NIETZSCHE, QUARANT’ANNI DOPO

“Hai letto qualcosa di Nietzsche?”, mi chiese Marcel. 
Marcel era il lettore francese. Un giovane allampanato, dallo sguardo fisso e quasi vitreo, forse perché fra i primi portava lenti a contatto. A detta di mia moglie era un omosessuale ma io queste diagnosi non ho mai saputo farle: quello che m’interessava era la sua vivacità intellettuale e il suo umorismo a volte dissacrante.
“No. Ma mi hanno detto che forse era un po’ pazzo e un po’ nazista. Francamente…”
“Francamente non ne sai nulla. Ti presto un libro”, concluse lui.
Il risultato fu clamoroso. Scoprii innanzi tutto che, a proposito di Nietzsche, avevo detto delle sciocchezze correnti ma clamorose. Non solo Friedrich (prima d’impazzire) non era affatto pazzo ma il suo eventuale collegamento col nazismo era del tutto abusivo. Caso mai, da attribuire alle manipolazioni della sorella, dopo la sua morte intellettuale. Per non dire che tra la rozzezza di un Hitler e i culmini di genio di Nietzsche c’era la stessa distanza che corre tra la Terra e Alpha Centauri.
Quella lettura ebbe effetti permanenti, su di me.
Nella mia vita ci sono due libri che hanno provocato una svolta. Il primo fu la riduzione in cinque tomi della Summa Theologica di San Tommaso, effettuata da un tale padre Fanfani S.J., che a sedici anni mi suscitò tante di quelle perplessità logiche (cui i teologi interpellati non seppero rispondere) da farmi perdere la fede. Il secondo fu questo Gai Savoir, in cui venni a contatto con una mentalità che cambiò la mia.
Dopo tanti anni i miei ricordi possono essere sfocati e chiedo dunque scusa per le eventuali imprecisioni, ma Nietzsche mi rivelò un verità fondamentale: che non basta che qualcosa sia creduto vero dall’intera umanità perché sia effettivamente vero. Fino a quel momento, umilmente, pensavo con Protagora che l’uomo è la misura di tutte le cose: è l’umanità intera che stabilisce che cosa è bene e che cosa è male, che cosa è logico e che cosa è illogico. Se dunque qualcosa di ciò che era universalmente accettato mi pareva sbagliato, la prima conclusione che dovevo trarne era che avessi torto io. Il filosofo invece mi fece notare che l’umanità intera può pensare qualcosa non perché vero, ma perché va nell’interesse della specie. Una verità strumentale, non riconosciuta in quanto dimostrata ma in quanto favorisce la sopravvivenza dell’umanità. E questo dà conto di gran parte, se non di tutta, la morale.
Per quanto riguarda la logica, ricordo ancora la sua critica al principio di identità, sia con riguardo alla sua origine sia con riguardo alla sua validità. Provo a ricordarla.
L’uomo primitivo che vide un suo amico sbranato da un orso, la volta seguente in cui incontrò una di quelle bestie scappò a gambe levate. Aveva stabilito il principio secondo cui quella bestia, chiamata orso, o qualunque altra bestia che gli fosse apparsa un orso, era pericolosa, mentre in realtà aveva effettuato un salto logico dalla somiglianza all’identità e dalla colpa di uno alla convinzione che tutti gli orsi sono assassini. Questo, diceva Nietzsche, è stato molto utile all’umanità: gli uomini hanno imparato ad evitare i pericoli senza perdere il tempo per esaminarli molto accuratamente, magari perdendo l’occasione di salvarsi. Ma dal punto di vista logico la frase “un orso è un orso” è valida solo linguisticamente. Nella realtà, per dire che quello che stiamo vedendo è un orso dovremmo avere una competenza che spesso non abbiamo. E poi la verità è che nessun orso è uguale ad un altro orso. Magari ce n’è uno mansueto: ma chi si sente di correre il rischio?
Questi pochi esempi servono a mostrare come, andando avanti nella lettura di quel libro, io avessi la sensazione di veder lavato dalle incrostazioni e rimesso a nuovo il mio cervello. Inoltre fui spinto ad osare l’inosabile, intellettualmente, a causa della fulminante sfida nietzschiana: “Fin dove osi pensare?”
Poi, certo, scoprii anche un Nietzsche molto discutibile, quasi delirante (“Ecce Homo”), un Nietzsche vagamente poetico e profetico (“Così parlò Zarathustra”) ed altro ancora, ma a me non importava: quello che avevo ricavato da Die Fröliche Wissenschaft, in francese Le Gai Savoir, in italiano La Gaia Scienza, era un patrimonio immenso, cui mi sono abbeverato per il resto della vita: la libertà di pensiero. E infatti lo stesso Nietzsche ha scritto questo formidabile invito: “Se vuoi seguirmi, séguiti”.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
16 settembre 2009

NIETZSCHE, QUARANT’ANNI DOPOultima modifica: 2009-09-22T12:59:06+02:00da gianni.pardo
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