LA LEZIONE LIBICA

La vicenda della Libia, in attesa di più chiari sviluppi, avrebbe consigliato di non schierarsi con nessuno. Non con Muhammar Gheddafi, personaggio tutt’altro che democratico e forse dal discutibile equilibrio mentale. Ma neanche con i suoi oppositori. Di essi non sappiamo nulla. Oggi sono contro Gheddafi ma domani, come potrebbero rivelarsi perfetti democratici, potrebbero inventare un nuovo rais cui obbedire; potrebbero divenire adepti di una teocrazia modello Iran; potrebbero infine dar luogo ad una situazione di caos e sostanziale dominio dei terroristi come in Somalia.
Si deve prendere posizione solo quando si è sicuri della parte che si preferisce – per esempio gli insorti ungheresi del 1956 che lottavano contro un’oppressione straniera – e soltanto se si è disposti a sporcarsi le mani. Cioè ad intervenire con le armi. Dieci energumeni disposti a combattere  sono molto più efficaci di cento galantuomini disposti a dire “ohibò”. Il “sostegno morale” e la “vibrata condanna” della controparte lasciano il tempo che trovano: e infatti chi si limita alle parole rischia di non acquistare meriti agli occhi di chi se l’è cavata da solo mentre si fa gratuitamente nemici i perdenti.
La vicenda libica ha invece avuto risvolti ridicoli. Obama, il Presidente degli Stati Uniti, nientemeno, ha “intimato” a Gheddafi di lasciare il potere e non l’ha ottenuto. Ha cioè dimenticato il consiglio che Polonio dà a Laerte: “Evita di entrare in una rissa, ma se ti avvenisse d’esservi coinvolto, agisci in modo che il tuo contendente abbia a guardarsi bene dai tuoi colpi”.
Sarkozy ha avuto atteggiamenti rodomonteschi ed ha perfino minacciato interventi militari unilaterali. Sapendo che la Francia non lo farebbe mai. Cameron, invece di dirgli di non farla fuori dal vaso, gli ha promesso manforte. Tutti invocano l’Onu, sapendo che è gratis. Infatti possono contare sul veto della Russia, della Cina, o di tutte e due. Abbiamo assistito ad un tale bailamme di voci bellicose e perentorie intimazioni da far pensare che molti di questi attori hanno cercato di nascondere, con le grida, la propria impotenza e la cattiva figura fatta. Non hanno previsto come potevano andare le cose e si sono accorti troppo tardi di non avere puntato sul cavallo vincente.
Probabilmente si sono fidati dei recenti risultati in altri Paesi arabi. Hanno pensato: se hanno rovesciato Mubarak (che poi non è neanche vero, perché non comanda lui ma comandano i suoi), se hanno rovesciato Ben Ali, è chiaro che ora i ribelli rovesceranno Gheddafi. Conviene dichiararli d’ufficio combattenti per la democrazia e sostenerli con parole risolute, in modo da averli alleati dopo. Purtroppo gli insorti erano disorganizzati, male disarmati e presto si è visto che non avevano speranze. I servizi segreti, se avessero funzionato,  avrebbero dovuto avvertire i governi di tutto questo: e dunque o non hanno funzionato (e sarebbe grave) o i governi non hanno tenuto conto dei loro avvertimenti (e sarebbe gravissimo).
Ora sembra che Gheddafi debba rimanere al suo posto ed è chiaro che alcuni dei più importanti governi del mondo si sono resi colpevoli di una delle più monumentali gaffe diplomatiche di tutti i tempi. Qualcosa che in futuro potrebbe costare ben caro a loro ed anche a noi.
In questa occasione si è avuta una riprova al presente di ciò che tante volte abbiamo letto nei libri di storia: anche i grandi della politica possono commettere gli errori di chi straparla dal barbiere. Del resto Mussolini non pensava che la guerra fosse già finita, nel giugno del 1940?
Dagli avvenimenti di queste settimane si possono ricavare alcune lezioni. L’idea che quando il popolo scende in piazza debba ottenere le dimissioni del governo è una stupidaggine. Se si tratta di un governo democratico, verrebbe meno al patto con i propri elettori, ben più numerosi dei manifestanti. Se invece il governo non è democratico, la rivoluzione è giustificata, ma deve fare i conti con la realtà. Dall’ameba al governo, qualunque organismo se minacciato di morte si difende con tutti i mezzi. Dunque non basta gridare “abbasso!” Bisogna essere i più forti. Diversamente chi deteneva il potere lo deterrà anche dopo e forse ne peggiorerà l’esercizio con una dura repressione. Quando non con sanguinose vendette.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
14 marzo 2011

LA LEZIONE LIBICAultima modifica: 2011-03-15T09:07:03+01:00da gianni.pardo
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