POLITICI, VIL RAZZA DANNATA

I politici fanno un mestiere in cui, a fronte di bei guadagni, si  rischia molto. Se non proprio la demenza, certo la perdita dell’equilibrio e della saggezza. La loro vita non permette la tranquillità e li sottopone a esigenze contraddittorie. Soprattutto impone difetti come l’ipocrisia, l’indefettibile partigianeria e al limite la disonestà.
Per riuscire in politica bisogna innanzi tutto essere ambiziosi e capaci di falsa umiltà. Si comincia infatti appoggiandosi a qualcuno, portandogli la borsa e facendo per lui perfino lavori sporchi: fino al momento in cui, magari tradendolo, si potrà volare con le proprie ali. Allora si darà sfogo alla propria personale arroganza. Il vero ambizioso è infatti senza scrupoli. Per lui il merito è un dato secondario e, se si accorge che il suo concorrente è migliore di lui, dirà compiaciuto: “Ma io sono più furbo”.
Un po’ per cominciare, un po’ per fare carriera, il politico deve essere corrotto. Magari non violando pesantemente il codice penale, ma nel senso che a preferenza di altri, che magari hanno più diritto, dovrà aiutare coloro che gli danno il voto. Poi ovviamente – in coerenza col dovere dell’ipocrisia – negherà con sdegno questo mercimonio.
Non gli verrà difficile. L’ipocrisia infatti è un abito che non dismette neanche per dormire. Se in sogno gli dovesse capitare di dire la nuda verità, svegliandosi confesserebbe alla moglie di avere avuto un incubo.
Sintomatici di questa capacità di imbellettare la realtà sono i cambiamenti di casacca. Coloro che lasciano un partito, invece di confessare che gli “amici” gli hanno reso la vita impossibile; che gli è stata fatta un’offerta migliore  o che semplicemente hanno cambiato idea, dicono che loro non si spostano: è il partito da cui provengono che si è spostato. Loro sono rimasti fermi e coerenti con l’ideale originario. Come uno che allontanandosi in nave dal Portogallo, sostenesse che l’Europa va verso est.
Col tempo il politico acquisisce una coscienza callosa. Vive infatti in un mondo senza regole morali, senza doveri di gratitudine, senza coerenza e senza lealtà. Senza nemmeno regole giuridiche, se è vero che per secoli il potere ha applicato la legge agli altri, ma non a se stesso. In un ambiente del genere anche il migliore degli uomini impara ad essere bugiardo e a rivestire con le più nobili parole il proprio egoismo. Parla di alta moralità, di disinteresse, di amore per il popolo, mentre in realtà gli importa in primo luogo il suo personale profitto, poi quello della propria parte e infine, se rimane spazio, l’utile della comunità. Ma solo per la buona fama che gliene viene.
Fra le croci di chi fa questo mestiere c’è l’informazione giornalistica, occhiuta e capillare. Da un lato essa fa finta di non sapere che il più pulito ha la rogna, dall’altro, purché il politico appartenga alla parte opposta, fa di tutto per crocifiggerlo sull’altare della perfezione morale.
Chi arriva al governo deve imparare ad accettare a ciglio asciutto le ingiustizie, anzi ad attuarle. Per esempio dovrà mobilitarsi per salvare dal licenziamento cento operai che minacciano violenze (con grandi titoli dei giornali) condendo tutto questo con l’ipocrisia dei più alti motivi umanitari e sindacali, nel momento stesso in cui si disinteressa dei mille o diecimila lavoratori licenziati individualmente.
L’opposizione per parte sua è programmaticamente disonesta. Da un lato sostiene che si sarebbe potuto regalare la Luna a tutti, dall’altro critica tutte le azioni del governo, incluse quelle che essa stessa avrebbe attuato se fosse stata maggioranza.
Il politico che giunge al potere ha problemi aggiuntivi. Da un lato deve rispondere con realismo ai problemi del Paese, dall’altro deve fingersi idealista. Sa che uno Stato disarmato è in pericolo, ma deve sostenere che l’esercito serve per le emergenze. Infatti la guerra, come impone la Costituzione, è stata crudelmente ripudiata dall’Italia e persino il suo ministero l’ha rinnegata, tanto che oggi si intitola alla “Difesa”. Come la Wehrmacht.
Il governo ha bisogno di un servizio segreto ma fa finta di ignorarne l’esistenza e all’occasione si scandalizza perché i suoi agenti non sono tutti chierichetti. E quando D’Alema, Primo Ministro, è costretto dalla politica internazionale a mandare i bombardieri italiani sui Balcani, ci racconta che si tratta di voli di ricognizione. Chissà, le bombe sono poi cadute perché non erano state attaccate bene.
Chi infine diviene Primo Ministro ha la soddisfazione di dare il proprio nome a un governo ma sa anche che da quel momento avrà contro di sé anche gli storici. A distanza di anni, dimenticando tutte le miserie e le contingenze della vita quotidiana, costoro lo giudicheranno con l’atarassica indifferenza di chi conosce il seguito. E assegnerà i voti ai buoni e ai cattivi magari sulla base della fortuna o della sfortuna.
Chi in un tale mondo riesce a rimanere una persona equilibrata e per bene merita il Cielo. Ammesso che ci sia un Cielo e ammesso che in esso ci siano dei politici.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
6 marzo 2010

POLITICI, VIL RAZZA DANNATAultima modifica: 2010-03-07T11:39:53+01:00da gianni.pardo
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2 pensieri su “POLITICI, VIL RAZZA DANNATA

  1. lucida, disincantata, ma, ahimé!, terribile “requisitoria”.
    chi, prendendola in blocco, oserà ancora avviarsi alle urne se da esse si generano simili “mostri”?
    povera e nuda t’en vai … democrazia!

  2. La democrazia, con questi uomini politici, è ancora il meglio che l’umanità sia riuscita ad escogitare.
    E ora si immagini il resto.

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