno che l’età ha reso infermo. Non soltanto non determiniamo i destini del mondo, ma sentiamo di non avere il diritto di farlo.
Noi abbiamo certo le nostre colpe, ma è anche vero che è cambiata la geografia del mondo. Prima il mare più importante era stato il Mediterraneo, poi divenne l’Oceano Atlantico. Prima l’Europa aveva avuto il monopolio della forza militare, anche per la sua superiorità tecnologica, poi alcuni altri Paesi hanno capito che il segreto di quella forza poteva essere copiato: basti pensare al Giappone. Sempre per quanto riguarda la forza militare, il XX secolo già nei primi anni ha mostrato che sorgevano altre grandi potenze militari. Basti pensare alla guerra russo-giapponese. E soprattutto quella grande nazione che culturalmente era soltanto un’appendice del Regno Unito, ma economicamente e per le sue dimensioni, rischiava di divenire la potenza egemone mondiale: gli Stati Uniti. Come poi è avvenuto.
L’Europa, da padrona del mondo, era divenuta terra di conquista. Berlino, occupata per decenni, è stata a lungo l’immagine del nostro servaggio. È vero che due delle potenze occupanti erano europee, ma erano l’ombra di sé stesse. La Francia era stata sconfitta, e l’Inghilterra, pure eroica vincitrice del conflitto, ne era uscita affamata, spossata e ridimensionata. L’Europa occidentale sentiva confusamente che il suo tempo era finito, e per quella orientale addirittura non ci fu scampo: la decadenza prese la forma dell’asservimento ad una satrapia orientale.
Se ancora il Continente fosse stato unito, per il semplice peso della sua enorme popolazione e del suo livello economico, avrebbe potuto contare molto, nel mondo. Ma si sa che, se non si combatte uniti, si perde. Gli Stati europei, ognuno con l’orgoglio imbecille dei nobili decaduti, hanno rifiutato di unirsi ed hanno soltanto cercato di sopravvivere, contando sulla benevolenza del conquistatore. Per giunta rinunciando alla loro anima. Come i Galli che, conquistati da Cesare, non riottennero la loro libertà riconquistandola ma snaturandosi e divenendo cittadini romani loro stessi. E come loro noi scimmiottiamo la lingua inglese, straziandola con una pronuncia infame, usandola anche a sproposito e perfino – con solenni sgrammaticature – per le insegne dei negozi. Il nostro provincialismo è irrefrenabile e velleitario, anche perché siamo degli assoluti somari, per le lingue straniere. Parliamo con sussiego di spending review, di jobs act, usiamo mille parole che un inglese non capirebbe: il manàgement, la sàspens, l’autòriti, la “volùntari disclòsur”, spesso abbreviata in “disclòsur” e basta. Un disastro.
La nostra decadenza è dimostrata da qualunque fenomeno si esamini. Per esempio, le persone equilibrate hanno un forte senso della realtà, mentre gli europei sono convinti che, essendo buoni con gli altri, gli altri saranno buoni con loro. E allora perché avere un esercito? Pensano che si possa spendere ciò che non si è guadagnato, ché tanto dopo una soluzione si trova. Che i precetti morali vanno obbediti anche quando è impossibile farlo, come per esempio quando si tratta di accogliere tutti gli infelici del mondo. Che tutti gli uomini debbano essere uguali non nei diritti e, possibilmente, nelle condizioni di partenza, ma anche come risultato finale. Tutta una serie di pericolose fanfaluche.
Fino ad arrivare alla demenziale idea della “ridistribuzione” della ricchezza, come se ciò che alcuni hanno gli fosse stato regalato, in occasione di una prima, sconsiderata distribuzione. E come se fossimo ancora nel Medio Evo, quando la ricchezza era veramente ereditaria. Tutto questo mentre vedono passare una Cina ben poco preoccupata di sindacati, ecologia, ed altre bellurie, da Paese idealista e comunista – in cui la gente moriva sul serio di fame – a Paese leader economico mondiale. Addirittura possibile erede del primato, se gli Stati Uniti si metteranno ad imitare l’Europa.
L’Europa è in decadenza. Ha perso il potere militare. Ha perso la primazia culturale. Ha perso la fiducia in sé. Ha perfino smesso di produrre arte. In queste condizioni non ha senso nemmeno ipotizzare di frenare sulla via del degrado. Se si è forti e risoluti si può vincere contro qualcuno, ma contro tutti perdette anche l’Imperatore Flavio Claudio Giuliano. E per questo quadro sconfortante l’unica consolazione è che la nostra insignificanza è meritata. Noi pensiamo soltanto a sopravvivere, sperando che la storia ci risparmi. Come i romani del V Secolo. E allora la Sorte è innocente.
Gianni Pardo, pardonuovo.myblog.it
novembre 2016

QUALE LA SORTE DELL’EUROPA?ultima modifica: 2016-11-16T14:19:30+01:00da gianni.pardo
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