IMPERIALISMO, COLONIALISMO, FRAMMENTAZIONE

Tanto più è vasto il punto di vista, tanto più facilmente può essere erroneo. Dire che il basso prezzo del petrolio mette in crisi l’Arabia Saudita è una verità, banale magari, ma pur sempre una verità. Dire invece che la storia va fatalmente verso il meglio, o verso il peggio, è impresa tanto arrischiata da essere sconsigliabile. E tuttavia – se non si posa a profeti – le grandi visioni hanno il pregio, se non di risolvere, almeno di porre il problema.
Senza nessuna speranza di giungere a grandi verità, ci si può chiedere se non stia albeggiando una nuova concezione dello Stato, soprattutto in materia di frontiere. Lo Stato Islamico – anche se la sua sorte appare attualmente segnata – è in questo senso sintomatico. Esso dimostra che ancora oggi è possibile che nasca un Paese il cui collante fondamentale non è l’ethnos, la civiltà o il potere militare, ma la fede religiosa. E se l’IS ha pensato di affermarsi senza un vero esercito, in una regione desertica e priva di montagne, è stato perché contava sulla facile sopravvivenza degli Stati più deboli.
Fra l’altro, stante la sostanziale identità fra Fede e Stato, nell’Islàm, l’idea del califfato non era peregrina Forse Al Baghdadi sperava in una volontaria adesione degli altri stati sunniti, mentre in realtà prevale dovunque la tendenza alla frammentazione. Perfino un Paese piccolo, povero e sfortunato come lo Yemen rischia di spaccarsi. Tutti vogliono separarsi da chi sentono diverso, magari soltanto per la lingua (si pensi al Belgio) senza preoccupazioni per la sicurezza.
Per noi occidentali, l’unione nazionale nasce da un’identità etnica, storica e culturale, in qualche caso a sua volta figlia di grandi vicende militari. Basti pensare alla sorte dell’Alsazia-Lorena. Nei decenni recenti, invece, è invalsa l’idea che le invasioni siano un fenomeno del passato e che le frontiere esterne siano talmente inviolabili, da poterne creare di interne. Questa tendenza alla frammentazione del territorio – si pensi alla Jugoslavia – nasce dalla convinzione che non si corrano rischi. Chi mai dovrebbe invadere il Montenegro?
La molla della paura sembra non agire più. Non appena l’Unione Sovietica è implosa, è stato un fuggi fuggi generale. Nessuno è voluto rimanere “russo”, malgrado la sicurezza che l’appartenenza ad uno Stato colossale poteva fornire. È rinato un rosario di nazioni intorno all’ex U.r.s.s. perché, ancora una volta, nessuno teme nessuno. Soltanto Mosca conserva il suo eterno senso di insicurezza, ma è un caso speciale.
Le cose non vanno meglio per l’Europa Occidentale. Dopo la Seconda Guerra Mondiale si sono cercate la pace e la potenza nella fusione, ma dopo tanti decenni si è più vicini alla disgregazione della comunità che al suo trionfale completamento con l’unione politica.
Il ricordo delle invasioni e della sottomissione a un potere straniero sembra scomparso dalla storia e ciò contribuisce a spiegare la tendenza alla frammentazione lungo linee – di religione, di lingua, di esperienze o semplicemente di dispetto – che non sono quelle derivanti dalla forza militare. Ciò che è stato vero per millenni – l’espansionismo imperiale di chiunque abbia avuto la forza di attuarlo – ha cessato di operare, e così gli eserciti sembrano obsoleti. Dal 1945, in Italia, le spese militari sono sempre state considerate soldi buttati, e tutti hanno sempre chiesto al governo di spendere quel denaro per altri scopi. Perché procurarsi costosissimi aerei da guerra che, prevedibilmente, non serviranno mai a niente?
Una delle risposte possibili, per la fine dell’imperialismo militare, è l’esperienza del colonialismo. Nella vulgata corrente (soprattutto di sinistra) il colonialismo è stato una iattura, qualcosa di cui vergognarsi. Alcuni Stati europei – la Gran Bretagna e la Francia, in primo luogo – hanno approfittato della loro forza per dominare vasti territori, soprattutto in Africa e in Asia, per sfruttare le loro risorse, per sfruttare le loro popolazioni e, in una parola, per arricchirsi a spese loro. Dunque la decolonizzazione è stata vista come una sorta di guerra d’indipendenza dei popoli oppressi, che con essa recuperavano la loro libertà e la loro prosperità. Ma i risultati concreti sono stati l’opposto dello sperato.
L’assenza della potenza coloniale non ha reso né più libere né più prospere le ex colonie. In molti casi quei popoli stavano meglio prima, sia economicamente sia come situazione di pace. Basti un nome: la Rhodesia, passata da “Svizzera dell’Africa” a satrapia di un dittatore ben poco stimabile, e in cui anche l’economia è andata a rotoli. E non è affatto un caso isolato. Basti pensare al Ruanda, al Burundi, alle guerre in Congo, alla fame di alcuni anni fa in Algeria, all’attuale situazione in Libia. Il Paese più prospero dell’Africa è quel Sud Africa in cui non si è avuta la decolonizzazione, perché anche quando è finita l’Apartheid non per questo i bianchi sono andati via.
La controprova di tutto ciò è che le ex potenze coloniali, una volta lasciate le colonie, non sono diventate più povere. Dunque la loro forza non dipendeva dalle colonie ma dal loro modello produttivo e lo Stato più forte dal punto di vista economico, fra Francia, Gran Bretagna e Germania, è quest’ultimo che praticamente non ha avuto colonie.
Tutto ciò potrebbe avere insegnato che non conviene avere un impero. È una liability più che un asset, più una passività che un’attività. E questa mancanza di appetito dei grandi per le conquiste potrebbe avere ispirato un senso di sicurezza a tutti i piccoli, inducendoli a fidarsi di una loro presunta intangibilità. Chi non se ne fida affatto è Israele, che infatti ha un possente esercito e un’autentica indipendenza, non “octroyée”.
Ma nulla nella storia è eterno e non sappiamo quanto questa situazione durerà. Cambiando le condizioni obiettive, per qualche fattore oggi magari imprevedibile, forse si tornerà ai grandi imperi fondati sulla forza. E allora si capirà di nuovo che piccolo sarà bello, ma pericoloso.
Gianni Pardo, pardonuovo.myblog.it
21 novembre 2015

IMPERIALISMO, COLONIALISMO, FRAMMENTAZIONEultima modifica: 2016-11-21T11:41:18+01:00da gianni.pardo
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