REATI PERDONABILI, REATI IMPERDONABILI

-Quante volte, figliolo?
-Tante, padre. Tantissime!
Confesso un peccato che ho commesso spesso ma che non riesco a spiegarmi.
È normale che il goloso pecchi per la gola, l’avaro per il denaro, il libidinoso per il sesso. Il mio peccato è invece una irrefrenabile voglia – se non di perdono – certo di comprensione per i peccati altrui. Mentre non sento la minima spinta al perdono quando si tratta di gravi reati che hanno fatto soffrire qualcuno, ogni volta che leggo di un politico arrestato per corruzione, di un professore che è andato a letto con una sua alunna, di un evasore fiscale che ha frodato lo Stato per migliaia e migliaia di euro, ho una stretta al cuore. Qual è il discrimine?
Il primo è dato dalla plausibilità della tentazione: non ho mai desiderato uccidere, non ho mai nemmeno pensato di violentare una donna e questi “peccati” sono fuori dal mio mondo. Incluso quello fantastico. Per altri reati  invece conta molto il grado maggiore o minore di “alterità”. La domanda diviene: la vittima ha sofferto? Per caso era consenziente?
L’esempio migliore è il reato sessuale. Mentre nella violenza carnale l’autore non ha nessuna giustificazione e l’antigiuridicità del suo atto è spalancata sotto i suoi occhi dalle preghiere e dalla resistenza della vittima, nel caso del docente che sia andato a letto con l’alunna tredicenne (giuridicamente violenza carnale, come nel caso precedente) non posso non chiedermi come sono andate le cose. Certe ragazze a quell’età sono già estremamente attraenti e alcune sono anche maliziose. Dunque un uomo un po’ represso psichicamente e annebbiato da notevoli quantità di testosterone potrà per così dire perdere la testa. E se la ragazza lo incoraggia, se magari non è più vergine perché ha già avuto rapporti sessuali, chi può dire che sarebbe facile resistere? Chi, all’idea di trovarsi nella situazione del docente indotto in tentazione, può essere sicuro che non cederebbe?
È forse questa la distinzione fondamentale: la percezione dell’esistenza della vittima. Mentre il rapinatore ha dinanzi a sé il possessore di un bene cui legittimamente non vorrebbe rinunciare, l’evasore fiscale, più che tendere a impossessarsi del denaro altrui, vorrebbe conservare il proprio. Non ignora l‘astratto dovere di contribuire alle spese dello Stato, ma lo Stato in passato lo ha più volte vessato e un po’ depredato… Come diceva quel tale, rubare allo Stato non è rubare, è ricuperare.
Pesa molto l’interpretazione che il colpevole dà a se stesso del proprio reato. Il corrotto per un atto conforme al proprio ufficio può raccontare a se stesso che il corruttore è solo un amico molto grato: ecco una tentazione – con razionalizzazione incorporata – impossibile per il colpevole di concussione.
La cosa strana è che tutti questi reati verso i quali sento una tendenza al perdono io non avrei mai potuto commetterli. Non perché sia particolarmente morale, ma perché già da giovane ero così acutamente cosciente del fatto che coi reati ci si mette nei guai che le eventuali tentazioni divenivano inconsistenti.
Al riguardo c’è un episodio tanto lontano quanto significativo. Ottenuta la laurea sono partito all’avventura e un paio di mesi dopo ero a Londra. Essendo poverissimo, ho cercato lavoro e, oh gioia!, mi hanno assunto come lavapiatti. Ma io avevo un problema: sul passaporto m’avevano scritto che non potevo lavorare “unless unpaid”. Ho cercato lo stesso, disperatamente, una soluzione, sono andato al Home Office, ho parlato con un funzionario che mi ha chiesto se capissi quello che c’era scritto sul passaporto. Il mio inglese era pessimo, ma non potevo negarlo.
Tornato alla trattoria riferii il colloquio al proprietario. Il pakistano sorrise: “Che importa! Se dovessero venire dei poliziotti dirai che sei un parente, che lavori per passare il tempo”. Scusa inverosimile. Eppure, che cosa rischiavo? Che mi espellessero dal Paese? E ora forse che non mi apprestavo ad andarmene, dopo appena undici giorni, senza nemmeno avere imparato un po’ meglio l’inglese?
Ciò che mi indusse ad abbandonare una Londra che in quel momento adoravo fu la semplice considerazione che un giorno, se fossi divenuto una persona importante, qualcuno avrebbe potuto rivangare quell’episodio e accusarmi di essere andato contro la legge, una volta.
Ho sempre cercato di non correre rischi. Non ho mai confidato un segreto che, rivelato, potesse danneggiare me o qualcun altro. Non ho mai accettato una raccomandazione. Non ho mai nemmeno corretto un voto sul registro: i professori non lo sanno, ma costituisce il reato di falso materiale.
Per questi motivi avrei tutto il diritto di essere spietato, col prossimo: ma non mi riesce. Forse perché ho sempre visto gli altri severissimi con gli errori altrui e indulgentissimi con i propri. E questo ha fatto schifo al mio senso estetico.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it, www.DailyBlog.it
30 luglio 2011

REATI PERDONABILI, REATI IMPERDONABILIultima modifica: 2011-07-30T11:12:07+02:00da gianni.pardo
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Un pensiero su “REATI PERDONABILI, REATI IMPERDONABILI

  1. Nell’articolo non è detto, ma è ovvio che i reati “perdonabili” vanno normalmente puniti, ai sensi del codice penale. La distinzione è solo “sentimentale”.

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