LA BUSSOLA DELLA POLITICA ITALIANA

È un episodio che ho già raccontato. Chiesero a De Gaulle se non si occupasse troppo di ideali, dal momento che la politica è qualcosa di molto più concreto, e il generale rispose: “Se gli ideali muovono la storia, vi sembra realistico non occuparvene?” Non soltanto aveva ragione, ma avrebbe avuto ragione anche se avesse parlato di semplici sentimenti.
Forse un tempo la società era influenzata dalla Corte (così è nata la parola “cortesia”), ma oggi sono i cittadini che votano quelli che influenzano la politica. E purtroppo lo fanno senza saper quasi niente di politica, di economia, di storia e di tutto ciò che serve a guidare un Paese. Né i politici tendono ad istruirli. Infatti vogliono soltanto ottenere il loro voto e usano dosi massicce la demagogia, perché è l’unico strumento che ha molta presa sulle menti semplici. Così la politica della nazione finisce col seguire le suggestioni di masse superficiali che hanno come bussola più la fantasia che la realtà.
Naturalmente, quando il popolo sta male sul serio, non c’è demagogia che tenga. Dinanzi ad una vera oppressione fiscale chiunque diviene realista. Ma, finché i politici riescono a dargliela a bere, il Paese va avanti, anche se a caso, e i governanti si limitano a mettere toppe ai guai più evidenti. Sperano sempre di riuscire a rinviare la resa dei conti e nel frattempo si godono i pennacchi del potere.
Se vogliamo capire le linee di tendenza della nostra politica, dobbiamo dunque vedere quali siano le convinzioni profonde del popolo italiano. Quelle che determinano la sua rappresentazione mentale della realtà. Anche se i risultati di una simile indagine saranno comunque opinabili.
Intorno alla metà del XX Secolo, gli italiani sono arrivati alla democrazia moderna con un doppio bagaglio culturale: il Cristianesimo e il Socialismo. Due ideologie sostanzialmente gemelle. Il Socialismo (poi divenuto anche comunismo) è stato la faccia laica del Cristianesimo e politicamente ne ha sposato la maggior parte delle idee. Per esempio, come la Chiesa, si è dichiarato paladino degli umili e degli ultimi, a prescindere dal fatto che essi avessero ragione o torto. Il Cristianesimo comanda di dare ai poveri in base all’amore fraterno, il Socialismo dichiara che i poveri hanno diritto ad essere aiutati dallo Stato, cioè dai contribuenti, senza fornire per questo giustificazioni migliori dell’amore fraterno. Il meccanismo è diverso, ma molla e risultati sono gli stessi.
Altro elemento in comune, l’assenza della meritocrazia nel panorama mentale. Per la Chiesa il povero non va aiutato perché “lo merita”, ma “perché soffre”. Il Socialismo, facendo finta di essere scientifico, per la miseria del povero inventa alla Rousseau una colpa della società e trasforma la carità che intende dargli in risarcimento. Non gli chiede che cosa ha fatto per guadagnare di più, gli chiede soltanto se è povero. E in questo raggiunge il Cristianesimo. E fa tutto ciò senza chiedersi se lo Stato se lo possa permettere economicamente. È così che si sono moltiplicate le spese morali e caritatevoli. Si parla di pensione alle casalinghe, anche se non hanno mai versato un soldo di contributi. Di acqua pubblica (“perché l’acqua è un bene pubblico”, come se nei tubi l’acqua ce la mettesse la pioggia, dopo aver fabbricato l’acquedotto). E infine dell’assurdo “reddito di cittadinanza”.
Già per questa parte si vede che la bussola fondamentale degli italiani è il sentimento, un sentimento che considera il far di conto una forma di bassezza morale. E poi, in linea col Vangelo, reputa che i ricchi siano tali perché hanno rubato qualcosa ai poveri. Inoltre il popolo – sempre in linea col Vangelo – disprezza l’economia. Non soltanto è notevolmente ignorante, in materia, ma ne contesta i risultati. Lo Stato deve finanziare i disoccupati, quale che sia il loro numero. Deve indennizzare i terremotati, e magari ricostruirgli la casa, come se il terremoto fosse colpa sua. Deve “Mettere in sicurezza il territorio”, come se fosse in grado di spianare le montagne. E ovviamente deve tenere in vita tutte le grandi imprese decotte, come l’Alitalia o l’ex Ilva di Taranto, che divorano miliardi e miliardi senza mai riuscire a guarire. Per la buona ragione che di questa prodezza i morti non sono capaci. È presto detto: lo Stato – come la Divina Provvidenza – ha il dovere di porre riparo a tutti i mali del mondo. E se uno fa notare che i conti non tornano, le anime belle rispondono, tetragone: “Sì, magari costerà molto, ma si possono lasciare tanti padri di famiglia sul lastrico?” Senza vedere che, di questo passo, coloro che dovrebbero pagare per i padri di famiglia sul lastrico saranno sul lastrico anche loro. E infatti l’Italia è ferma da anni ed anni, anzi è tornata indietro al 2007. Ma gli italiani non cambiano mentalità. Continuano a stramaledire i capitalisti, le multinazionali e comunque “i ricchi”. E proclamano come una vittoria, con squilli di tromba, il permesso di Bruxelles di fare ulteriori debiti.
La politica italiana è dominata dall’ignoranza e dal sentimentalismo. E non cambierà, finché non ci sarà un tale bagno di sofferenza da svegliare chi è intellettualmente in coma.
Gianni Pardo giannipardo1@gmail.com
21 novembre 2019

LA BUSSOLA DELLA POLITICA ITALIANAultima modifica: 2019-11-24T11:53:20+01:00da gianni.pardo
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Un pensiero su “LA BUSSOLA DELLA POLITICA ITALIANA

  1. Prof. per le ragioni che Lei cita stiamo così combinati,ma il popolo non è stolto,gioca e il gioco si chiama “a cazzinculocompagni” sperando sempre che siano altri a fare la locomotiva. Saluti Prof.

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