DIANA DI EFESO FOR PRESIDENT

Nella realtà ci sono due ruoli fondamentali, quello del fornitore e quello del fruitore. Il chirurgo che prende l’autobus ha il diritto di disinteressarsi di tutti i lati tecnici e giuridici della guida. Lui è il fruitore e l’autista è responsabile di tutto, inclusa la sua sicurezza. Viceversa, se lo stesso autista chiede di essere operato, è il chirurgo che ha tutti i doveri e tutte le responsabilità. Ora è l’autista il fruitore.
Questo dualismo col tempo ha condotto a degli eccessi. Se un bambino elude la sorveglianza e si butta dal balcone, il magistrato condanna i genitori per omicidio colposo: con ciò stabilendo il principio che essi non dovrebbero assolutamente mai, neppure per un momento, perdere di vista il piccolo. E noi ci chiediamo se quello stesso magistrato lo abbia fatto con i suoi figli. A scuola, se un ragazzo non studia, si ha tendenza a dare il torto alla famiglia (ha problemi, i genitori non seguono abbastanza “il bambino”) o agli insegnanti: “un insegnante bravo dà agli alunni la voglia di studiare”. I ragazzi non sono tenuti a nessuno sforzo: sono esclusivamente dei fruitori.
Partendo da queste premesse, l’individuo si abitua a restringere l’ambito della propria responsabilità e a dilatare straordinariamente quella altrui. In campo lavorativo la tendenza è quella a disinteressarsi del prodotto finale (è responsabilità di coloro che dirigono il lavoro) e all’economicità della gestione. Si chiede di più anche quando si sa che l’impresa è sull’orlo del deficit. Il fruitore del salario osa sfidare l’impresa che ipotizza di andare a produrre altrove come se potesse obbligarla a rimanere. O come se l’essere operaio lo mettesse nella condizione del neonato che si disinteressa del modo in cui la madre produce il latte.
La tendenza dura da tanto tempo che sarebbe ingiusto puntare il dito contro qualcuno in particolare: è un fenomeno epocale. I singoli possono anche non accorgersi della sua novità. Considerano del tutto naturale ciò che hanno visto da quando sono nati. E infatti – ci scommetteremmo – molti lettori di queste righe sosterranno, per gli alunni e per gli operai, che essi non hanno più responsabilità dei passeggeri dell’autobus.
La catena fruitore-fornitore procede verso l’alto, restringendosi come una piramide, fino a colui che non può passare il cerino a nessuno: lo Stato. Questo ha condotto ad una elefantiasi della macchina pubblica e delle sue funzioni. Dal momento che è più comodo essere fruitori e che fornitori, ognuno ha cercato di passare le proprie responsabilità al vicino e il risultato è il mito di una Entità onnipotente e provvidenziale, responsabile di tutto e cui si ha il diritto di chiedere qualunque cosa. Perché questa Grande Madre Metafisica ha il dovere di fornire qualunque cosa.
Si tratta di una mitologia non diversa da quella dei greci quando scolpirono la statua della Diana di Efeso. A Villa d’Este (Tivoli) se ne può vedere una copia in travertino: una figura di donna turrita (a proposito, come l’Italia) dalle innumerevoli mammelle da cui sgorga acqua, simbolo ininterrotto di vita. Noi tutti siamo convinti di poterci attaccare alle mammelle di Mamma Italia.
La politica è stata trasformata da questa mentalità. Mentre in teoria il contrasto dovrebbe essere fra ciò che il governo fa e ciò che l’opposizione propone, in pratica tutti reputano che la politica alternativa consista nel chiedere. I sindacati, anche quelli moderati, minacciano lo sciopero generale se lo Stato non rilancia l’economia (senza dire come potrebbe farlo); ai precari Santoro dice che “dovrebbero scendere in piazza”, cioè chiedere, minacciando violenze; il colmo lo abbiamo a Pontida dove il principale ed essenziale alleato di governo chiede riforme ed altro, minacciando la maggioranza come se non ne facesse parte o come se non fosse in nessun modo responsabile della politica sin qui attuata. Il capo, Umberto Bossi, è uno straordinario animale politico: sa di dover dire queste sciocchezze per fare contento un uditorio abituato alla politica del “chiedere a brutto muso”.
In queste condizioni, c’è da stupirsi che qualcuno accetti di mettere le mani sul volante del fornitore finale. Se avessero più buon senso di quanto non siano ambiziosi, i ministri dovrebbero in blocco andare a sedersi fra i passeggeri. Forse l’autobus lo guiderà la Diana di Efeso.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it, www.dailyblog.it
19 giugno 2011
Ecco l’immagine, per chi volesse vederla:
http://www.psicologia.roma.it/Gallerie/Tivoli/Tivoli%20statua%20seni.jpg

DIANA DI EFESO FOR PRESIDENTultima modifica: 2011-06-19T17:28:41+02:00da gianni.pardo
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5 pensieri su “DIANA DI EFESO FOR PRESIDENT

  1. Caro Gianni
    in tempi così “bui” riuscire a strappare un sorriso è quasi un miracolo. Mi è molto piaciuto l’articolo.
    Condivido che nell’immaginario collettivo lo “Stato” è un’entità astratta dalla quale trarre il massimo beneficio col minimo sforzo.

