MOLTA MUSICA, POCA MUSICA

Di solito chi scrive ne sa più di chi legge. Qui invece chi scrive vuole essere aiutato da chi ne sa di più.
La musica è prima ritmo (il tam tam), poi melodia, poi polifonia, infine contrappunto e orchestrazione. Forse in opposizione all’eccesso di monodia della musica lirica, in Occidente è nato il pregiudizio antimelodico. Del resto la formula della musica lirica aveva qualcosa di irrazionale: si era raggiunta la complessità dell’orchestra e la si riduceva a sostegno della monodia. Da questo punto di vista, era più colto un semplice quartetto.
La grande musica, secondo il pregiudizio antimelodico, sarebbe una costruzione sapiente che, partendo da un tema minimo (anche due o tre note) riesce a costruire una cattedrale sonora. È questo lo schema che, seguendo Haydn, hanno adottato tutti. Ma la realtà ha dimostrato quanto la pura e semplice applicazione del sistema sia lontana dal produrre arte: infatti le opere che hanno avuto il massimo successo sono quelle che, accanto alle due o tre note, offrono sapide variazioni e  tanti altri temi, tanta altra, vera musica, piena di ispirazione ed invenzione, da offrire all’ascoltatore una continua fonte di godimento. Ecco perché la Prima Sinfonia di Mahler è la più nota ed amata. Non che l’autore non sia lo stesso, nelle altre, o che non sia sempre un maestro dell’orchestrazione: è solo che nel Titano si è coinvolti in una serie di melodie – che infatti derivano dai Lieder eines Fahrenden Gesellen – nobilitate e completate da un livello sinfonico. Il pregiudizio antimelodico non è soltanto sciocco, è anche in contrasto col successo in musica. L’orchestra non che avere il compito di uccidere la melodia ha lo scopo di arricchirla e nobilitarla. Di Shostakovich è più noto un valzer che le sue immense sinfonie.
Si stabilisce così la dicotomia “molta musica”, “poca musica”. Mozart, pure se rispetta lo schema dei temi da sviluppare e da riprendere nella sinfonia, lo fa offrendo una tale quantità di spunti, di arie, di trovate, che l’ascoltatore non vive aspettando di uscire da una sorta di chiacchiericcio orchestrale (per infine riconoscere il tema iniziale) ma assapora ogni singola frase con autentico godimento. Mozart è il paradigma della “molta musica”. La sua ricchezza di ispirazione è tale che egli ha messo nella Kleine Nachtmusik K525 più musica di quanta ne abbia immaginato Richard Wagner in tutta la sua vita.
Altro esempio di straordinaria ricchezza musicale è Bach. Le sue melodie hanno il doppio pregio della bellezza e dell’originalità. La bellezza è di solare evidenza, l’originalità si scopre a proprie spese quando, credendo di conoscerne bene una, si prova a cantarla e inevitabilmente si sbaglia. A tal punto non sono banali. E dire che poco prima tutto sembrava ovvio! Bach è tanto lussureggiante quanto irripetibile. Opere come i Brandeburghesi o i concerti per violino e orchestra sono autentiche miniere di musica. Ci si abbandona ad esse come ad un’ubriacatura e si gode del continuo ritrovamento di infiniti tesori. Ci si sente Ali Babà nella grotta dei ladroni e ci si chiede quando mai l’umanità potrà ritrovare questi picchi di arte.
Forse di Bach, di Mozart, di Beethoven, non bisognerebbe dire: “molta musica”, ma “moltissima musica”. “Un oceano di musica”.
La grande lode vale poi per opere isolate – e staccate da tutto il resto delle composizioni dell’autore – che sono autentici e irripetibili capolavori. Ecco tre esempi: la Sinfonia Fantastica di Berlioz, il Sogno di una Notte di Mezza Estate di Mendelssohn, Sheherazade di Rimsky Korsakov. Questi autori hanno scritto altre cose notevoli (basti citare il concerto in mi per violino e orchestra di Mendelssohn), ma niente che stia alla pari con il loro capolavoro.
I grandi autori non citati – e sono tanti – non sono esclusi dalla venerazione: sono soltanto troppo numerosi per ricordarli tutti. Pergolesi, Schumann, Saint Saens, Dvorak, Franck e tanti altri dovranno perdonarci. Senza dire che non abbiamo nemmeno citato due giganti particolarmente amati dalla Musa della Melodia: Schubert e Ciaikowskij.
Ma è tempo di parlare di “poca musica”. Qui il campione è Franz Liszt, anche se è veramente spiacevole dirne male. Personalmente infatti era un uomo molto gradevole, straordinariamente innamorato della musica e di cui comprendiamo la pena perché è anche la nostra. Si vede chiarissimamente che avrebbe voluto scrivere capolavori, e non tanto per maggiore gloria sua, quanto per amore della bellezza. Ma la Musa non volle mai visitarlo. O forse solo un giorno, per un’operetta da due soldi come il Sogno d’Amore, un pezzo di quelli che Chopin avrebbe scritto con la mano sinistra e distrattamente, fra cento altri. E infatti Lizst, mai invidioso, ammirava tanto Chopin da inserire nelle sue composizioni, eseguendole, eleganti e virtuosistiche fioriture.
Liszt ha manifestato il proprio amore per la musica riducendo per pianoforte le musiche degli altri, di tutti gli altri, riempiendo pagine e pagine per centinaia di ore di “parafrasi”. Ma personalmente non riusciva a comporre un capolavoro. Capita a chi scrive di riconoscere un pezzo di Liszt, pur senza averlo mai sentito prima, perché presto nasce un’impazienza intima. Ma insomma, che cosa vuol dire, costui? E quand’è che comincia a dirlo? Ma il povero Liszt non era in grado di cominciare. Con opere corpose come le Années de Pèlerinage ottiene soltanto che si aspetti di sentire l’accordo finale.
Un altro campione della poca musica è Wagner. Ma Richard è stato più furbo di Liszt. Mentre l’ungherese confessa per così dire la propria aridità, il tedesco si strapazza a morte fino a trovare una melodia e poi la usa per scrivere un’opera che dura quattro ore. E in quelle quattro ore non dice nulla di più di ciò che si è già sentito nell’ouverture. Ha chiamato questa melodia leit motiv, motivo conduttore, ma è solo un motivo di esasperazione. Una ragione per considerare Wagner un autore di serie B.
La “poca musica” è caratterizzata dal fatto che tra le poche note che si riconoscono, e che ritornano di tanto in tanto, ci sono minuti e minuti in cui l’autore mena il can per l’aia. Gli effetti d’orchestra, i pianissimo e i fortissimo, i dialoghi di strumenti, i riusciti esercizi di composizione non riescono a nascondere il vuoto. E ci si annoia.
Recentemente ascoltavo un ignoto concerto per pianoforte e orchestra, costruito benissimo ma inconcludente, e mi dicevo: possibile che Lizst abbia scritto quest’opera e che io non l’abbia mai sentita? Ma non dovrei stupirmi, non sono un gran competente. Ed effettivamente lo ero così poco, da apprendere poi che l’autore era Friedrich Kuhlau. E mi sono consolato: se posso scambiare Kuhlau per Lizst, non è segno che Lizst non è poi tanto più grande di Kuhlau?
Ecco la domanda per i competenti: sono validi, questi concetti di molta musica e poca musica?
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it, pardonuovo.myblog.it
13 giugno 2011

