IL LODO ALFANO – 2

IL LODO ALFANO

Il Lodo Alfano è stato dichiarato incostituzionale. Attualmente si dispone dello scarno comunicato della Rai, secondo la quale la motivazione riposerebbe su questi due punti: il provvedimento doveva essere approvato come legge costituzionale ed esso va contro l’art.3 della Costituzione (uguaglianza di tutti i cittadini).

Due sole osservazioni.

lodo Alfano ricalca il lodo Schifani e a quest’ultimo non fu affatto rimproverato di non essere una legge costituzionale.

Se il lodo Alfano va contro l’uguaglianza dei cittadini, è stata incostituzionale la stessa Costituzione Italiana che per mezzo secolo (1948-primi anni Novanta) ha contemplato l’immunità parlamentare. I parlamentari dunque non erano uguali agli altri cittadini?

Sarebbe bello se ci sbagliassimo e ci fossero motivazioni più serie. Queste sembrano le motivazioni di chi non è riuscito a trovarne altre.

Gianni Pardo, giannipardo@libero.it

7 ottobre 2009

Per coloro che fossero interessati ad una discussione più approfondita sul lodo Alfano, e che non li avessero letti in passato, uno addirittura un anno fa, ripropongo due articoli su questo argomento.


IL WC UNISEX

Considerazioni sul “Lodo Alfano”

Che si aspetti con qualche trepidazione la decisione della Corte  Costituzionale sul cosiddetto “lodo Alfano” è comprensibile. Tuttavia la cosa di gran lunga più triste è la convinzione della stragrande maggioranza dei cittadini che quella decisione non sarà giuridica ma politica. Quand’anche non lo fosse. E questo la dice lunga sulla disistima che la gente ha della magistratura.

Sembra tuttavia esagerato aspettarsi un cataclisma. Se il lodo Alfano fosse annullato, gli eventuali processi contro Berlusconi andrebbero come sempre a rilento; poi ci sarebbe l’appello; poi il ricorso in Cassazione e infine si concluderebbe la legislatura. Per non parlare dell’incombente prescrizione. Può darsi che tutto il problema si sgonfi da sé.

L’Avvocatura dello Stato, per difendere Berlusconi (o per affossarlo?) ha sostenuto che una pronuncia negativa potrebbe indurre il Premier a dimettersi.  In realtà, anche se si è voluto far nascere qualche speranza a sinistra, si sono fatti i conti senza l’oste. Il Cavaliere è convinto che la magistratura gli sia ostile e dunque non gliela darà vinta. Probabilmente sarebbe disposto a convocare il Consiglio dei Ministri nel parlatorio del carcere, se lo arrestassero.

Se dal piano della politica si passa al piano del diritto, c’è qualche occasione di sorriso.

La ragione fondamentale per invocare l’incostituzionalità del “lodo Alfano” è l’art.3 della Costituzione: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Dunque, si dice, perché sottrarre Berlusconi all’imperio della legge penale? Non è forse un cittadino come gli altri?

Se questa è la domanda, la risposta è un tondo e maiuscolo: “NO”. E non è nemmeno un caso tanto particolare. La pari dignità dei cittadini non implica che tutti siano trattati nello stesso modo. E si possono fornire molti esempi.

Il Presidente della Repubblica – art.90 della Costituzione – non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione”. Giorgio Napolitano può fare qualunque cosa, senza che lo si possa processare. Si deve solo astenere dall’alto tradimento o dall’attentato alla Costituzione. Chi si sentirebbe di dire che questo lo rende un cittadino come gli altri, senza distinzione di questo e di quell’altro?

Scendendo dal Colle, si possono trovare molti altri casi. Ogni cittadino ha il diritto ed il dovere di essere giudicato dal suo “giudice naturale” eppure alcuni possono ottenere di ricusarlo e in quel caso non sono trattati come tutti gli altri cittadini. Né basterà dire che quel diritto gli è stato concesso per la loro speciale situazione: anche quella del Primo Ministro o del Presidente del Senato è una situazione speciale.

Altro esempio: tutti i cittadini sono sottoposti alla giustizia ordinaria ma non i militari, che sono sottoposti alla giustizia militare. Non sono dunque cittadini come gli altri?

