IL PROBLEMA DEL MALE

 

 

Se esiste un Dio onnipotente e onnisciente, se esiste una Divina Provvidenza (cioè un Dio che si occupa degli uomini, contrariamente a quanto pensava Aristotele), come mai nel mondo c’è tanto male? Come mai Dio tollera il cancro nei bambini, come mai ha permesso Auschwitz? Ecco un problema che tormenta molti. I cattolici rispondono che del male sono causa gli uomini, ma ciò non convince. Non solo il cancro non lo hanno creato gli uomini, ma non vale nemmeno dire che essi sono stati liberi di commettere il peccato originale. Infatti, se hanno sbagliato, se hanno commesso un errore, sarebbe ancora lecito tornare da chi li ha creati e denunciare i vizi di fabbricazione. Ma è meglio lasciare il problema teologico (irresolubile) ai credenti: per i laici infatti esso è un falso problema.

Se un ghepardo corre dietro una gazzella, è comprensibile che quest’ultima corra per sfuggire al male di essere uccisa e mangiata. Ma, se ci riesce, è anche vero che quel giorno il ghepardo forse dovrà soffrire il male della fame, e non riuscirà a portare del cibo ai suoi piccoli. Nella natura il male degli uni è spesso il bene degli altri. Ed anzi questo bene e questo male col loro intreccio finiscono col creare un ecosistema in cui il singolo perisce ma il complesso va avanti con successo. Finché è vivo, ognuno ci trova il proprio posto; poi muore, e perfino da morto è ancora utile al sistema: diversamente di che si nutrirebbero gli avvoltoi?

Qualcuno potrà trovare strano che si parli di questo argomento partendo dalla savana. Gli animali, dirà, non sanno nemmeno che cosa sono, bene e male. Questi sono concetti morali. Il che è contemporaneamente vero e falso. Se la gazzella trovasse non diciamo morale ma almeno divertente essere uccisa, non scapperebbe con tutte le sue forze. Dunque per lei morire è male. Tanto quanto mangiare erbetta fresca è bene. Anche se potrebbe essere un male per l’erbetta stessa.

Il punto è che noi uomini ci poniamo talmente al centro dell’Universo da non usare la stessa bilancia per tutte le cose. Che l’uomo mangi il maiale non è male, che il leone mangi l’uomo è male. Che il verme tenia mangi a spese dell’uomo è male, che l’uomo beva il latte a spese della mucca è bene. Perfino gli accadimenti naturali sono qualificati buoni o cattivi dal punto di vista dell’uomo. La pioggia lunga e gentile è bene, la tempesta che distrugge tutto è male, pur essendo evidente che non v’è in Natura nessuna volontà di ottenere un risultato o l’altro. Come non c’è nessuna volontà malvagia nelle cellule neoplastiche che conducono alla morte una fanciulla innamorata o un genio in giovane età.

Tutto ciò ci riporta al problema iniziale. Se la realtà è dominata da un’irresistibile catena causale – per la quale un fenomeno ne provoca un altro e così indefinitamente, senza una guida – parlare di bene e di male non ha senso. Salvo, eventualmente, nei rapporti interumani, ma questo è a sua volta un problema che richiederebbe un capitolo a parte. Se invece tutto fosse sorvegliato e guidato da una Volontà superiore, una Volontà che avesse posto qualcuno al centro dell’Universo, allora il problema si porrebbe inevitabilmente. Se al centro dell’Universo al posto dell’uomo ci fosse lo gnu, questo erbivoro, inseguito dalle leonesse, potrebbe alzare il suo lamento: “Signore, perché permetti che queste bestiacce mi inseguano per uccidermi se, come hai detto, mi stimi tanto da avere creato l’Universo per me?”. Se invece la stessa bestia fosse miscredente, direbbe soltanto: “Speriamo che abbia ancora abbastanza vigore per correre velocemente e sfuggire alla morte. Ché, se così non fosse, sarebbe soltanto venuta la mia ora. Nessuno gnu muore di morte naturale”.

Il problema del male nasce dal credere che la realtà sia stata organizzata per noi e per il nostro bene. Purtroppo poi, vivendo, ci accorgiamo che questa è una pia illusione. La realtà va per i fatti suoi e quando il risultato non ci conviene parliamo di male. Se invece non avessimo illusioni, sapremmo che siamo sulla Terra per caso, non diversamente dai colibrì e dai millepiedi, e che del nostro gradimento o del nostro biasimo la Natura si disinteressa totalmente.

È questo il sentimento provato tanti anni fa da un velista in mezzo al mare, in uno splendido giorno di sole e di caldo. “Se cadessi in mare, si disse, e la barca continuasse la sua corsa, morirei qui, e questo mare blu e questo cielo azzurro non baderebbero a me neanche per un istante”. E così passò dalla poesia del creato all’angoscia della fragilità umana.

Gianni Pardo, pardonuovo.myblog.it

16 aprile 2014

 

 

 

IL PROBLEMA DEL MALEultima modifica: 2014-04-18T10:26:15+02:00da gianni.pardo
Reposta per primo quest’articolo