LA GARA

 

Il senso della mancanza d’ambizione

 

Devo necessariamente partire da un ricordo d’infanzia. Dai miei dieci anni in poi sono stato un innamorato della bicicletta e, come è naturale, capitava che un altro ragazzino mi sfidasse: “Facciamo una gara?”. Io rispondevo invariabilmente di no. Non mi sono mai seriamente chiesto se sarei arrivato primo o secondo, sapevo soltanto  che non mi sarei mai prestato a quella misurazione. Questa era allora un’intima, invincibile evidenza; oggi, a tanti decenni di distanza, me ne chiedo il perché.

La prima spiegazione che mi davo allora, era che probabilmente sarei stato battuto. Ma accanto a questo mi assaliva in anticipo l’invincibile nausea per l’oscena gioia dell’altro, se avesse vinto. Addirittura me ne vergognavo per lui. Mi pareva inverosimile che si potesse arrivare a simili  eccessi di pessimo gusto. Né poteva compensarmi l’ipotesi che, vincendo io, avrei potuto godere a mia volta nello stesso modo di quel trionfo: perché non soltanto non avrei avuto nessuna gioia speciale, data la futilità dell’impresa, ma mi sarei comunque accuratamente astenuto dal mostrarla.

Questa posizione intima non cambiò con gli anni. Ormai all’università, degli amici mi insegnarono a giocare a “King” e la cosa mi sarebbe piaciuta se non avessi notato quanto impegno, quanto agonismo e perfino animosità gli altri mettevano in quel passatempo. Il risultato fu che non partecipai più alle serate, e non perché i miei risultati fossero tanto peggiori di quelli altrui.

La gara, in tutte le sue forme, continuava a parermi insensata. Battere un ignoto ragazzino in bicicletta non è gloria. Ma lo è battere tutti in una gara parrocchiale? A meno che uno non si chiami Fausto Coppi, salendo di livello in livello che cosa crede di ottenere? Senza dire che perfino i grandi campioni col tempo sono dimenticati. Nessun giovane, oggi, saprebbe dire chi sono stati Girardengo o Binda. Ed allora ho finalmente capito: il bambino che diceva di no alla corsa di mezzo chilometro dimostrava una qualità – o un difetto, per dir  meglio – che l’avrebbe caratterizzato per tutta la vita: la mancanza d’ambizione.

L’ambizione è la molla che spinge a raggiungere grandi risultati. Probabilmente è un tratto caratteriale prima che il risultato di una chiara volontà. Il ragazzino che mi sfidava alla corsa lo faceva per il divertimento della gara e nella speranza di vincere almeno su di me. E gli sarebbe largamente bastato. Non che fosse tanto stupido da credere la cosa importante, non pensava certo che quell’eventuale vittoria avrebbe cambiato la sua vita: ma la cosa lo divertiva abbastanza da correre il rischio della sconfitta. Nello stesso modo, il mio disgusto per l’esultanza della vittoria non era tanto il risultato di un ragionamento quanto una sorta di istinto, accoppiato magari ad un’enorme ed ingiustificata opinione di me stesso. Anche in questo caso, una posizione su base affettiva, non razionale. Come a tutti mi piaceva giocare, ma purché lo si facesse amichevolmente. E non riuscivo a vedere amichevole una gara. Con una sfida ci si mette sempre in gioco, interamente, ed io non riuscivo: non potevo permettere che il valore che mi attribuivo potesse essere misurato da qualcun altro su quella scala.

L’esperienza di molti decenni mi ha insegnato che avevo torto. Che tutto sia vano è incontestabile, ma se la coscienza di ciò conduce all’inazione, alla fine della vita si rischia di rimanere ultimi in tutte le direzioni. Si può anche ammettere che la vittoria nei tanti campi proposti dall’ambizione non valga molto ma questa idea rimane sospetta di autoassoluzione. Due su tre dei miei avversari a “King” sono divenuti uno Presidente di Sezione della Corte di Cassazione, e l’altro professore di Scienza delle Costruzioni nella facoltà d’ingegneria. E mentre loro erano delle autorità, io  ero già da anni un semplice pensionato dell’Inpdap. Non che vivessi male, anzi, ma spesso, per strada, mi sentivo un collega dei gatti randagi.

Gianni Pardo, pardonuovo.myblog.it

21 febbraio 2014

 

 

LA GARAultima modifica: 2014-02-21T15:09:49+01:00da gianni.pardo
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