I POLITICI ITALIANI NON SONO DISONESTI

Oppresso da una marea di falsi commenti, avevo abbandonato il mio blog per giannip.myblog.it. Ora anche questo blog è invaso dai “fake” e dunque torno a pardonuovo.myblog.it, che è il più noto dei due. Per il mese di febbraio pubblicherò gli articoli su ambedue i blog. Con marzo giannip sarà abbandonato.
G.P.

I POLITICI NON SONO DISONESTI
Non più degli altri italiani

François Villon, un antico poeta francese vissuto in pieno ‘400, fu per qualche tempo affiliato ad una banda di briganti e si rese perfino colpevole di omicidio, nel corso di una rissa. In un famoso componimento, confessando i suoi peccati, si scusava con la madre affermando di essere stato traviato dai cattivi compagni, ma un libro di letteratura francese, pieno di buon senso, rigettava la tesi difensiva: in realtà, per gli altri, era lui il cattivo compagno. A questo onesto ribaltamento delle responsabilità si può pensare quando gli italiani accusano i loro politici di essere disonesti.
Chiunque abbia aperto gli occhi sulla nostra società, sa che per tutti è normale raccomandare i figli, a scuola, in modo che non siano bocciati. Soprattutto quando è certo che lo meritano. È normale dare loro un posto nell’azienda, anche se ci sono candidati più qualificati; è normale cercare di fare assumere un parente nell’Amministrazione dello Stato; è normale far ottenere ad un amico un incarico lucrativo, una commessa, e via dicendo. Perfino nell’ambito dell’amministrazione della giustizia, tutti gli avvocati sono convinti che il famoso CTU (l’esperto Consulente Tecnico d’Ufficio, che di fatto emette il verdetto) ha come primo titolo professionale quello di essere amico del magistrato che lo designa. Il fenomeno è generale. I professori, moralisti professionali, non denunciano le lezioni private al fisco, anzi si stupirebbero se qualcuno glielo suggerisse; gli artigiani non rilasciano fattura, con gioia loro e dei loro committenti, e infine che ragione c’è di rispettare il divieto di accesso, se sono le due del mattino e la strada è sgombra?
Gli italiani tutti, nella loro vita privata, si comportano da delinquenti di piccoli cabotaggio, ma lo fanno con la serena coscienza che deriva da due giustificazioni fondamentali: quel che fanno non è grave, e comunque lo fanno tutti.
Non si denunciano queste cose per moralismo, ma soltanto per far notare che mentre questi comportamenti rimangono impuniti – con giusta soddisfazione degli interessati e con la tolleranza dei terzi – tutto cambia radicalmente quando si entra in politica. In questo caso infatti i terzi non sono più tolleranti, e la magistratura, da addormentata che era, diventa occhiuta. L’assessore di prima nomina, il nuovo sindaco, l’alto funzionario, il dirigente apicale conservano innocentemente le abitudini di prima – quelle normali degli italiani – ed ecco finiscono nei guai. Fino a far pensare che “tutti i politici sono disonesti”, mentre l’affermazione giusta sarebbe: “tutti i nostri politici sono italiani” o, ancor più precisamente: “tutti i politici sono come noi”.
Ciò vale anche per le attuali vicende romane, su cui non entrerò, sia perché sono sub iudice, sia perché sono complicate e non le conosco sufficientemente. Una cosa è certa: la povera sindaca Virginia Raggi, del tutto inaspettatamente (per lei), si trova stritolata fra una magistratura e un’opinione pubblica che dormono col codice penale sul comodino. Lei che si era sempre sinceramente considerata una persona perbene, come poteva immaginare che si cominciasse a chiamare reato (sempre che l’accusa sia fondata) l’assegnazione di un posto di prestigio, o ben remunerato, ad un amico o all’amico di un amico? Non si è sempre fatto così? Non avete sempre fatto così anche voi?
Ecco perché, se si potesse parlare a sessanta milioni di italiani, si potrebbe rivelare loro una verità amarissima: i politici non sono meno onesti della media dei connazionali, sono soltanto gli unici a volte adeguatamente inseguiti dall’amministrazione della giustizia. Questa si attiva per loro o perché le somme di denaro coinvolte sono così grandi che l’azione penale realmente si impone, o perché gli uomini in vista sono denunciati dai concorrenti, o infine e soprattutto perché mettere sulla graticola un grande nome dà visibilità al denunciante, all’inquirente e al giornale che ne riferisce. Così si perpetua quel gioco al massacro in cui l’Italia si compiace, irresistibilmente, come chi non sa vincere la tentazione di grattarsi la crosta sulla ferita.
Il rimedio? In una società che è severa con chi considera “gli altri”, ma poi ha tendenza ad autoassolversi, non c’è alcun rimedio. Se si parla di licenziamento per gli impiegati che timbrano il cartellino e poi vanno per i fatti loro, per i postini che non consegnano la posta, per gli incaricati ladri che, in aeroporto, frugano nei bagagli dei viaggiatori, c’è una levata di scudi nazionale. I sindacati si fanno un dovere di difendere quei poveracci. Saranno dei mariuoli, magari ciò che hanno fatto si chiama furto o truffa, ma veramente vogliamo gettare sul lastrico una famiglia per qualche pratica lasciata dormire, per qualche lettera finita in un tombino, per qualche stupido oggetto trafugato?
Quale professore è mai stato licenziato per avere promosso un somaro perché raccomandato? E agli stessi magistrati, quando si rendono colpevoli di azioni veramente gravi, quale punizione è inflitta? Sono soltanto trasferiti, in modo che possano andare a far danni altrove.
I politici non sono gli unici che meritano gli strali del codice penale. All’intera società italiana sarebbe utile un serio esame di coscienza.
Gianni Pardo
26 gennaio 2017

I POLITICI ITALIANI NON SONO DISONESTIultima modifica: 2017-01-27T09:34:50+01:00da gianni.pardo
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