MOLESTIE ALLE DONNE

Quando su un dato argomento se ne sa più degli altri, si è ben attrezzati per scrivere un articolo. Quando invece se ne sa di meno, l’impresa si presenta in salita. Se parliamo di molestie alle donne è esattamente il mio caso. Il mio disgusto per le chiacchiere e per gli affari altrui mi ha impedito di leggere un rigo su questo argomento, da quando si è smascherato il produttore Harvey Weinstein. Dunque non solo non ho capito il fenomeno, ma non ho neanche la beata convinzione corrente d’averlo capito. Per ogni cosa mi chiedo “where is the beef?”, cioè “dov’è la sostanza?” Di vero, di reale, di provato che cosa c’è?
Si parla sempre di “molestie” ma che cosa sono nessuno me lo spiega. Deve trattarsi di un comportamento disdicevole, non ne dubito, ma i comportamenti disdicevoli vanno dal ruttare rumorosamente ad uccidere il Presidente degli Stati Uniti. E non tutti sono sanzionati o sanzionabili penalmente. Dunque, di che stiamo parlando, esattamente?
Queste considerazioni non sono oziose. Nel diritto penale esiste ciò che i tedeschi definiscono “Tatbestand”, cioè l’insieme dei dati necessari perché si abbia un dato reato. Nel caso del furto il Tatbestand è la sottrazione di una cosa mobile al possessore. Se la cosa non è mobile, se per esempio si tratta di una casa, si potrà avere un altro reato, ma non il furto. In che cosa consistono esattamente le molestie? Diversamente diviene impossibile ragionare con cognizione di causa.
Il codice penale, all’articolo 660, per le molestie, prevede questa contravvenzione: “Chiunque in luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo” è punito con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda fino a 516 euro. 
Ma quando si parla di molestie alle donne, non pare si alluda a ciò. Infatti ciò che ha fatto Weinstein, checché sia stato, non è avvenuto in luogo pubblico o aperto al pubblico. E neppure per telefono. Dunque bisogna pensare a molestie in senso più generale. Ma quali, esattamente?
Se metto le mani addosso ad una donna senza il suo consenso, si tratta di atti di libidine violenti. Se la chiudo in una stanza, senza neppure toccarla, pur di poterla corteggiare per il tempo che voglio, commetto il reato di sequestro di persona. Se la tengo per un braccio, per costringerla ad ascoltarmi, commetto il reato di violenza privata. Se mi accoppio con lei costringendola con la forza o con le minacce, si tratta di violenza carnale. E attenzione, le minacce consistono in un “male ingiusto”. Se un uomo dice ad una donna: “O vieni a letto con me o ti brucio la casa” si ha violenza carnale. Viceversa, se quell’uomo dice: “Se vieni a letto con me ti do la parte di protagonista nel prossimo film”, od anche “O vieni a letto con me, o non ti do la parte di protagonista” non si tratta né di violenza carnale né di molestie. Infatti non dare la parte non costituisce male ingiusto. Al massimo potrebbe costituire il reato di induzione alla prostituzione. Ma se la donna cede e poi denuncia l’uomo dovrebbe anche riconoscere di essersi trasformata in una prostituta. Infatti è prostituzione vendere il proprio corpo, e poco importa che sia per cento euro, per quindici chili di parmigiano o per la parte in un film.
Insomma, più ci ragiono e meno capisco la cosa. Il caso è semplice: se l’uomo commette un reato, che lo si denunci per quel reato. Se ne possono ipotizzare parecchi, come si è visto. E se invece ciò che l’accusato ha fatto non costituisce reato, di che stiamo parlando? Infatti mi allarma moltissimo che quel tale Harvey Weinstein, dopo tutto quello che si è letto e sentito sul suo conto, sia ancora a piede libero. Come mai la giustizia penale non si sta occupando di lui?
Non vorrei che si scambiassero per molestie i normali tentativi di portarsi a letto una donna. Dalla nobile motivazione di esserne sinceramente innamorati, alla pedestre volontà di risparmiare il denaro da dare alla prostituta
Forse stiamo facendo una montagna del vecchio gioco del sesso fra uomo e donna. È disdicevole corteggiare una signora sposata col solo fine di portarsela a letto ma è con sgomento che lei, ad un certo momento della vita, si accorge di non avere più alcuna necessità di scoraggiare le avances sessuali. Perché allora scopre di potere avere, nel film della vita, soltanto la parte di nonna.
Per favore, salvo il caso di reati, lasciamo il codice penale immaginario fuori dalla camera da letto. Guasterebbe il divertimento.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
22 gennaio 2018

