Un articolo “optional” (non mio) sull’immigrazione per chi ha tempo.

Sui problemi dell’immigrazione consiglio a tutti di leggere il seguente articolo, tratto dal sito dell’Ansa. Se ne ricava che, parlando del fenomeno, molti guardano alle proprie astratte simmetrie, piuttosto che ai problemi concreti che pone la mescolanza di etnie diverse. E mi diverte pensare che molti dei genitori che fanno sacrifi-ci pur di iscrivere i figli in scuole lontano da casa prima, quando parlavano di immigrazione e di dovere di salvare chi è in bisogno, dicevano cose ben diverse. Come si dice, un conto è parlar di morte, un conto è mori-re.
G.P.


© ANSA, Fabrizio Cassinelli MILANO 02 dicembre 201712:17 News
A Milano c’è una scuola che viene evitata in ogni modo dalle famiglie italiane, che iscrivono i figli altrove, anche fuori dal quartiere, pur di non farvi studiare i propri fi-gli. Si tratta di un istituto così pieno di alunni immigrati, di prima o seconda genera-zione, da scoraggiare le famiglie che temono per l’apprendimento dei ragazzi, in quel quartiere Corvetto più volte al centro di problemi di integrazione e criminalità. A protestare per primi sono stati alcuni genitori di origine sudamericana, comunità dalla forte appartenenza linguistica, che a casa hanno sentito i loro figli “parlare in arabo”. “Lo hanno imparato dai compagni di classe, che tra loro comunicano così perché i maghrebini sono l’etnia prevalente – spiega una docente che vuole man-tenere l’anonimato -. Padri e madri sono preoccupati e hanno minacciato di portar-li via”. Nella struttura, l’Istituto comprensivo Fabio Filzi, ci sono diverse quinte, al-trettante quarte e via via a scalare fino all’unica prima. “I genitori italiani si rifiutano di iscrivere i loro figli qui – ammette il preside, Domenico Balbi, noto alle cronache per utilizzare un particolare metodo educativo nell’altro istituto che coordina, dove manda i ragazzi a curare il giardino invece di affibbiare sospensioni – tanto che non riusciamo a formare un numero adeguato di prime classi nella primaria. Eppu-re siamo un polo d’eccellenza per l’autismo, ma invece passa il messaggio di una scuola-ghetto”. Il dato allarmante di una problematica integrazione scolastica emerge anche da una ricerca del Politecnico di Milano riportata dal Corriere della Sera. “Negli ultimi 15 anni – si legge – è esplosa una vera ‘segregazione sociale’, fenomeno che il Politecnico ha indagato con un dossier: scuole dove l’inclusione appare difficile, e l’equilibrio salta per la scelta delle famiglie italiane di ‘fuggire’ da questi istituti”. Il risultato, secondo il Politecnico “è la segregazione sociale ed et-nica nella scuola milanese”. Parole pesanti, che però al Corvetto si avvertono nel-la loro realtà abbastanza chiaramente. Secondo i dati presentati “gli alunni stranie-ri a Milano oggi sono il 25% alla primaria e il 18 per cento alle secondarie di I gra-do (le ex ‘Medie’, ndR) ma la distribuzione varia molto dal centro alle periferie do-ve gli stranieri arrivano all’80%”. Al Fabio Filzi, nella 1/a A, “su 26 bambini, 22 so-no stranieri, di origine straniera o italiani con un genitore straniero”, conferma la di-rezione. Nell’istituto comprensivo del quartiere Corvetto, però, i problemi non ri-guarderebbero solo la composizione delle classi ma da tempo si registrerebbero anche episodi di bullismo, vandalismi e intimidazioni, soprattutto ad opera – a dire dei genitori – di alcuni prepotenti “provenienti dal vicino campo nomadi”. L’istituto comprende la scuola elementare Fabio Filzi, in via Ravenna, e la Wolf Ferrari, nel-la via omonima, e la vicina scuola secondaria di primo grado Albe Steiner, in via Dei Guarneri. “Qui siamo sotto assedio – racconta una mamma -. Solo la scorsa settimana un nomade è venuto a scuola intimando agli insegnanti di dire quale bambino aveva litigato con il suo, tanto che adesso il piccolo da alcuni giorni non viene perché i genitori hanno paura che possa capitargli qualcosa. “Le forze dell’ordine? – dice suo marito con aria amareggiata -. Da queste parti sono molto poco sollecite, tanto noi siamo solo immigrati”.

Un articolo “optional” (non mio) sull’immigrazione per chi ha tempo.ultima modifica: 2017-12-02T15:50:29+01:00da gianni.pardo
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5 pensieri su “Un articolo “optional” (non mio) sull’immigrazione per chi ha tempo.

