FACEBOOK AND TWITTER

Si può scrivere un articolo perché se ne sa più dei lettori, ma si può scrivere un articolo perché se ne sa meno. Personalmente mi trovo nella seconda condizione. Mi sono sempre rifiutato – forse per un pregiudizio – di iscrivermi a Facebook e a Twitter, e ora, proprio dai lettori, vorrei saperne di più. 

Allineo i pochi dati di cui sono in possesso. Facebook, mi dicono, serve a ritrovare persone perse di vista – cosa di cui assolutamente non vedo l’utilità – e per il resto funziona come un mix di posta elettronica e di blog: il titolare può inserire articoli e fotografie e può dialogare con gli intervenuti. Altra caratteristica di Facebook è che si può “offrire l’amicizia” ed accettarla. Tizio chiede a Caio di divenire suo amico, Caio ammette di conoscerlo, gli risponde di sì e può vantarsi del notevole numero di amici che ha.

Per Twitter invece vale la regola che i testi che si vogliono scrivere non devono superare le centoquaranta battute. Gli amici che si sono iscritti possono leggerle o riceverle, e rispondere. Salvo errori od omissioni. E se questi errori ed omissioni non cambiano l’essenziale, c’è da rimanere sconfortati.

Per Facebook la prima domanda è: qual è il vantaggio, rispetto a un blog? E che senso ha, quel tipo di “amicizia”? L’uso di questo termine, in quel contesto, è quasi una bestemmia. Tra “ti conosco” o “chiacchieriamo volentieri” e “siamo amici” c’è molta differenza. È vero, anche le grandi amicizie muoiono; ma perfino dopo che sono morte bisogna manifestare per loro quel rispetto che è obbligatorio per gli amori finiti. Si direbbe invece che i membri del social network si accontentino del suono delle parole, si offrano vicendevolmente, e a poco prezzo, la sensazione del successo sociale. 

Twitter arriva a fare di peggio. Invece che di amici parla di follower, parola che si traduce con “seguace” e “discepolo”, anche se significa pure “ammiratore”. All’idea di avere dei seguaci o dei discepoli, una persona normale dovrebbe sentirsi soffocare dal ridicolo. E invece degli sciocchi, purché noti, hanno tanti “seguaci” da potere fondare una nuova religione.

Ma la caratteristica saliente di Twitter è il limite massimo di centoquaranta battute. Appena sufficienti per gridare “Abbasso Berlusconi!” Ché anzi proprio per questa ragione si è scelto il nome “Twitter”, qualcosa che ha a che vedere col cinguettare, col conversare rapidamente riguardo a cose poco importanti. Più o meno col cervello di un passero. 

Per chi non avesse un’idea di ciò che sono centoquaranta battute, spazi inclusi, si tenga presente che corrispondono esattamente alla frase letta poco fa: Ma la caratteristica saliente di Twitter è il limite massimo di centoquaranta battute. Appena sufficienti per gridare “Abbasso Berlusconi!” 

Così poche parole sono sufficienti soltanto per il guizzo del grande umorista o la massima del grande saggio. Per il resto una simile concisione costituisce un ostacolo insormontabile. Essa consente di esprimere soltanto un pensiero elementare che non contenga un “ma”, una precisazione, una spiegazione. Al punto che si è tentati di pensare che Twitter debba il suo successo al fatto che la gente è “costretta” ad essere com’è in realtà: cioè tendente ad un pensiero atomizzato, banale, semplicemente assertivo. Quando non al semplice “cazzeggio”, come si dice con orrendo neologismo. 

Il pensiero adulto è necessariamente complesso, perché complessa è la realtà. Chi la riassume troppo con ciò stesso la tradisce e la svilisce. Quando il Cristiano di Rostand dice a Rossana “Vi amo” ottiene soltanto che la bella, gli risponda giustamente: “Questo è il tema. Ricamate, ricamate”. E in effetti, ciò che distingue il grande amore dalla mera attrazione sentimentale, è ciò che a Rossana è stato capace di dire Cyrano e non è capace di dire Cristiano.

A quanto pare, c’è gente alla quale basta dire “Abbasso Berlusconi” e “Ti amo”. E c’è chi non si sente fatto per Twitter.

Gianni Pardo, pardonuovo.myblog.it

9 novembre 2013

FACEBOOK AND TWITTERultima modifica: 2013-11-10T15:35:52+01:00da gianni.pardo
Reposta per primo quest’articolo