MOLESTIE ALLE DONNEultima modifica: 2018-01-22T09:10:08+01:00da gianni.pardo
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9 pensieri su “MOLESTIE ALLE DONNE

  1. Vorrei esprimere due concetti, da porre accanto a quelli espressi da Pardo con grande efficacia.
    Uno è la falsa uguaglianza perseguita dalle femministe.
    L’altro è che la donna, copiando l’uomo, si ispira a un modello fallimentare.
    Care donne “aspiranti uomo” tra i vostri veri nemici vi sono le riviste femminili che vi piacciono tanto.
    Tali riviste, infatti, non fanno che ribadire, attraverso le immagini ritraenti la donna intesa come un bell’oggetto, i cosiddetti cliché e stereotipi sessisti. Ma le donne apprezzano le riviste femminili proprio perché queste, accanto alle denunce contro il maschio, odioso ostacolo sulla via dell’ambita “uguaglianza”, mettono in valore le “differenze” femminili. E infatti in queste riviste abbondano le donne in mutande. Mutande raffinate e costose che piacciono tanto anche a noi. È un’uguaglianza “unilaterale”, dopo tutto, quella fatta valere dalle donne di oggi che ci dicono: noi continuiamo a pitturarci e depilarci perdendo tempo davanti allo specchio, a calzare scarpe che non sono fatte per camminare, a compiere sforzi inauditi quotidiani per sfruttare il capitale che ci ha fornito madre natura, e voi uomini dovete considerarci perfettamente uguali a noi.
    Inoltre, care femministe il vostro modello – l’uomo – è un modello fallimentare, cercate quindi di non diventare simili a noi. Parola d’uomo.

  2. Prof.anche io scarso in materia,ma ho notato una cosa,le donne un pò di tempo fà si imbellettavano per trovare marito,oggi lo fanno per il gusto di dire ad un’altra donna:io so meglie e te. Saluti Ciro

  3. Articolo ampiamente condivisibile, forse perfino eccessivamente “moderato”: è ora di dire NO al (neo)femminismo misandrico, (sant)inquisitorio e talebano, non si possono equiparare complimenti estetici e stupri, inoltre la presunzione di innocenza (fintanto che non esistano “oggettive” prove di colpevolezza) deve valere anche per il maschio.

  4. Gli americani (Stati Uniti) restano, nonostante alcune apparenze, una societa’ puritana. E dal momento che oggigiorno e’ di moda scimmiottarli in tutto, dalla lingua alla musica rock, a Mac Donald, all’ostilita’ per Trump, eccoci alla caccia alle streghe. Perfino Macron in Francia sta cercando di cambiare la mentalita’ dei francesi, notorialmente tolleranti in fatto di sesso. Pur se ultimamente ha dichiarato che “Nous ne sommes pas une société puritaine” (discorso del 25 Novembre 2017).

  5. Io credo che il problema si ponga all’ attenzione della societa’ italiana per il nostro terzomondismo imperante. Mi ispiro molto alla storia, epopea e stile di vita americano (statunitense), ma non necessariamenti cio’ che per loro e’ considerato conquista civile lo debba automaticamente divenire per me de non tocca la mia sensibilita’.

    Negli Stati Uniti vi e’ un sistema di giustizia basato sulle Common Law, il giudice non appica la legge letteralmente scritta, ma pretende che l’ imputato dovesse sapere che il comportamente era illecito perche’ non consueto. Non c’ e’ bisogno di scrivere una legge perche’ sia vietato andare in giro nudi, e’ una consuetudine e causare turbamento verra’ sanzionato.

