LA CRAVATTA

Molti anni fa ho tentato di divenire avvocato e per dovere d’ufficio – eravamo all’inizio degli anni Sessanta – ho costantemente indossato giacca e cravatta.

Era un sacrificio, per me. Mi chiedevo a che servisse quella striscia di stoffa, dal momento che la camicia aveva un bottone che la chiudeva perfettamente. Inoltre le cravatte mi seccava sceglierle. Mi sembravano tutte assurde. E poi, tinta su tinta, fino a renderle quasi impercettibili, oppure un netto e squillante contrasto? E soprattutto, con quale coraggio spendere denaro per una cosa inutile?

A questo posi facilmente rimedio. Avevo amici che, diversamente da me, sapevano a che serviva la cravatta e distinguevano una cravatta nuova da una che aveva già fatto buona parte del suo servizio. Ottenni dunque che mi regalassero quelle che non mettevano più e presto ne ebbi in quantità.

Poi un colpo di fortuna mi permise di abbandonare i codici per una cattedra e fui un uomo libero. Il ministero, che già tollera fior di asini e mentecatti, come insegnanti, non si sarebbe certo interessato del mio collo. Tutte le cravatte finirono nella spazzatura. 

Era il 1963. Da quel momento, non ho mai più messo una cravatta. Anzi, visto che c’ero, non ho più messo nemmeno una giacca, arrivando al punto da non possederne. E poiché cappotti non ne ho mai portati sono divenuto, prima di Marchionne, “l’uomo in maglione”. Oppure, se fa veramente freddo, “l’uomo col giubbotto”. Sempre con la libertà, volendo, di andare in sandali anche in inverno.

Vicende assolutamente prive d’interesse, naturalmente, salvo che per un particolare: possono servire a mostrare a che punto la gente è prona alle mode del momento. Oggi anche le persone importanti ostentano spesso i bordi del colletto cascanti su un petto vedovo della famosa striscia di stoffa. Tanto che si ha voglia di gridargli che non fa poi tanto caldo; che se proprio si vogliono togliere la giacca, dovrebbero prima chiedere permesso; e – almeno io – vorrei soprattutto gridargli che non sono affatto originali, senza la famosa striscia inutile. L’avevano, la mettevano, fino a qualche anno fa? E che cosa è successo, da allora? Prima non gli dava fastidio e ora sì? Prima gliela imponeva il loro mestiere e ora non più? O semplicemente hanno un tale spirito gregario da stare continuamente attenti alla direzione presa dal capobranco per essere pronti a cambiarla anche loro? 

Comunque non si può perdonare il loro sentimento di essere più liberi di quelli che, eventualmente, dovessero tirare diritto e vestirsi come prima. Infatti perfino un vecchio eccentrico come me in questo momento vorrebbe tornare alla cravatta. Anzi alla “lavallière”, una sorta di supercravatta, di sciarpa annodata sotto il mento: tanto per mostrare alla massa delle processionarie che cos’è essere originali nell’abbigliamento. 

Purtroppo non posso farlo. Non mi sono mai vestito in modo da inviare questo o quel messaggio. Le mie dimostrazioni appartengono al linguaggio e il vestito risponde soltanto a necessità meteorologiche e di decenza.

A chi si presenta senza cravatta in un’occasione ufficiale bisognerebbe solo dire, con la voce di Paolo Villaggio: “Non ha la cravatta! Ma com’è coraggioso, lei! Ma com’è originale, lei! Ma com’è audace, lei!”

Gianni Pardo, giannipardo@libero.it

12 settembre 2012

 
LA CRAVATTAultima modifica: 2012-11-21T08:16:16+01:00da gianni.pardo
Reposta per primo quest’articolo

5 pensieri su “LA CRAVATTA

  1. Da tempo sono alla ricerca di un abbigliamento che sia pratico ed economico, eppure neutrale dal punto di vista del messaggio visivo.
    L’impresa mi risulta sorprendentemente difficile: con le parole e’ facile passare inosservati, basta stare zitti, ma con il vestiario e’ tutta un’altra cosa.

  2. Franco Sacchetti nel suo Trecentonovelle riporta uno spassoso siparietto (novella CLXXVIII) fra Giovanni Angiolieri e Piero Pantaleoni proprio in merito alla moda di allora che obbligava a portare intorno al collo la gorgera, e così conclude:
    “si sta un dí in questo mondo, e in quello si mutano mille fogge e ciascuno cerca libertà, ed elli stesso se la toglie”.
    Nihil sub sole novum!

  3. E Michel de Montaigne, col suo buon senso, previde che un giorno la moda rinascimentale di quel sacchetto che conteneva i genitali maschili, fuori dai calzoni aderentissimi, un giorno sarebbe stato visto come disdicevole (e dico poco).

  4. Pero’ cerchiamo di non ignorare il fatto che vestire diversamente e’ intrinsecamente offensivo e finanche eversivo, agli occhi di chi si sforza una vita per adeguarsi alla moda, intesa in senso matematico-statistico (ve lo dice uno che va in giro da decenni esclusivamente con una bicicletta scassata con le braghe arrotolate alla zuava per non intralciare la catena, e poi le tiene cosi’ dappertutto salvo nelle occasioni solenni tipo matrimoni e funerali).

I commenti sono chiusi.