LE UTILI INGIUSTIZIE

Tommaso d’Aquino è stato un robusto filosofo le cui idee costituiscono l’ossatura fondamentale del pensiero cristiano. Egli ha tuttavia posto fra le prove dell’esistenza di Dio anche alcune considerazioni per lo meno singolari. Ecco quella “eudemonologica”: tutti gli uomini anelano alla felicità, e gli uomini felici sono rari. È mai possibile che la speranza dell’intera umanità sia delusa? No. Dunque ci deve essere un Dio che un giorno renderà tutti felici. Analogamente, tutti gli uomini hanno sete di giustizia, e di giustizia ce n’è ben poca, in questo mondo. Dunque ci deve essere un Dio che un giorno risponderà a questo bisogno di giustizia di tutta l’umanità.
Il ragionamento non vale un soldo bucato. Dedurre dal desiderio la soddisfazione del desiderio, e l’esistenza dell’autore di questa soddisfazione, è cosa contraria all’esperienza. Quel filosofo ha ragione soltanto sulla premessa: tutti gli uomini vorrebbero la felicità, tutti gli uomini vorrebbero la giustizia. E, dinanzi all’implausibilità delle consolazioni tomistiche, la domanda diviene: bisogna perseguire la felicità? Bisogna perseguire la giustizia a qualunque costo?
Per la felicità la risposta è facile. Chi volesse una vita costantemente felice si condannerebbe fatalmente all’insoddisfazione. Dunque bisogna ridefinire questo concetto, riducendone l’ambito e coniugandolo con la saggezza, fino ad ottenere quella pressoché costante serenità che è il massimo sperabile.
Più complesso è il discorso per la giustizia. Di primo acchito, non si vede quali obiezioni si potrebbero fare. Tuttavia anche il perseguimento di quell’ideale può creare problemi. Non soltanto Amleto ha detto che, se ciascuno di noi fosse trattato secondo il suo merito, forse nessuno sfuggirebbe alla frusta, ma basta porre questo quesito: se, per punire un colpevole, è necessario danneggiare cento innocenti, bisogna lo stesso punire il colpevole?
La risposta istintiva è no, ma qualcuno potrebbe obiettare che il danno degli innocenti è economico, mentre la mancata punizione del colpevole è un danno morale. E, in un mondo in cui si persegue la giustizia, la morale ha la precedenza. Ma si può star sicuri che il ragionamento non convincerebbe i possibili danneggiati. L’esigenza della giustizia va dunque contemperata con l’esigenza della sua “economicità”: e questo è un principio tutt’altro che privo di conseguenze.
Alcune delle idee di Jean-Jacques Rousseau sull’“origine della disuguaglianza fra gli uomini” sono discutibili, ma gli si deve dare ragione quando sostiene che, mentre le disuguaglianze che derivano dalle diverse abilità degli uomini sono “naturali”, e dunque, se non giuste, sono almeno normali ed inevitabili, più difficile è sopportare che sia ricco e riverito chi ha il solo merito di essere figlio di suo padre. In questo caso la differenza non è fra uno che ha saputo arricchirsi e uno che non ce l’ha fatta, è tra uno fortunato (che in francese significa anche “ricco”) e uno sfortunato. Senza nessuna giustificazione economica o morale. Per Rousseau, mentre è giusto rispettare la ricchezza di chi se l’è guadagnata, bisognerebbe sottrarla a chi l’ha soltanto ereditata.
Pregevole ragionamento, in teoria. In un mondo ideale, la distribuzione della ricchezza dovrebbe essere secondo giustizia. Ma in concreto ciò aumenterebbe il benessere della società? Se una legge volesse sottrarre la ricchezza all’erede, il padre troverebbe mille trucchi per lasciargliela lo stesso, o non l’accumulerebbe neppure. Il risultato sarebbe l’impoverimento della società.
La riprova si è avuta quando si è tentato di applicare la teoria economica marxista. Volendo creare un sistema produttivo che escludesse la rendita ereditata e la possibilità di arricchirsi con l’impresa privata, il risultato non è stato il benessere dei proletari, ma l’appiattimento della società sul livello più basso. Prima c’erano i ricchi e i poveri, poi soltanto i poveri., con l’unica eccezione dei membri del partito.
Nell’Unione Sovietica, per punire “i colpevoli” di ricchezza immeritata, si sono danneggiati milioni di innocenti. Prova ne sia che tutti i popoli, non appena hanno avuto la possibilità di decidere per sé, hanno ripudiato il sistema economico comunista. Rousseau aveva torto: la ricchezza dell’erede era ingiusta, ma la sua eliminazione danneggiava i più, rendendoli ancora più poveri. Nel tempo in cui tutti si spezzavano la schiena zappando e i ragazzini andavano scalzi anche in inverno, un vecchio e saggio proverbio siciliano insegnava: “Al tuo vicino augura ogni bene, ché sempre qualche cosa te ne viene”.
Prima di dar retta all’invidia o al desiderio di vendetta, bisogna sempre chiedersi se l’atto di giustizia non ci danneggerà più di quanto ci dispiaccia vedere violato il nostro ideale di giustizia. Preferisco che il magnate si goda il suo yacht e la sua villa sulla Costa Azzurra, se mi dà un buon lavoro, piuttosto che vedere lui in rovina e me disoccupato.
Non bisogna dare retta all’invidia. Ne soffre il nostro fegato e, non raramente, il nostro portafogli.
Gianni Pardo, giannip.myblog.it
23 gennaio 2017

LE UTILI INGIUSTIZIEultima modifica: 2017-01-23T11:23:30+01:00da gianni.pardo
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