L’OMICIDIO STRADALE

 

Il diritto penale distingue l’omicidio volontario da quello involontario, detto “colposo”. Mentre per il primo la pena edittale minima è di ventuno anni di reclusione, per l’omicidio colposo la pena minima è di sei mesi: di quarantadue volte inferiore. Inoltre, mentre per l’omicidio volontario il massimo della pena (salvo sia inflitto l’ergastolo) è di trent’anni (nove anni più di ventuno), per quello colposo si va fino a quindici anni, cioè trenta volte più del minimo. Come si vede, l’aumento della pena, per i casi più gravi, è infinitamente più pesante che per l’omicidio volontario. E queste differenze meritano spiegazione.

Sull’omicidio volontario la riflessione dura da millenni e ci si è accorti che nemmeno la pena di morte fa scomparire l’assassinio. Inoltre si è visto che non serve che la pena detentiva sia eterna: se il colpevole sta in carcere per vent’anni, dopo tutto questo tempo si può sperare che non sia più lo stesso e sia recuperabile alla società. Dunque non serve infierire al di là di ciò che è utile. Gli americani infatti, piuttosto che stabilire un termine fisso per la scadenza della pena, insistono molto sul comportamento del condannato durante la carcerazione e cercano di prevedere se, liberandolo, rimetteranno in circolazione un cittadino redento o un pericolo per la società. E decidono di conseguenza.

Viceversa, per l’omicidio colposo si è sottoposti alle mode e pesa molto l’influenza dell’opinione pubblica. Se un caso sollecita l’emotività del popolo (si pensi a qualche incidente sul lavoro), si crede inammissibile che qualcuno paghi con pochi anni di carcere la morte di un innocente. E ci si rifiuta di considerare che l’imprudente quella morte non l’ha né prevista né voluta. Si dimentica che nessuno di noi è esente da una possibile, drammatica distrazione; che anche un uomo normalmente cauto può occasionalmente commettere un’imprudenza; e infine che a chiunque può capitare di violare una norma stupida ma consacrata in una legge.

Tutto questo è particolarmente vero quando si tratta di incidenti stradali. La responsabilità soggettiva, in questi omicidi, è più o meno la stessa che in tutti gli altri, ma la sensibilità dei giornali non lo è.  E dunque l’art.589 del Codice Penale, che prima era scheletrico, con  le recenti modificazioni (2006, 2008) è divenuto pletorico. Vi si è in particolare introdotto proprio l’omicidio stradale,  che dunque non è da inventare, dal momento che esiste già. Il codice (1) infligge per esso sanzioni tutt’altro che lievi e già il minimo della pena è aumentato di quattro volte. Ma c’è un mito immortale: quello che si possano evitare queste morti con leggi sempre più severe. Un mito che produce gravi guasti.

Ammettiamo che in un certo tratto di strada avvengano parecchi incidenti. Per rispondere all’indignazione popolare si deve incolpare qualcuno, e ce la si prende con  l’ente gestore che si è limitato a segnalare “curva pericolosa”. E allora l’Anas, a scanso di responsabilità, in quel genere di curve mette un limite di velocità di 30 Kmh. Naturalmente è un limite assurdamente basso e nessuno l’osserva. La conseguenza è che al prossimo incidente, anche dovuto a caso fortuito o all’imprudenza del morto, il conducente si vedrà condannare per omicidio colposo perché ha rallentato solo fino a quaranta chilometri orari invece che a trenta. Infatti la “colpa”, oltre che per imprudenza o imperizia,  si ha per violazione di leggi o regolamenti  (sempre che – probatio diabolica! – l’avvocato  non riesca a dimostrare che l’evento mortale si sarebbe verificato anche se l’auto avesse proceduto a trenta chilometri orari). E, secondo la nuova legislazione, l’autista si dovrebbe veder ritirare la patente a vita, anche se di mestiere faceva il camionista. Ecco a che cosa si può arrivare.

Il miglior modo di ottenere una circolazione stradale ordinata e prudente non è quello di rendere sempre più severe le sanzioni, ma quello di applicarle costantemente e implacabilmente: dunque con molta più polizia e non limitandosi al divieto di sosta. Le stesse ammende non devono essere di rapina, ma semplicemente inevitabili e applicate a tappeto. Pare che sia il sistema in vigore in Svizzera.

È un principio di buon senso. Le norme stradali non devono essere né “severissime” né “prudentissime”, devono essere “ragionevoli” e costantemente applicate. Le severissime sono ingiuste e le “prudentissime” assurde.

Tutti coloro che sarebbero lieti di veder pendere dalla forca i colpevoli d’incidenti stradali dimenticano che potrebbero farne parte, un giorno o l’altro. Ma l’Italia è il Paese in cui si crede che i problemi si risolvano pubblicando qualcosa sulla Gazzetta Ufficiale e che i cattivi siano sempre gli altri.

Gianni Pardo, pardonuovo.myblog.it

2 gennaio 2014

(1) A scanso d’equivoci: chi scrive non ha mai subito una condanna per lesioni od omicidio colposo. Ecco l’articolo 589 del codice:

Chiunque cagiona per colpa la morte di una persona è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.

Se il fatto è commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale o di quelle per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena è della reclusione da due a sette anni.

Si applica la pena della reclusione da tre a dieci anni se il fatto è commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale da:

1) soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell’articolo 186, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni;

2) soggetto sotto l’effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope.

Nel caso di morte di più persone, ovvero di morte di una o più persone e di lesioni di una o più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo, ma la pena non può superare gli anni quindici.

 

L’OMICIDIO STRADALEultima modifica: 2014-01-04T11:47:24+01:00da gianni.pardo
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