MOLTA MUSICA, POCA MUSICAultima modifica: 2011-06-14T08:38:29+02:00da gianni.pardo
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13 pensieri su “MOLTA MUSICA, POCA MUSICA

  1. Ho dimenticato di inserire nell’articolo l’episodio di Brahms che, invitato a scrivere un autografo, diremmo oggi, sul ventaglio della nipote di Johann Strauss junior, invece di scrivere alcune battute di una propria opera, come allora si usava, scrisse alcune battute del Bel Danubio Blu, aggiungendovi queste parole: “Leider nicht von Brahms”, purtroppo non di Brahms. Egli riconosceva nell’autore di quello e di altri meravigliosi valzer un musicista baciato in fronte dalla musa della melodia, mentre lui stesso non era altrettanto fecondo. O, almeno, così lui credeva. Per parte mia, ascoltando il suo secondo concerto per pianoforte e orchestra rischio di piangere per l’eccesso di emozione.

  2. Ho letto tra le righe del suo pur bello articolo un profondo attacco a Lady Gaga che lei furbescamente non cita, e dunque un attacco ai diversamente sessuati. Se ne assuma la responsabilità perbacco!
    Mi stia bene
    M.G.

  3. Ulisse, lei sfonda una porta aperta. È scritto nell’articolo. Invece la sua nota fa pensare che lei non sia in dovere di avere altrettanta umiltà. Aspettiamo dunque i suoi lumi.

  4. Forse mi sono espresso in modo troppo distinto e, per lei, criptico. Il mio commento precedente, in soldoni, significa questo: Lei ha preteso di saperne più di me ed io ho il diritto di dubitare che uno che conosce solo il sarcasmo ingiustificato poi possa avere una vera sensibilità per la grande musica. Ma potrei sbagliarmi. Dunque la sfido a dimostrare la sua superiore competenza e ad evidenziare i miei errori. Poi io mi inchinerò dinanzi a lei.
    Ma fino ad allora è come se la mia schiena non fosse flessibile.
    Chi lancia un guanto di sfida deve poi essere pronto ad affrontarla.
    Diversamente lei risulterebbe solo un frustrato e, forse, uno screanzato.

  5. Molta musica , poca musica. Se il molto e il poco li intendiamo come sinonimi di ricchezza e povertà mi sembrano validi. Volgarmente, della poca musica si potrebbe dire: molto fumo e poco arrosto. Di solito quando ci riferiamo alla musica vengono più naturali i termini , bella , brutta, buona , cattiva ; come per la letteratura o la pittura. Ma cos’è la musica ? Una definizione soddisfacente per tutti è difficile trovarla. Per me è un linguaggio, forse il migliore e il più adatto per raccontare ed esprimere il mondo degli affetti e dei sentimenti. Ed è un linguaggio che non ha frontiere.