  1. E questo è solo l’inizio.
    Ho fieri dubbi che il nostro paese sia attrezzato (anche psicologicamente) per gestire l’ordine pubblico in una realtà fortemente multirazziale e multiculturale come quella che ci attende.
    Lumen

  2. Caro Lumen,

    più che di “società multirazziale e multiculturale” parlerei di società caotica. Come sai le razze non esistono (attento a come parli, eh!) e quanto alla cultura di nomadi, magrebini, rumeni, afghani, pakistani, africani ecc. ecc. dubito che ne abbiano davvero una (e con ciò sono ovviamente rassista, fascista ecc. ecc.). Qualcuno di molto altolocato dice che i costumi semplici delle genti che ci invadono saranno un giorno anche i nostri costumi (in pratica meno consumi, più frugalità, magari più povertà per tutti). Come si sia potuti arrivare, quasi senza accorgercene, a una situazione simile nel giro di appena vent’anni è un mistero. A meno che, come dice Lorenzo, non ci sia un Piano che si sta realizzando. Che il caos sia voluto è possibile (Lorenzo direbbe che sono un imbecille tanto è evidente il Piano). E questo, come dici ben tu, non è che l’inizio. Pensa un po’ ai poveri poliziotti o impiegati che devono trascrivere i nomi impronunciabili di persone che si presentano magari senza documenti. “Eh no, se va avanti così chissà come finirà.” (Il ragazzo della Via Gluck).

  3. Sì, è vero, le razze umane non esistono (lo dice anche un grande genetista come Cavalli-Sforza).
    Avrei dovuto dire società “multi-etnica”.
    Ma il senso pratico del discorso, purtroppo, non cambia.

  4. Un momento, che siamo tutti della stessa specie è vero, se no gli incroci – per esempio tra un asiatico e un africano – non sarebbero fecondi.
    Che le razze umane non siano nettamente distinte è pure vero: infatti un “mediterraneo” è più scuro di un norvegese ma più bianco di un maghrebino (o di certi siciliani). Insomma esistono tutte le sfumature.
    E tutto ciò che ho detto vale anche per i cani. Ma chi negherebbe che esistono “razze di cani”? Non riusciamo dunque a distinguere un alano da un chihuahua (forse c’è qualche “acca” in più)? Come ci sono le razze dei cani ci sono le razze degli uomini. E un’infinità di bastardi, pardon, incroci.
    Viceversa non è una razza quella degli ebrei perché nessuno potrebbe distinguerli vedendoli in fotografia.
    G.

  5. Il motivo per cui gli scienziati rifiutano il concetto di razza come comunemente inteso, e’ semplice: e’ molto maggiore la variabilita’ fra gli individui all’interno di una razza che fra le medie di due razze, fossero anche le piu’ distanti (aborigeni australiani e islandesi).
    Da quel che ricordo, la maggiore differenza e’ di circa un ordine di grandezza, fra le 5 e le dieci volte, quindi molto ampia.
    Cio’ non appare a prima vista perche’ le differenze fra le “razze” si concentrano sull’aspetto esteriore, quello appunto piu’ visibile, e siamo tutti molto sensibili a queste differenze, tutti nel senso di appartenenti a qualsiasi “razza”.

    Poi ognuno e’ libero di considerare una singola caratteristica, esteriore e quindi molto visibile (ad esempio occhio chiari, capelli biondi o rossi), per fare tutte le categorizzazioni che vuole, e magari cercare di isolare e selezionare il proprio gruppo tribale-razziale sulla “purezza” di quel carattere, come si fa con gli animali domestici e i vegetali domestici.

    Diverso il discorso per la cultura, che non solo e’ molto variabile fra i vari gruppi, ma e’ pure piu’ facilmente e velocemente modificabile, dato che come noto si tratta non di una caratteristica genetica difficilmente mutabile, bensi’ di un qualcosa di appreso e trasmissibile lamarkianamente.

    Sia per quanto riguarda l’aspetto genetico, che per quello culturale, secondo me e’ pero’ evidente che abbiamo un istinto tribale di conservazione e differenziazione delle caratteristiche del “nostro” gruppo razziale-culturale contro quelle degli altri. Se serve, amplificando nella percezione piccole differenze gia’ esistenti, quando non inventandone all’uopo di completamente immaginarie. La natura della socialita’ umana e’ tribale, sebbene in modo non ben definito e applicabile nelle modalita’ piu’ fantasiose, e la dimensione della tribu’ e’ variabile culturalmente, va da pochi individui a centinaia di milioni (vedi stati moderni).

    In italia abbiamo uno dei massimi esperti mondiali sulla questione, luca cavalli sforza, coi suoi studi pionieri su gruppi sanguigni, geni, lingue e popoli, fatti quando ancora non era disponibile quasi nulla sul dna, essendo appena stato scoperto. En passant che io sappia e’ anche il primo che ha usato la parola meme inteso come elemento di conservazione e trasmissione culturale, gia’ negli anni 1960, in analogia al gene.

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