In mille concorsi e graduatorie, dopo la Seconda Guerra Mondiale, sono stati attribuiti aumenti di punteggio agli orfani di guerra: quegli orfani, erano dunque “più uguali degli altri”?

Per i reati dei ministri, c’è il Tribunale dei Ministri. Dunque neanche loro sono cittadini come gli altri?

In giudizio medici, avvocati, preti e persino giornalisti possono rifiutarsi di testimoniare: come mai, non sono cittadini qualunque?

In Italia nessun cittadino può sentirsi ordinare: “Vai e rischia la vita”. E tuttavia i soldati non possono rifiutarsi di uscire dalla trincea (se non obbediscono sono fucilabili per codardia); i poliziotti devono affrontare dei delinquenti armati; i pompieri devono affrontare le fiamme; persino i bagnini, vedendo qualcuno che affoga nel mare in tempesta, non possono rispondere che non hanno voglia di fare il bagno. Tutti costoro sono cittadini uguali agli altri?

Nella stessa politica italiana, per molti decenni (1948-primi anni Novanta) c’è stata l’immunità parlamentare per tutti i deputati e tutti i senatori. Circa mille persone: e ora ci si scandalizza per quattro? O per caso per tutti quei decenni in Italia non c’è stata uguaglianza fra i cittadini?

E infine, lo diciamo per sorridere ma non assurdamente, la scritta “uomini” e “donne”, su certe porticine, non discrimina forse sulla base del sesso?

La verità è che l’uguaglianza dei cittadini va intesa con buon senso, e non solo come un modo per andare contro Berlusconi. Non si dovrebbe stiracchiare la Costituzione fino a farle dire quello che non potrebbe mai dire: salvo imporre poi dei WC unisex.

Gianni Pardo, giannipardo@libero.it

17 settembre 2009

LA CORDA SPEZZATA

Considerazioni giuridico-politiche sul Lodo Alfano

Un’insegnante di storia e filosofia nei licei (il top della cultura) diceva di essere più che perplessa, riguardo al “Lodo Alfano”. I cittadini devono essere tutti uguali dinanzi alla legge, nessuno ha il diritto di sottrarsi ad essa. Violare questo principio è violare la Costituzione. Inoltre, ribadiva, i giudici, anche quando accusano qualcuno o gli impongono la custodia preventiva, applicano la legge: come è concepibile che sia “ingiusto” agire secondo le leggi? Queste affermazioni sono semplici e chiare e tuttavia, riflettendoci, non stanno in piedi.

Per decenni, fino ai primi Anni Novanta, è esistita l’immunità parlamentare. Dunque deputati e senatori erano già cittadini “più uguali degli altri”, come recita l’abusata citazione, senza nesuna violazione della Costituzione, dal momento che quell’immunità era prevista proprio dalla stessa Costituzione.  Per quanto poi riguarda l’agire “secondo le leggi” non bisogna essere ingenui. Il magistrato penale gode di una notevole discrezionalità, che in qualche caso lascia spazio al puro arbitrio. A qualcuno che chiedeva che cosa dovesse considerarsi “prova”, nel processo penale, un giurista rispondeva sconsolato che “prova è ciò che convince il giudice”. Anzi: “Prova è ciò che il giudice dichiara essere prova”.

Questo vale anche per quanto riguarda la magistratura inquirente. Questa non ha il potere di condannare nessuno ma può benissimo mettere in galera qualcuno sulla base di una presunta pericolosità sociale o sulla base di un fantomatico pericolo di reiterazione del reato; sicché un cittadino passa mesi – a volte anni – in carcere per poi vedersi magari assolvere con formula piena. È stato vittima di un arbitrio? Probabilmente, ma l’inquirente non deve nemmeno chiedergli scusa: ha seguito il suo “libero convincimento” e tanto basta. Nessuno è stato sottoposto a procedimento disciplinare per un fatto del genere. Neppure quel magistrato pugliese che ha tenuto a lungo in galera il Pappalardi, con l’accusa di avere ucciso i due figli, mentre poi la Cassazione – la Cassazione! – ha stabilito che non c’era nessun elemento di prova che potesse sostenere l’opportunità di quella carcerazione.

