IL FEMMINICIDIO DELLA WHIRLPOOL

La Whirlpool chiude lo stabilimento di Napoli, e Massimo Giannini scrive parole di fuoco contro l’Impresa. Parla della “spregiudicata impudenza di un capitalismo che straccia accordi aziendali e patti sociali, cavalcando la tigre della globalizzazione selvaggia, sfruttando il dumping salariale, inseguendo il massimo profitto a qualunque costo. Non c’è giustificazione possibile, per un colosso industriale che decide di buttare in mezzo alla strada oltre 400 famiglie”. E parole pressoché altrettanto severe dedica al governo, che non è stato capace di scongiurare questo disastro.
E tuttavia si può avere un altro punto di vista. Un posto di lavoro è la situazione nella quale qualcuno dice ad un altro: “Se mi offri la tua prestazione ti offro un salario. Naturalmente lo faccio per avere da te un‘utilità economica maggiore di quella che ti offro col salario”. E che cosa dice il lavoratore? “Ho bisogno di quel salario e la tua offerta mi alletta. Dunque accetto nel mio interesse, non nel tuo”. Da questo incontro di interessi nasce il contratto di lavoro. Ovviamente il datore di lavoro ha la possibilità di interrompere il contratto, se non ne ricava un’utilità superiore al costo, e il prestatore d’opera ha la possibilità di lasciare il lavoro se altrove gli offrono migliori condizioni.
Ora passiamo alla patologia. Se gli sgherri del datore di lavoro catturano degli uomini, li incantenano al posto di lavoro e non li pagano, si ha la schiavitù. Se invece i lavoratori impongono al datore di lavoro di continuare a pagarli, anche se costano più di quanto rendano, si ha l’estorsione. La schiavitù non è più di moda, ma l’estorsione prospera. Anche se non a spese dell’Impresa (un’impresa fallita non può pagare salari) a spese dei contribuenti. Infatti, dal momento che in Italia, come dice Giannini, non si può tollerare che si “mettano in mezzo alla strada 400 famiglie”, lo Stato a volte interviene, e lo fa o nazionalizzando l’impresa (con enormi costi per i contribuenti) oppure ripianando il deficit, ma sempre a spese dei contribuenti. E così l’estorsione è stata spostata di una casella, invece di essere a carico dell’impresa, è a carico del contribuente. Ecco come vanno le cose per l’Alitalia (il contrario del pozzo di S.Patrizio) e per tante altre imprese decotte.
Comunque, il pianto greco per le 400 famiglie è ipocrita. Ammettiamo che in Italia rischino il licenziamento non 400, ma 4.000 lavoratori. Che cosa hanno di speciale i 400 rispetto ai rimanenti 3.600? Soltanto il fatto di poter organizzare il blocco di un’autostrada e di ottenere i titoli dei giornali. Dei molti licenziati ignoti non si occupa nessuno. Eppure il dramma del singolo padre di famiglia che perde il lavoro è lo stesso sia che lo perda soltanto lui, sia che lo perdano altri 399 o altri 3,999. La cosa cambia soltanto dal punto di vista emotivo, sociale pubblicitario. Ipocrita.
Le parole di Giannini sono demenziali. Che senso ha parlare di inseguire “il massimo profitto a qualunque costo”? Secondo lui, che scopo ha un’impresa , nel momento in cui tiene aperto uno stabilimento? Lo fa per il profitto, anche se non “massimo”, ed è una cosa non soltanto legittima, ma consustanziale alla sua esistenza. Infatti, se chiude, è segno che quel profitto non c’è.
Tutta la vicenda, nel suo fondamentale fraintendimento, è simile al “femminicidio per amore”. Qual è la ragione per cui un uomo e una donna condividono la vita? L’amore. E, se non l’amore, almeno il fatto che la convivenza offre più vantaggi della separazione. Ma se per la moglie, per esempio, questo minimo vantaggio non c’è più e vuole andarsene, il marito abbandonato ha il diritto di ucciderla solo perché lui soffre di quell’abbandono?
Nello stesso modo, se la ragione dello “stare insieme”, per la Whirlpool e per i suoi lavoratori, è il vantaggio di ambedue, e se per uno questo vantaggio non c’è più, lo si può forse costringerlo a proseguire la collaborazione? Se un operaio della Whirlpool si licenzia, l’impresa può prenderlo per la cravatta e riportarlo al suo banco di lavoro. Certo che no. E se il lavoratore è libero di andarsene, perché non dovrebbe essere libero di andarsene il datore di lavoro? Perché lo Stato dovrebbe spalleggiare il femminicidio dell’impresa?
Quando in Italia metteremo da parte l’economia del cuore e cominceremo ad adottare quella dei numeri, quando capiremo che lo Stato non può cambiare le leggi eterne dell’economia, chissà che non riusciamo a vedere la luce in fondo al tunnel. Si tratta soltanto di capire che la Cina comunista. dal punto di vista economico, è moltomeno comunista di noi.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com
Scrivetemi i vostri commenti, mi farete piacere.
16 ottobre 2019

