IL NUMERO DI RENZI

Il futuro è un giocattolo meraviglioso, per chi ama l’enigmistica. Ci si cimenta con un problema molto difficile, e la ricompensa è esclusivamente la riuscita. Mentre se non si riesce non se ne fa certo un dramma: si è comunque passato il tempo. È in questa chiave che è interessante occuparsi del futuro di Matteo Renzi, naturalmente mettendo in chiaro che quel futuro non lo conosciamo noi, e non lo conosce neppure lui.
Quando comparve sulla scena, non suscitò nessun entusiasmo. Era soltanto un giovane in carriera, abile e felpato, molto addentro al mondo della politica. Sembrava qualcuno che difficilmente si sarebbe messo a correre, ma ancor più difficilmente si sarebbe fermato. E infatti Andreotti non s’è mai si fermato, fino all’estrema vecchiezza. Dentro o fuori dalla vita attiva, rimase ironico, sottile, pieno di humour. Evidentemente intelligente e tuttavia mai sopra le righe. Si sarebbe detto che giocasse a mostrarsi da meno di quello che era. Quell’umiltà, quella semplicità avrebbero dovuto farlo apparire uno che appena “se la cavava”, uno che “tirava a campare” (“sempre meglio che tirare le cuoia”), mentre in realtà nascondevano armi capaci di abbattere giganti. Lui che diceva che “il potere logora chi non ce l’ha”, dimostrò che non fu logorato neanche dai lunghi periodi in cui ne fu privato.
Il viaggiatore un po’ imbecille che in aereo si fosse trovato per caso a sedere accanto al simpatico Gino Bramieri forse avrebbe ceduto alla tentazione di chiedergli: “Me la racconta, una barzelletta?” Perché per lui Bramieri era “quello che racconta barzellette”. Il suo numero era quello di far ridere. Andreotti invece non era di quelli che sono obbligati – come Cacciari, come Mughini, e come tanti altri – ad “eseguire il numero”. Era troppo complesso per essere ripetitivo.
Volendo collocare Matteo Renzi in questo quadro, ci si accorge che, purtroppo per lui, è uno di quelli da cui ci si aspetta sempre lo stesso tipo di prestazione. È un po’ come Sgarbi che, se non si indigna, se non insulta qualcuno ripetendo: “capra, capra, capra!”, ci induce quasi a chiedere indietro il prezzo del biglietto.
Renzi, almeno come immagine, è un innovatore radicale. Ed è questo che deve sempre fare. Purtroppo, mentre chi racconta barzellette può sempre raccontarne una nuova, l’innovatore in canna ha un solo colpo. Se ci ha provato per tre anni, a cambiare tutto, e poi si ripresenta con lo stesso programma, o si pensa che non ne sarà capace, perché diversamente l’avrebbe già fatto prima, o si pensa che magari ci proverà di nuovo. Certo la prima volta non ce l’ha fatta. Strada in salita.
I cambiamenti radicali non avvengono soltanto perché un uomo li vuole: è necessario che congiurino molti fattori, spesso da lui indipendenti. Atatürk non avrebbe potuto rivoluzionare la Turchia se essa non fosse stata profondamente umiliata ed estremamente bisognosa di un riscatto. Per quanto riguarda l’Italia e Renzi – che sia o no colpa sua, e probabilmente non lo è – oggi gli italiani non stanno meglio di come stessero tre anni fa. E lo stesso vale per le promesse. Se se ne fanno di magnifiche e grandiose, fino a renderle una parte essenziale del proprio “numero”, poi il dilemma diviene amaro: o se ne fanno di ancor più grandi e ancor più grandiose, ammesso che ne esistano, col rischio dello scherno, o si viene meno alle aspettative del pubblico.
Ecco il problema di Renzi. È un politico di razza: manca di scrupoli, è spietato, è risoluto, è vigoroso, ha un’ambizione sconfinata. Dunque è inverosimile che abbandoni la vita politica. Ma ha scelto un numero difficile da presentare per molto tempo. Naturalmente tenterà di ritornare, e tenterà di farlo ai massimi livelli: ma sarà in grado di cambiare copione?
Tutti sanno che gli attori comici sono all’occasione eccellenti attori tragici. Infatti è più facile far piangere che far ridere. E tuttavia il comico che, anche con grande successo, fa un’incursione nel tragico (per esempio Aldo Fabrizi in “Roma città aperta”, di Rossellini) vive soltanto un episodio della sua carriera, dopo il quale è costretto a tornare al suo normale repertorio. Renzi, per il suo ritorno, potrebbe dunque avere più difficoltà del previsto. Fra l’altro perché si è fatto una tale quantità di nemici che la metà basterebbe. E tuttavia, mai dire mai. Se veramente riuscisse a decodificare gli errori commessi, se riuscisse ad elaborare un migliore programma, e se la fortuna l’assistesse, per questa Italia disastrata potrebbe anche rappresentare un’autentica speranza.
Gianni Pardo, pardonuovo.myblog.it
dicembre 2016

IL NUMERO DI RENZIultima modifica: 2016-12-27T10:53:02+01:00da gianni.pardo
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2 pensieri su “IL NUMERO DI RENZI

  1. Quello che non capisco è come a Renzi – che ha mostrato tutte le sue insufficienze come politico, come amministratore, come stratega e anche come “affabulatore”, visto l’esito del referendum – sia ancora concesso di “parlare” e di presentarsi in pubblico consesso del partito, che anzi dovrebbe “chiedergli i danni”.
    Mi sembra come quegli amministratori di società che, dopo averle portate al dissesto, vengono “dimissionati” con liquidazioni d’oro e dopo un po’ te li rivedi davanti in un’altra società, con retribuzione anche maggiore.
    Peraltro, intendiamoci, ci sono anche storie di generali che, dopo aver grandiosamente perso battaglie e sacrificato mezzi e uomini alla propria insipienza, hanno mantenuto il ruolo e anzi hanno fatto carriera. Quindi, quando si è nell’ “ingranaggio giusto”, il merito o il demerito non hanno nessun peso. C’è da sperare che, al momento decisivo, sia l’elettorato a “liquidarlo” definitivamente. Anche se non sembra che in quell’eterogeneo schieramento vi siano persone di grandi qualità ed idee.

  2. La ringrazio del commento, ma al riguardo tre note:
    1) il ritardo nella pubblicazione dipende dal fatto che l’inserimenti non è automatico, e il sistema – malgrado le mie proteste – mi obbliga ad “approvarli”, diversamente li lascia in sospeso;
    2) Forse è inutile commentare un articolo di una settimana fa, perché mi chiedo chi si accorgerà dell’esistenza del suo commento;
    3) La spiegazione al suo quesito è questa. Renzi ha detto che, se avesse perso il referendum, si sarebbe ritirato non dal governo, ma “dalla vita politica”. Cioè si sarebbe dimesso da tutto, inclusa la carica di segretario del partito. Non l’ha fatto, almeno per quest’ultima carica. Ecco perché ha conservato il diritto di parlare nel consenso di cui Lei parla.

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