    Quindi questo movimento vorrebbe far entrare nella consuetudine una congettura: se sei un datore di lavoro o comunque in posizione di supremazia, non devi avere approccio “disinvolto” perche’ (se l’ intento del movimento si realizzera’) cio’ configurera’ un reato di molestie che vorrebbero equiparare ad una violenza (preciso che io non faccio mia questa cultura). Quindi in quella societa’ il business e’ prevalente sui rapporti umani, se uno si innamora della propria segretaria prima deve licenziarla e poi proporsi (sai dove viene mandato poi??). Non sono ancora riusciti a concepire una societa’ funzionante dove la gente possa muoversi con sicurezza senza essere denuciata ogni giorno, ma stanno provando a protocollare dei comportamenti, un po’ come il “yes mean yes” che sta dando problemi giuridici.

  6. Roberto, ammetto di essermi fatto una “cultura giuridica” (sto scherzando) vedendo e rivedendo gli episodi di Law and Order. Naturalmente non dico che tutti gli Stati degli Stati Uniti abbiano leggi simili a quelle dello Stato di New York , ma posso assicurarle che, almeno lì, si applica la Common Law, ma seguendo la giurisprudenza così da presso che il giudice ha meno libertà di quanto pensa Lei, e di quanto pensassi io prima di vedere decine di processi. Insomma, invece di dire “lo prescrive l’articolo x”, loro dicono “lo prescrive la sentenza ‘lo Stato contro Pinco Pallino”, magari di vent’anni prima, e quella è legge. Il giudice ha il potere di non tenerne conto, ma rischia (molto di vedersi ribaltare il giudizio in appello, per non parlare di sanzioni all’interno della magistratura.
    Il giudice non è arbitro libero, giudica sulla base della consuetudine consolidata quale l’ha determinata la giurisprudenza. E soprattutto in base a precise regole conduce il dibattito in sede penale, dinanzi alla giuria.
    G.P.

  7. Sarebbe forse opportuno percorrere, sempre al fine di capire le differenze tra l’uomo e la donna, la pista fornitaci dalla nozione dell’”attrezzatura necessaria”, che è diversa nell’uno e nell’altra. L’attrezzatura dell’uomo è come un fucile per il cacciatore – eh, si’ purtroppo, si parla ancora una volta di caccia – che non puo’ sparare più dei colpi che ha in canna (e non è sempre un fucile a ripetizione). Da qui la necessità di scegliere il momento del tiro… E i criminali violenti scelgono la preda addirittura a caso, quando sentono di poter e quindi di dover sparare. Suppliscono con la violenza ad una sorta di fragilità della loro attrezzatura basata sul dare, che al contrario di quella della donna, basata sul ricevere, non è sempre pronta per quel compito. La paura ha un effetto invalidante solo sull’attrezzatura maschile, ma non su quella femminile. Da qui, l’impossibilità di costringere con minacce un uomo a “sparare”…
    Non mi esprimo così per cinismo, ma per realismo.
    Una nota personale che molti giudicheranno inopportuna, ma la coerenza è una virtu’ imprescindibile, quando si “pontifica” o comunque si esprimono giudizi di merito. Nei confronti della donna sono stato sempre un perdente, proprio perché in opposizione a quest’idea del cacciatore sono prevalsi sempre in me i sentimenti. Sentimenti improntati a gentilezza e rispetto, e un grande senso di responsabilità. Anche se non spetterebbe a me dirlo… Sentimenti, diciamo pure ingenui, che mi sono costati un alto prezzo…