    Bach, Mozart e Beethoven. Se dovessi fare una classifica tra questi tre grandi, metterei Mozart un gradino più in alto degli altri due. Bach a volte ricorda Vivaldi, Beethoven in qualche passaggio ricorda Mozart. Non che i due non siano originali, ma Mozart è solo Mozart e soprattutto tra i tre è il più completo. Chi potrebbe immaginare che l’autore di pezzi deliziosi come la “ Marcia alla Turca” è lo stesso autore del Requiem ?

  6. Che la musica possa essere un linguaggio mi pare una buona ipotesi, ma sono in disaccordo con l’idea che possa “raccontare ed esprimere il mondo degli affetti e dei sentimenti”. Per me, salvo pezzi smaccatamente descrittivi, è del tutto astratta. E spesso si possono, volendo dare significati opposti alla stessa musica: se è lenta può sembrare felice ed estatica o triste e disperata; se è veloce può sembrare allegra o incalzante e in qualche caso angosciosa. La musica ci mette la bellezza, l’ascoltatore i sentimenti.
    Quelle classifiche in musica sono discutibili e forse non servono. Anche perché a volte un autore per il resto pressoché mediocre è capace di un singolo capolavoro di valore sbalorditivo: pensi allo Stabat Mater di Pergolesi.

  7. Sui significati diversi: lo stesso fenomeno avviene con il tono della voce, e in parte tra linguaggio scritto e linguaggio parlato.
    Certo la musica non è un linguaggio codificato, le note non sono come le lettere dell’alfabeto che assemblate in un determinato modo formano una parola dal significato univoco. L’autore mette in musica e racconta il suo mondo di affetti e sentimenti e se vuole esprimere un sentimento di tristezza, sceglierà una chiave minore, non maggiore, oltre agli strumenti più adatti e all’indicazione del tempo.

    P.S.: Ho ascoltato il secondo concerto per pianoforte e orchestra di Brahmas ( Celibidache/Baremboim). I mov. allegro non troppo; II mov. allegro appassionato; III mov. Andante ; IV mov. allegretto grazioso.
    A parte l’Andante, di allegro ho trovato poco o nulla. Il sentimento prevalente era di angoscia. Forse ha ragione lei, il sentimento lo mette l’ascoltatore, questo non esclude che spesso possa coincidere con il sentimento che voleva esprimere l’autore.

  8. “Allegro” in musica non esprime un sentimento, esprime soltanto una certa velocità. Mi chiedo quanti tedeschi sappiano che “allegro” significa “froelich”. Insomma la terminologia italiana, varcata la frontiera, diveniva veramente convenzionale ed aveva un significato puramente musicale. Solo con Schumann ed altri, per quel che ricordo (e per motivi nazionalistici) le indicazioni furono scritte in tedesco e vivace diveniva lebhaft, sempre se non ricordo male.
    Ma tutto questo è inutile. In conclusione o la musica è bella o non lo è. E dinanzi a quel secondo concerto di cui lei parla io rischio l’infarto per l’emozione estetica.

  9. Tale signor Ulisse, che aveva interloquito sull’argomento dell’articolo “Molta musica, poca musica”, dopo settimane è tornato sull’argomento senza contestare le mie tesi e soltanto per dirmi la sua (pessima) opinione di me. Cosa lecita e cui avrei anche potuto rispondere, se lui non avesse promesso per ben due volte: “non ci tornerò mai più [su questo blog] dopo questo scritto”. E poi: “Le lascio l’ultima parola, scriva ciò che vuole, dica che non accetto la sfida per ignoranza, la cosa non mi tocca, non La leggerò comunque”.
    Questo mi ha messo dinanzi ad un’alternativa senza sbocco. Se gli avessi risposto, avrei parlato col muro, dal momento che lui non sarebbe venuto a leggere la risposta. Se non gli avessi risposto, si sarebbe potuto pensare che non avessi argomenti. Ho allora trovato una terza soluzione: dal momento che, stante l’eccessivo dislivello culturale, il nostro non può essere un dialogo, ho sospeso il suo commento. Tanto, se diceva la verità, lui non ne avrebbe saputo niente. Se invece avesse protestato, lo avrei irriso. Accusa me di essere vanitoso e poi, a costo di mancare di parola, cede alla tentazione di vedere quale reazione ha provocato l’eccelso parto della sua mente?
    È quello che è avvenuto. È tornato a leggere il blog. Non ha protestato, no, perché ha pensato ad un errore del blog: ma, vedendo che il commento non appare, lui che non sarebbe mai più tornato a leggere il blog si è premurato di spedirmelo per la seconda volta. E immagino tornerà sul blog una terza volta per vedere se è stato pubblicato e in che modo ho risposto.
    Sarebbe stato così facile, dialogare in modo civile!
    Lui dice di insegnare storia della musica, io insegno dignità. Se dico che non leggerò più un blog, non lo leggo veramente.

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