  2. A ben pensarci tutto e’ cominciato fra il ’68 e i primi anni ’70.
    Ricordate gli slogan: “Pagherete caro pagherete tutto” (notate la seconda persona plurale) “Vogliamo tutto e subito” “Il 6 politico” “Il salario e’ una variabile indipendente” ?
    I sindacati e i figli dei fiori erano li’ esclusivamente a chiedere, non a contrattare un do-ut-des. Li’ e’ nata la cultura dei diritti senza doveri, della azienda-mamma e dello stato-mamma da mungere e a cui chiedere garanzie illimitate.
    Va bene, ma da dove viene tutto questo ? Avrei una spiegazione buona e una cattiva, a scelta.
    Quella buona e’ che il crescente benessere del dopoguerra, in prospettiva illimitato, ha alimentato un sacco di illusioni ogni anno piu’ irrealistiche, come se il confine della goduria e delle garanzie fosse semplicemente l’eccesso di prudenza dei genitori e dei governanti, e non qualche problema reale.
    Insomma, un disturbo psichico da paesi divenuti immeritatamente o troppo rapidamente ricchi.
    Ma, a pensar male, ci sarebbe anche la versione cattiva: a cavallo fra gli anni ’60 e gli anni ’70 l’ideologia comunista, e il PCI in particolare, nonostante i successi cominciarono a perdere le speranze di conquistare il potere in Italia, non nel senso di governare democraticamente, ma di riuscire a cambiare la forma dello stato in senso veramente sovietico.
    Mettetevi nei loro panni: va bene, non ce la faremo, ma almeno vi renderemo la vita difficile, faremo in modo che vi chiedano l’impossibile, vi faremo affogare nei doveri, nelle responsabilita’ e nei sensi di colpa. Non ci sara’ piu’ limite alle aspettative e alla spesa pubblica. E vedremo se e come ve la caverete.
    Donde poi i movimenti studenteschi, sindacali, culturali.
    Una specie di vendetta disperata del perdente, che in effetti ha funzionato a meraviglia, e ha avuto come risultato finale di minare il funzionamento dello stato e il suo rapporto con i cittadini.

  3. Caro Felice,
    il genere di ragionamento che fa lei, e che faccio anch’io, è azzardato. Ma queste riflessioni sono divertenti. Sono anche utili. Dalle ipotesi si sale alle teorie e dalle teorie alle certezze, quando si è degli storici. Io non sono uno storico e dunque le dico soltanto la mia.
    La cultura dei diritti senza doveri è una delle conseguenze di una società sempre più infantilizzata. Ciò è dipeso in massima parte dalla prosperità senza dover mai assaggiare la necessità. O la tragedia di una guerra. Su questo siamo d’accordo.
    L’azione della sinistra comunista mi è sembrata comprensibile e per così dire razionale ben oltre gli anni ’60 e ’70. C’era gente che sperava di cambiare il modello di società, passando a quella sovietica, e per far questo era utile che spingesse per il collasso della società. Se la Fiat fosse fallita sarebbe stato un successo: da un lato forse lo Stato l’avrebbe nazionalizzata (sovietizzata), dall’altro si dimostrava che il modello occidentale non funzionava. Non le spiego il resto nei particolari perché lo capisce da sé. Poi, caduta l’Unione Sovietica, il comportamento della sinistra è divenuto incomprensibile. Pensi alla Fiom e alla vicenda Fiat. Oggi l’alternativa non è tra Occidente e U.r.s.s., ma fra salario e disoccupazione. E tuttavia la sinistra, e i vari Landini, non cambiano registro.
    A mio parere lo fanno perché nel tempo si sono accorti che questa demagogia porta voti e successo. E dunque hanno continuato come prima, anche se il mondo era cambiato. Il fatto che questa politica danneggi l’Italia e i lavoratori non li turba.
    A meno che non siano dementi al punto da credere a quello che dicono. Gli operai ignoranti li possiamo perdonare, i demagoghi con laurea no. Questi o sono disonesti o sono in malafede.

  4. Nella commedia degli inganni tutti recitano a soggetto; non ci sono innocenti.
    I sindacalisti dicono quello che gli iscritti vogliono sentirsi dire.
    I giornalisti scrivono quello che i loro lettori si aspettano di leggere, altrimenti perdono copie e lo stesso fanno i politici con i loro elettori. Nessuno ci crede, ma tutti preferiscono una balla ben detta ad una verità male-detta.

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