IL FEMMINICIDIO DELLA WHIRLPOOLultima modifica: 2019-10-17T10:10:24+02:00da gianni.pardo
Reposta per primo quest’articolo

4 pensieri su “IL FEMMINICIDIO DELLA WHIRLPOOL

  1. “Scrivetemi i vostri commenti, mi farete piacere.”

    E che c’è da commentare qui? Niente, meglio non si potrebbe dire. Ma secondo il papa o i cattocomunisti in genere chi fonda un’impresa o apre una ditta ha il dovere sociale di tenersi i dipendenti fino al loro pensionamento (visto che li sfrutta, in fondo è uno schiavista). Invece come sono libero di fondare un’impresa devo essere anche libero di chiuderla o di cederla ad altri a mio insindacabile giudizio, punto. Se no statalizziamo pure tutto, sarà uno spasso.

  2. Messa così nulla da eccepire, ma in questo come in altri casi, l’azienda DOPO aver beneficiato di contributi pubblici, trasferisce la produzione nei Paesi dell’Est che sono percettori netti di contributi comunitari a cui l’Italia contribuisce con circa 3/4 miliardi all’anno. In altri termini noi PAGHIAMO i Paesi dell’est per sottrarci attività produttive. Più coglioni di così !

  3. Io sono un liberale e un imprenditore.
    In quanto tale, non sono dunque sospettabile nè di simpatie nei confronti dei tanti nullafacenti che cercano di farsi assumere da me per farmi rubare lo stipendio.
    Il motivo per cui, pur tuttavia, è utile – non giusto nè legittimo, utile – creare degli ammortizzatori per chi perde il lavoro, sta nel fatto che se un quantitativo considerevole di persone si ritrova senza un lavoro, oltre a non consumare, diventa un problema anche di ordine sociale, correndo il rischio che arrivi qualcuno che raduni questo malcontento e decida di assaltare chi invece questi problemi non li ha, appropriandosi delle sue risorse.
    Questo è il punto che un liberale fa un enorme fatica a recepire: un sistema dove nessuno viene lasciato indietro, è conveniente anzitutto per l’imprenditore.
    Specialmente quando, come nel mio caso, produce beni non essenziali.

  4. Abbastanza d’accordo con la necessità di aiuto nei confronti di chi perde il lavoro , con l’accortezza che gli ammortizzatori sociali siano accessibili a tutti, senza distinzione di dimensioni dell’azienda di provenienza; siano proporzionali al reddito perso ed a tempo. Mi viene in mente il sussidio di disoccupazione statunitense. Questo naturalmente nulla prevede per le aziende fallite. In sintesi il contrario di quanto si fa in Italia.

I commenti sono chiusi.