  8. La scenografia della giustizia americana, con poliziotti, giudici, stazioni di polizia, aule di tribunale, è ricchissima in immagini ed è onnipresente alla mente e agli occhi del pubblico. Gli schermi cinematografici e televisivi americani rigurgitano d’inseguimenti polizieschi, processi, assoluzioni e condanne. Nella varietà delle storie vi è una costante : la giustizia trionfa sempre. Quasi sempre all’ultimo minuto. Di condanne ingiuste non se ne vedono. Anche se solo all’ultimo istante, l’innocenza o la colpevolezza emergono – sempre. Spesso è l’avvocato, quasi sempre bravissimo, che capovolge una situazione disperata. Sicché, nell’aula di giustizia, l’innocenza dell’imputato viene sempre provata, con la conseguente prova della colpevolezza di un altro, spesso fino allora neppure sospettato. I poliziotti, da parte loro, incarnano la quintessenza dell’eroe americano, coraggioso e idealista.
    Chi da lontano vede quei film si fa un’idea del sistema poliziesco e giudiziario americano completamente sbagliato. Chi conosce l’America, non attraverso lo schermo, ma “de visu”, sa molto bene, invece, che la mentalità del West selvaggio è presente nelle meningi dei tutori dell’ordine a stelle e a strisce, e che, per esempio, una delle cose che non si devono mai fare è di mettersi a discutere con uno di loro per cercare di aver ragione. In Italia, è impossibile che dall’incontro tra un poliziotto e un cittadino che si trovi, mettiamo, al volante della propria auto, e che abbia obbedito all’ordine di fermarsi, non scaturiscano una discussione o un dialogo, con battutine, domande, risposte, chiarimenti, spiegazioni. Negli Stati Uniti l’incontro con la Legge avviene sempre all’insegna del silenzio. La cosa più saggia da fare, per il comune cittadino, è di non dire assolutamente nulla. Sarà forse ammessa, per chi viene dal Canada, una breve frase per dire che si viene da lontano, ma mai discutere, insistere, o peggio ancora gesticolare oppure fare dell’ironia. Farlo sarebbe molto pericoloso. Il poliziotto americano scherza solo sullo schermo. E bisogna dire che i poliziotti canadesi non sono poi tanto diversi…
    Negli USA, un condannato a morte su sette è certamente innocente. Non sono opinioni, ma fatti. È stato accertato, oltre ogni dubbio, che 75 americani, uomini e donne, nel periodo che va dal 1975 al 1998, pur essendo stati condannati alla pena di morte, erano in realtà innocenti. (“The Economist”, 8 dicembre 1998).
    Il carattere approssimativo della giustizia americana è imputabile, in parte, alla maniera in cui la polizia, in quel paese, spesso agisce, volendo a tutti costi trovare un colpevole e accanendosi contro chi, tra i sospettati, non piace allo sceriffo. Numerosi casi dimostrano che, fin dall’inizio, colui che in seguito verrà condannato, avrebbe dovuto essere scagionato grazie ad indizi e prove incontrovertibili. Ma non è successo…
    Bisogna dire che essere di razza negra, in molti casi, non ha facilitato l’individuo sospettato, che è stato considerato colpevole in partenza. Le false testimonianze rese dai poliziotti, poi, non sono per nulla un fatto raro.
    Sono queste le vere critiche che mi sento di muovere al sistema americano. Una giustizia che è basata spesso sulla litigiosità esasperata, e sul vantaggio dei soldi che permettono di ritenere i servizi di avvocati di grido (vedi O.J. Simpson), è uno degli aspetti meno gloriosi – insieme con il culto della violenza, e con la scarsa efficienza e vivibilità dei centri urbani – di quel potente modello culturale che sono gli States.

  9. Attenzione, negli USA è considerata molestia, in molti ambienti di lavoro, dire ad una donna: “ma lo sai che questo vestito/pettinatura/collana ti sta veramente bene?”. Oppure apostrofare una donna con “bella signora, in che cosa posso esserle utile'”.
    Il ragionamento è il seguente:
    “Ma perché me lo dici? Il tuo apprezzamento, per la mia esteriorità e non per le mia intelligenza/qualità professionale, nasce da un impulso animale. Quindi, è manifestazione di un interesse sessuale. In sostanza, nel tuo cervello bacato di maschio malato che vede in me una preda, stai pensando che potresti scoparmi. La cosa mi dà fastidio, perché io non voglio – perlomeno a questo punto, ora – essere scopata da te. Tu mi stai imponendo un TUO desiderio. Quindi mi stai molestando. E sappi che se mostro le cosce o le tette lo faccio PER ME e non per sollecitare il tuo bavoso interesse”. Da qui la difficoltà nei rapporti, l’accusa agli uomini – ormai smarriti e timorosi – di essere “mollacchioni” e la spinta a “provocarli” aumentando la “esposizione”. Brutta storia.
    Asia Argento, con la prima “denuncia” e con il movimento che ha creato attorno a sé, mi sembra che si sia convinta di star interpretando magnificamente una parte di “eroina”; lei che, come attrice, certo non ha brillato e non resterà nella storia del cinema se non, appunto, grazie a questa “storia”.

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