LA STAMPA ESTERA

LA STAMPA ESTERA E BERLUSCONI
Non raramente chi vuole giustificare il proprio disprezzo per Berlusconi si fa forte di articoli apparsi sulla stampa estera. Il perché è facile da capire: mentre all’interno di un Paese si è naturalmente faziosi, perché sono in gioco i nostri interessi, quando si tratta di una nazione che non è la nostra, si può essere obiettivi. Non diversamente da come, dovendo arbitrare una partita di calcio fra i Paesi A e B, si prende un arbitro del Paese C. Sembra cosa evidente e, per la stampa, non è.
Per spiegare il fenomeno bisogna partire dalla storia. Nel 476 d.C. è caduto l’Impero Romano d’Occidente e poi l’Europa ha cominciato a riprendersi. C’è stato Carlo Magno e si sono formate le grandi monarchie, ma durante questo tempo l’Italia è stata terra di conquista, capace solo di produrre arte: letteratura – fino ad avere la più importante d’Europa per alcuni secoli – e poi pittura e scultura a livelli incomparabili. Quando infine ha cercato di divenire Stato, col Risorgimento, ha inanellato una serie di sconfitte militari che sono costate parecchio sangue (basti pensare alla battaglia di Solferino) ma non ci hanno certo creato una fama militare. Come se non bastasse, la politica internazionale ci ha fatto considerare inguaribilmente inaffidabili. Gli altri entrano in guerra nel 1914, l’Italia nel ‘15, dopo avere esitato sull’alleato da scegliere. La Germania entra in guerra nel ’39 e l’Italia nel ’40, solo quando crede di non correre rischi. Allora aggredisce la Francia già vinta e si fa bastonare sul Moncenisio. Nel ’43, dopo il disastro, cerca di cambiare alleato e arriva alla vergogna di mettersi contro la Germania. Nasce il detto: “L’Italia non finisce mai una guerra con gli stessi alleati con cui l’ha cominciata”. Falso? Le leggende non hanno bisogno di prove storiche. In occasione del conflitto delle Falkland un alto militare inglese, interrogato su come sarebbe andata la spedizione, ha potuto dire: “Gli argentini sono mezzo spagnoli e mezzo italiani. Se si comporteranno da spagnoli si batteranno valorosamente, se si comporteranno da italiani scapperanno”.
È meglio smettere questo rosario di dolorose memorie per dire che, malgrado le sue colpe storiche, l’Italia è stimata perfino meno di quanto meriti. È considerata un Paese artistico e pittoresco, da operetta, con cui ridere e di cui ridere. Se proprio si deve stimare qualcosa, è come se lo si separasse dall’italianità. La Ferrari fa automobili meravigliose, ma la Ferrari è la Ferrari: gli italiani viceversa non sanno fabbricarle automobili, qualunque inglese vi dirà che arrugginiscono subito.
Rimane una sorta di primazia artistica. Gli italiani sono bravi sarti, bravi architetti, fanno scarpe bellissime. Hanno gusto, è vero: ma il gusto è cosa che si attribuisce spesso agli omosessuali o alle donne. Niente di virile. Qualcosa di cui si può parlare nelle ultime pagine del giornale, reparto “colore”. Perché l’intera penisola è un’occasione di divertimento. I tedeschi qui si comportano a volte come non farebbero mai in Germania perché questo è una sorta di cortile della ricreazione in cui non valgono le regole severe della classe. L’Italia, diceva Metternich, è solo un’espressione geografica. Da decenni i nostri soldati partecipano a spedizioni internazionali senza mai sfigurare ma questo non scalfisce in nulla il pregiudizio che i nostri militari siano armati di mandolini e pomodori. Il risultato di questa mentalità è che il giornalista straniero sa che in patria i suoi articoli avranno tanto più successo quanto più corrisponderanno ai cliché prestabiliti. Si sa, tutti i francesi sono arroganti, tutti i musulmani sono terroristi, tutti gli italiani sono pagliacci.
E con questo si arriva a spiegare l’impopolarità di Berlusconi. La prima cosa da dire è che la stampa estera non è estera. Nel senso che gli articoli non sono scritti a Washington o Londra, ma a Roma, da corrispondenti che vivono stabilmente qui, frequentando l’ambiente dei giornalisti locali, spesso snob e gauche caviar. Non è un fatto solo italiano. Basti pensare a come l’Italia parlava di De Gaulle, quando il Generale era al potere. Diluviavano critiche, accuse di sostanziale dittatura e soprattutto infiniti sarcasmi sulla scia del Canard Enchaîné. Come mai? Semplice: l’intellighentia francese era prevalentemente di sinistra (Sartre era addirittura maoista) e i corrispondenti italiani non frequentavano che quell’intellighentia. Da noi era gaullista solo chi conosceva la Francia dall’interno e si faceva un’opinione personale: ma era meglio che non lo dicesse. L’eccellente politologo George Friedman ha fatto notare che in Occidente tutti si aspettavano che vincesse Mussavi perché i giornalisti occidentali hanno contatti solo con gli iraniani che parlano inglese, solo con gli iraniani capaci di usare e-mail e internet, solo con quella parte del popolo che è più evoluta e più desiderosa di un cambiamento. Si dimentica che hanno votato zone lontane da Tehran, non urbane,  e persone che non parlano mai con stranieri. Ecco perché la vittoria di Ahmadinejad è molto meno inverosimile di quanto non sembri.
A volte la notizia è il frutto di una selezione a monte. La Gallup ai suoi inizi si rese famosa per un fallimento, quando dette per sicura la vittoria di un candidato alla Presidenza e sbagliò clamorosamente: aveva realizzato solo interviste telefoniche e il telefono, allora, l’avevano solo i benestanti.
Gli stranieri arrivano in Italia pieni di pregiudizi e, una volta qui, invece di perderli, ci aggiungono quelli dei radical chic. Il risultato è che, se c’è un uomo incomprensibile e pieno di colore che per giunta i colleghi disprezzano, sono felici. Hanno trovato l’argomento ideale per i loro corsivi sprezzanti. Per giunta sono aiutati entusiasticamente dai colleghi locali, che non vedono l’ora di dire male dell’Italia, col sottinteso: “Io non sono un italiano come gli altri”.
Se Berlusconi un giorno sarà fotografato mentre bacia una minorenne, la foto sarà su tutti i giornali del mondo. Se veramente fornisse entro l’anno case nuove ai terremotati abruzzesi – e sarebbe un miracolo mai visto – i giornali stranieri non ne parlerebbero neppure.
Il Cavaliere, di suo, ci mette il suo stile da “intrattenitore da crociera”, la sua eccessiva tendenza a scherzare, a raccontare barzellette, a comportarsi da discolo malgrado i suoi settant’anni. Il che corrisponde perfettamente allo stereotipo degli stranieri. Ma essi sono sciocchi, quando si fermano a questo. Non capiscono che poco importa se un pugilatore arriva sul ring con un accappatoio di raso viola, se ha i capelli a cresta di gallo e un barbone da profeta: se batte il suo avversario è un bravo pugilatore. Loro invece, quando sono costretti a riconoscere i ripetuti, innumerevoli successi di Berlusconi, insistono a dire che il suo accappatoio è viola.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
17 giugno 2009

LA STAMPA ESTERAultima modifica: 2009-06-18T08:40:00+02:00da gianni.pardo
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