LA BUONA EDUCAZIONE

Se ci chiedessero che qual è una “buona educazione” saremmo imbarazzati. L’espressione rimanda infatti alla domanda: che cosa è buono, che cosa è cattivo? E poi, l’educazione si distingue in condizionamento – abitudini di comportamento apprese per imitazione – e informazione, cioè istruzione. E già questo potrebbe condurre ad una doppia bipartizione: condizionamento buono o cattivo, informazione buona o cattiva. Ma di fatto, parlando di buona educazione, molti intendono soltanto un quinto concetto: il rispetto delle buone maniere. Quelle regole convenzionali che corrispondono allo stile approvato dalla buona società.
Quando andavano in giro col cappello, gli uomini erano tenuti a toglierselo nel momento in cui salutavano una signora. Il gesto non serviva a niente, se non a manifestare la propria appartenenza ad un dato ceto: ma era sentito come obbligatorio. Si giunge dunque ad un’ulteriore distinzione: buona educazione formale e buona educazione sostanziale.
Per quanto riguarda la buona educazione formale, il prof.Marco Rinaldi 1) – che della materia è un esperto – sostiene che essa è stata riesumata dal Congresso di Vienna proprio per emarginare gli homines novi, quelli che erano divenuti importanti con la Rivoluzione e Napoleone. Dunque si tratterebbe di regole il cui vero scopo sarebbe di poter dire, al roturier di turno: “Io so che si fa così e tu non lo sai”. Personalmente, da roturier, ho appreso che la camicia con il colletto botton-down è inadatta ad una serata elegante, che la frase “è richiesta la cravatta scura” significa che bisogna indossare lo smoking (strano che non l’abbiano chiamato dinner jacket, come si dovrebbe), che non si fa il baciamano all’aria aperta ed altro ancora. Al Congresso di Vienna avrei fatto parte degli homines novi. Me la sarei cavata solo per la camicia, perché uso magliette.
La buona educazione formale è un linguaggio che deve essere utilizzato senza errori ma più importante del significante è il significato. Si narra sempre l’episodio del principe che, per non mettere in imbarazzo l’ospite che aveva bevuto l’acqua del rince-doigts (sciacquadita), la bevve anche lui. Contravvenne alla forma, toccò l’apice della sostanza.
La buona educazione del cuore deve prevalere su quella esteriore e in questo senso il migliore consiglio lo dà il Vangelo: “ama il prossimo tuo come te stesso”. La regola stabilita è un comportamento fisso e rigido, la ratio legis, come si direbbe, cioè il senso della regola, è non provocare dolore, fastidio o imbarazzo al prossimo.
Questa volontà di non ferire nessuno e rendersi gradevoli a tutti può dipendere da un’alta moralità, dal carattere, da una felice disposizione di spirito. Ma in mancanza servono le nozioni del saper vivere e persino una ben intesa ipocrisia: è questo il senso della buona educazione formale. Essa ci insegna a fingere interesse per qualcuno che ci raccontai qualcosa e ci annoia, nel definire “originale” un arredamento che intimamente giudichiamo orrendo, nel non dire che il cibo che ci è stato offerto non ci piace, nell’essere per gli altri solo un’occasione di gioia. Se tutto questo richiede una grande capacità di fingere, bisogna ricordarsi che è sempre meglio fingere un’alta moralità che lasciarsi andare ad una brutalità esibita e provocatoria.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
17 agosto 2009
1) “Il Giornale”, 15 agosto 2009, pag.20.

Segnalo che il precedente errore, dinner racket invece di dinner jacket, non l’avevo commesso io ma… il correttore automatico di Windows.

LA BUONA EDUCAZIONEultima modifica: 2009-09-21T09:21:00+02:00da gianni.pardo
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