I magistrati seguono i codici, si dice, ma i codici gli concedono una libertà così ampia da risultare in certi casi pericolosa: soprattutto perché gli organi di controllo non sconfessano mai il collega e l’azione per responsabilità civile del giudice, pur sancita da un apposito referendum, non è stata esercitata contro nessuno.

Questi rischi li corrono tutti i cittadini – direbbe tuttavia la professoressa – e non si vede perché non debbano correrli le persone in vista. E anche qui un’affermazione che pare semplice ed evidente può in certi casi essere del tutto sbagliata. Ad un ragazzino che chiedeva come mai la bestemmia fosse un peccato mortale, tale cioè da comportare le pene dell’inferno, un teologo rispondeva che chi dice “cretino!” al proprio fratello si comporta male; chi lo dice al Preside della scuola, commette un atto di gravità molto maggiore e chi infine insulta Dio, Ente dal valore infinito, commette un atto di infinita gravità. E merita l’inferno. Nel valutare l’illecito bisogna tenere conto non solo dell’azione ma anche della qualità della vittima. Se si accusa un cittadino qualunque di atti contrari alla pubblica decenza, gli si crea un enorme fastidio. Se però la stessa accusa è rivolta ad un cardinale, ne parleranno tutti i giornali e il prelato potrebbe uscirne addirittura distrutto quand’anche dopo fosse assolto con formula piena. Il semplice potere di incriminare certe persone, e tenerle sotto processo per molti anni, è un’arma devastante. Un’arma che, posta in mano ad un giudice narcisista, esibizionista, politicamente fazioso o soltanto demente, può creare danni gravissimi.

Il caso di Berlusconi è emblematico. Se in questi tre lustri fosse stato accusato di un reato e fosse stato assolto, nulla quaestio: la magistratura inquirente può benissimo sbagliarsi. Ma se l’impresa di cui è titolare per il 30% subisce circa cinquecento accessi della Guardia di Finanza, se il Cavaliere è fatto oggetto di ben sedici procedimenti penali, se infine ciò malgrado tutti i procedimenti si concludono o con l’assoluzione o con la prescrizione (che è colpa della magistratura), è proprio peregrino il sospetto che ci sia stata un’intenzione politica? Si è perfino parlato di “via giudiziaria al potere”. O alla distruzione dell’avversario politico.

L’opinione pubblica, poi, non va per il sottile. Pensa: uno che è accusato di tanti reati non può essere un fior di galantuomo. È stato assolto? Se la sarà cavata per il rotto della cuffia; perché può permettersi ottimi avvocati; perché è un furbastro. Un furbastro ma non un galantuomo. E un buon quaranta per cento degli italiani è complice di questa character assassination, assassinio della personalità.

Il diritto non è scritto nelle stelle. E non è amministrato da angeli. Da noi l’uso discutibile della giustizia è stato spinto tanto lontano da avere creato, nei politici, il comprensibile sospetto che l’ordine giudiziario intenda dominare i poteri legislativo ed esecutivo. Stabilendo magari chi ha il diritto di fare politica e chi no. E alla lunga, se un potere prevarica, è normale che il potere aggredito si difenda con le proprie armi: ed ecco che il legislativo vara leggi che tagliano le unghie ai magistrati. Se si tira troppo la corda…

I magistrati inquirenti avrebbero dovuto essere molto più prudenti, molto più moderati, molto più oculati. Non hanno messo a rischio Berlusconi, che ha dimostrato in giudizio di essere innocente, hanno messo a rischio l’equilibrio fra i poteri e l’immensa libertà di cui attualmente loro stessi dispongono.

A qualcuno il lodo Alfano non piace, ed è comprensibile, ma è solo una reazione. E se l’azione è stata ingiusta, la reazione si chiama legittima difesa. Questa legge è una pagina negativa della vita parlamentare italiana, esattamente come è negativa l’amputazione di una gamba. Ma se il rischio è che la gangrena danneggi l’intero organismo, l’amputazione è benvenuta.

Gianni Pardo, giannipardo@libero.it

25 luglio 2008

IL LODO ALFANO – 2ultima modifica: 2009-10-08T09:34:56+02:00da gianni.pardo
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